Il Libero Arbitrio È Una Cosa Seria
Il libero arbitrio, a livello concettuale, viene spesso identificato dalla gente comune come un qualcosa di blando, di facoltativo, un qualcosa che volteggia nell’aria ma che non crea alcun effetto. Talvolta ne sento parlare in chiave mistica, come fosse un argomento slegato da qualsiasi volontà divina o in contrapposizione al proprio credo religioso. In ambito scientifico, invece, viene addirittura messa in discussione l’esistenza stessa del libera scelta. Personalmente, invece, ritengo il libero arbitrio una cosa seria, talmente seria da diventare il fondamento del nostro stare al mondo.
Ma partiamo dalla sua definizione. Secondo il Dizionario filosofico Treccani altro non è che la “capacità di scegliere liberamente, nell’operare e nel giudicare”. Una definizione alla quale fa da eco quella del Vocabolario Teologico, per il quale il libero arbitrio è “la possibilità di scegliere dell’uomo, di autodeterminarsi, di essere causa delle proprie scelte”.
Filosofia e Teologia quindi, convergono nell’idea che l’essere umano sia in grado di scegliere fra bene e male, utile e inutile, desideri e doveri. In altre parole, il libero arbitrio diventa una questione di responsabilità, in quanto tu essere umano accetti di essere responsabile delle tue azioni, delle tue scelte e della tua vita.
Un cambio di paradigma che, se calato all’interno di una società che ha fatto della deresponsabilizzazione quasi un vanto, diventa chiaramente un atto rivoluzionario. Siamo circondati da esseri lobotomizzati e alienati, scaricatori abituali di responsabilità, dimentichi del fatto che l’essere umano ha non solo la possibilità, ma soprattutto la responsabilità di scelta.
Quel gran filosofo qual è stato Jean-Paul Sartre lo scrisse a chiare lettere nel suo saggio “L’essere e il nulla”, sottolineando il fatto che l’uomo è libero per natura ma è, allo stesso tempo, condannato alla libertà, in quanto “vittima” della responsabilità che ne deriva. Secondo il pensiero dello scrittore francese noi “non siamo liberi di non essere liberi”, il che significa che perfino quando non scegliamo, scegliamo.
Ecco perché il libero arbitrio è una cosa seria, perché è onnipresente, come l’aria che respiriamo. La vita stessa dell’essere umano, senza il libero arbitrio, non avrebbe senso di esistere. L’esistenza, in un continuo intreccio di momenti vibrazionali, mette l’essere umano dinanzi a delle possibilità di scelta e ciascuna di essa determinerà uno dei suoi infiniti futuri possibili.
Pensate che Platone stesso, quando racconta il mito di Er alla fine di quel suo capolavoro che è “La Repubblica”, fa riferire alle anime pronte ad incarnarsi che “la responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile”, in merito alla scelta del destino da compiere. Scegliere, per il filosofo greco, significa prendere atto del proprio cammino evolutivo, è la responsabilità di cui parlavo prima, nella sua forma etica e morale, di saper discernere tra ciò di cui abbiamo bisogno per compiere il nostro destino e ciò che invece, per lo stesso motivo, siamo costretti a lasciare andare.
Il destino non è fatalismo, ma rassomiglia più a un sentire interiore, un seguire le molliche di pane che l’universo dissemina lungo la nostra via. Il fatto di far parte di una complessa concatenazione di cause ed effetti non vuol dire che le nostre decisioni siano irrilevanti e che qualsiasi cosa destinata ad accadere accadrà comunque. Esistono delle dinamiche vitali per le quali sono necessariamente richieste la consapevolezza delle proprie scelte e la facoltà di soppesare le diverse possibilità.
Se siamo infelici, la responsabilità è la nostra. Se non abbiamo tempo, la responsabilità è la nostra. Non è necessariamente nostra la responsabilità per ciò che accade nel mondo e alle persone a noi care, ma è nostra la responsabilità con la quale reagiamo dinanzi a questi eventi così impattanti da sembrare meteoriti. Il libero arbitrio diviene così un atto di volontà. Siamo noi a decidere se seguire la via “segnata” e compiere il nostro destino o allontanarci da esso e andare incontro alla sofferenza.
Lo stesso Dante Alighieri, grande uomo d’intelletto, nutriva un profondo disprezzo per una categoria ben precisa di esseri umani: gli Ignavi. E anche qui ci viene in aiuto il Vocabolario Treccani per dare una definizione di ignavo: “Pigro, indolente nell’operare per mancanza di volontà attiva e di forza spirituale”. Quindi chi sono gli ignavi? Sono coloro che pur avendo il libero arbitrio, ovvero la libertà e la facoltà di scegliere come agire, ci rinunciano per pigrizia o debolezza o per paura di perdere il privilegio di rimanere nella propria zona di comfort. E lasciano che altri scelgano al posto loro.
Questo concetto non vi risuona familiare in quest’epoca postmoderna? Persone che nella loro vita non hanno mai assunto una presa di posizione in ambito lavorativo, familiare, sociale, politico, nemmeno durante una pandemia. Individui uniformi che si limitano a seguire la massa, senza prendere una decisione, senza porsi domande, rimanendo neutrali e appesi come burattini, in attesa della prossima mossa dettata dal burattinaio.
