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Così il Tribunale di Padova annienta l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari
La sentenza di
giovedì 28 aprile emessa dal Tribunale di Padova “rischia” di essere
una sentenza storica. Il giudice Dott. Roberto Beghini ha infatti
accolto il ricorso di un’operatrice sanitaria dell’azienda Ulss n.6
Euganea, sospesa per non essersi sottoposta a vaccinazione covid. Nel
provvedimento, il Tribunale evidenzia l’irragionevolezza dell’obbligo
vaccinale per gli operatori sanitari e l’inutilità a prevenire il
contagio definendo la garanzia del vaccino “pari a zero”. Uno schiaffo
in faccia a Speranza e a tutto il governo. E un grande grido di libertà
per milioni di italiani. Si legge nel provvedimento: “L’obbligo vaccinale imposto ai
lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si
prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede
l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost.. Può infatti
considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al
ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare
gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade,
come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata
contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che
siano). Come emerge dai dati forniti dal Ministero della Salute
nonostante l’avvio della campagna vaccinale, il numero di contagi più
elevato in assoluto dall’inizio della pandemia, pari a + 220.532, è
stato registrato l’11.01.2022”.
“La persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato”. Inoltre, il Tribunale di Padova si sofferma sull’irragionevolezza e la sproporzionalità dell’obbligo vaccinale: “La normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui ‘eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui’ (v. anche l’art. 5 del Trattato sull’Unione europea e protocollo n. 2, versione consolidata come modificata dall’articolo 1 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificata dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in G.U. n. 185 del 8-8-2008 – suppl. ordinario n. 188). Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione, il rispetto del principio di proporzionalità presuppone l’adempimento di tre condizioni cumulative: attitudine, necessità e proporzionalità in senso stretto. Per attitudine, si intende l’idoneità della misura a perseguire la finalità prefissata”.
“La condizione di necessità esige che la misura presa costituisca l’opzione arrecante il minor pregiudizio possibile agli interessi in causa. Infine, il sacrificio imposto dalla stessa deve poter essere ragionevolmente esigibile (v. ad esempio CGUE sez. grande, 8.03.2022, in C-205/20; sez. I, 21 luglio 2011, in C- 2/10; sez. VI, 16 gennaio 2003 in C-12/00; e sez. VI, 16 gennaio 2003 in C-14/00). Nella specie, la disciplina italiana, che sospende drasticamente dal lavoro e dall’intera retribuzione il lavoratore che non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, sembra violare il principio di proporzionalità sotto tutti e tre i profili, perché, come visto, non è necessaria né raggiunge lo scopo di evitare il contagio, ed impone al lavoratore un sacrificio all’evidenza completamente insostenibile, privandolo integralmente e drasticamente dell’unico mezzo che consente a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Si spera che ora questa sentenza del Tribunale di Padova, come si suol dire, faccia giurisprudenza.
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