Libertà di riunione limitata dal Ministero, la fine dello Stato di diritto
Con una direttiva del Ministro degli interni, è stata derogata la libertà costituzionale di manifestare
di Paolo Becchi e Giuseppe PalmaMentre ieri è passata a larghissima maggioranza - pochi persino i voti contrari della Lega e nonostante Salvini avesse lasciato libertà di voto - la fiducia anche alla Camera per il green pass, il Ministro degli interni interveniva con una sua direttiva, di cui nessuno ci pare abbia parlato, sulla libertà di riunione.
La libertà di riunione, tutelata e garantita dall’art. 17 della Costituzione, viene così derogata non attraverso una legge ordinaria – strumento già di per sé discutibile visto che le libertà fondamentali godono di riserve di legge assolute o relative a seconda dei casi – ma addirittura attraverso una semplice direttiva del Ministero dell’Interno, cioè un atto amministrativo che in tempi normali viene di solito adottato per regolare il comportamento del personale ministeriale o per definire le linee di indirizzo amministrativo di un determinato ministero. Conte ci aveva abituati ai Dpcm, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, Speranza alle ordinanze, ora si passa alle direttive. Tra qualche mese sarà la volta della grida di manzoniana memoria?
Passino i Dpcm – che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimi in quanto strumenti attuativi di norme di legge (sic!) -, ma limitare i diritti costituzionali con una direttiva ministeriale ci sembra davvero troppo. Leggiamola.
La direttiva è la num. 0076293 del 10 novembre 2021 e mira a imporre il pugno di ferro nei confronti delle manifestazioni contro l’obbligo del green pass: “Tali manifestazioni, che sono rappresentative del diritto ad esprimere il dissenso, stanno determinando, tuttavia, elevate criticità sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché sul libero esercizio di altri diritti, pure garantiti, quali, in particolare, quelli attinenti allo svolgimento delle attività lavorative e alla mobilità dei cittadini, con effetti, peraltro, particolarmente negativi nell’attuale fase di graduale ripresa delle attività sociali ed economiche”. Chiaro il tentativo
di dividere i cittadini “cattivi” che protestano da quelli “bravi” che fanno shopping. Ma andiamo più a fondo.
La direttiva richiama anzitutto “l’art. 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito con modificazioni dalla l. 22 maggio 2020, n. 35, che affida ai Prefetti il compito di assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento del rischio di diffusione del Covid-19 fino al perdurare dello stato di emergenza”. L’art. 4 del decreto-legge fu adottato dal governo Conte bis, durante la prima fase della emergenza - quella del lockdown con le terapie intensive al collasso e con centinaia di morti al giorno - per regolare le sanzioni contro chi non rispettava le prescrizioni necessarie per il contenimento della Covid-19. Cosa c’entra adesso questo decreto con una direttiva ministeriale che reprime la libertà di riunione? Oggi la situazione sanitaria e molto diversa. C’è ancora un’emergenza che giustifica misure repressive contro le libertà costituzionali?
Altra norma richiamata dalla direttiva in esame è quella dell’art. 18 TULPS (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), secondo cui – specifica la direttiva – “i Questori eserciteranno i poteri previsti dall’art. 18 TULPS e delle connesse disposizioni regolamentari, provvedendo ad adottare, laddove necessario, i divieti e le prescrizioni riguardanti lo svolgimento delle manifestazioni preavvisate”. Si tratta dei poteri che il Questore ha per impedire che abbiano luogo le riunioni in luogo pubblico, ma solo nel caso in cui non ne venga dato preavviso tre giorni prima oppure per motivi di moralità o salute pubblica. Appare evidente che in questo caso, quantomeno fino al termine dello stato di emergenza, il Questore avrà mani libere per fare quello che vuole.
La direttiva infatti non prescrive direttamente in che modo dovranno tenersi le manifestazioni, ma rimbalza la palla ai Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica e ai Prefetti, che dovranno “provvedere con apposite direttive, ai sensi dell’art. 13, secondo comma, della legge 1 aprile 1981, n. 121, ad individuare specifiche aree urbane sensibili, di particolare interesse per l’ordinato svolgimento della vita della comunità, che potranno essere oggetto di temporanea interdizione allo svolgimento di manifestazioni pubbliche per la durata dello stato di emergenza, in ragione dell’attuale situazione pandemica”. Insomma, direttiva ministeriale e successiva direttiva dei Prefetti: un sistema di scatole cinesi che cambierà da provincia a provincia e non farà altro che creare confusione, provocando alla fine un esercizio arbitrario del potere da parte degli uffici periferici del Ministero.
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