Dante disprezza così tanto gli Ignavi da dedicare loro parole taglienti che rasentano il loro senso di nullità, parole che troverete nel III canto dell’Inferno, lì dove il poeta incontra gli Ignavi nel cosiddetto Antinferno (anche detto Vestibolo), ma lascia che sia Virgilio a parlare mentre lo allontana da quelle tristi figure:
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
La condanna del sommo poeta che si evince da questi versi sublimi è piuttosto esplicita: chi rinuncia al libero arbitrio, chi manda all’aria il dono della libertà di scelta, si macchierà inevitabilmente di viltà. E la pena che Dante decide di infliggere alle anime degli Ignavi è piuttosto esemplare, degna della miglior legge del contrappasso: dovranno correre incessantemente, nudi, dietro un’insegna (bandiera) priva di significato, tormentati dalle punture di vespe e mosconi fino a sanguinare. Il loro sangue è, infine, raccolto da vermi raccapriccianti che si muovono ai loro piedi.
Rinunciare al libero arbitrio equivale, quindi, a essere privi di significato, a essere senza alcuna dignità umana, meritevoli di disprezzo dai propri simili (“non ragioniam di lor, ma guarda e passa”). E sapete perché? Perché vivere come una banderuola al vento non fa di te un essere umano, e nelle parole di Dante (“che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte”) c’è una verità che ai più sfugge. Gli Ignavi sono così invidiosi da invidiare anche coloro che vengono condannati all’inferno, perché, almeno loro sono esseri umani dotati di una forma di volontà, seppur distorta, di una qualche forma di presenza mentale, di un Io, e di loro qualcosa rimane. Mentre degli Ignavi nemmeno quello: “Fama di loro il mondo esser non lassa”.
Adesso pensate alle persone che avete attorno, quante vivono nel coraggio della consapevolezza delle loro scelte? Quante persone che conoscete hanno fatto della presa di coscienza una roccaforte con la quale difendersi dagli attacchi del mondo esterno? E quante, ascoltando il canto della voce interiore, hanno fatto del cambiamento una filosofia di vita?
E quante persone conoscete, invece, la cui unica funzione è quella di accoppiarsi, procreare, di seguire l’istinto, di procurarsi cibo e mezzi di sussistenza e concludere nell’oblio la propria vita? Anime vuote che corrono dietro a capi religiosi che promettono loro un facile paradiso. E quante ne conoscete che affollano le strade, le piazze, i bar, senza avere un’idea propria, esseri che non coltivano ideali, che non leggono, che non s’informano, esseri senza un’opinione, che vedono con sospetto qualunque forma di cultura e sapere?
Persone che invocano la legge e la giustizia ad ogni passo senza pensare mai ai loro doveri. Persone che necessitano del colpevole di turno per scaricare le loro frustrazioni, esseri litigiosi senza morivo, gente convinta di vivere in eterno, persone che non sanno perdonare, che si accontentano di “arrivare a sera”, che fanno del “si va avanti” un mantra ed evitano come un escremento sul marciapiede ogni impegno, responsabilità e fatica.
Ecco perché mi piace sottolineare l’importanza del libero arbitrio in un mondo dove la maggioranza delle persone vi rinuncia per seguire la via più facile. In altre parole divengono degli esseri causati, persone che vivono in base a delle cause che determineranno le loro conseguenze. Una vita del genere non può che generare insoddisfazione, infelicità, in quanto rimanere inermi e neutrali non determinerà mai quel senso di compiutezza che soltanto un’azione frutto del proprio libero arbitrio potrà generare.
Pensiamo al male che permea la nostra società: quante volte si è sentito dire che è la volontà di Dio o del Caso? Troppo facile così! Tutto il male che c’è su questa Terra è frutto delle nostre scelte, dettato dalla nostra cecità e sordità, dalla nostra incapacità di ascoltare il sussurro della voce interiore e dall’incapacità di cogliere l’opportunità del libero arbitrio, per un cambio di rotta immediato.
Nelle nostre cause non siamo determinati dal divino ad agire male, lo dice Platone stesso, “il dio non è responsabile”, “dio è innocente”, siamo noi i colpevoli, la nostra miseria e le nostre imperfezioni sono frutto del nostro non agire, del nostro non seguire il daimon (destino) che ci siamo scelti in precedenza. Più ci allontaniamo da esso e più saremo infelici, e più soffriremo.
E all’improvviso eccola qui la nostra salvezza, sia chiama “conoscenza”, noi abbiamo la possibilità di conoscere il nostro destino e di seguirlo, siamo liberi di farlo e questa libertà è, appunto, il libero arbitrio. Solo gli schiavi incatenati non hanno possibilità di scelta, seguono il carro del destino senza sapere perché né come. Ma chi è indipendente, chi è dotato di libero arbitrio, può armonizzarsi con ciò che gli è necessario. Il vero saggio, quindi, non è chi colmo di nozioni raffinate ma è colui che conosce il necessario, il pienamente disvelato.
In una realtà come la nostra, caratterizzata da innumerevoli possibilità, nessuno può garantirci quale sarà la scelta migliore da compiere in una determinata situazione. In ogni momento siamo costretti (“non siamo liberi di non essere liberi”) a prendere delle decisioni senza avere nessuna certezza delle conseguenze. Ma è proprio questa capacità di scelta – il suo atto di volontà – che definisce l’essenza dell’uomo. E chi sceglie non può e non deve fare a meno di affidarsi alla ragione, di conoscere e ascoltare la propria voce interiore, rapportandosi a un’infinita possibilità di scelte.
E alla fine, quello che è evidente, è il fatto che il libero arbitrio
altro non è che la libertà di autodeterminarsi, in piena consapevolezza
di sé. Una roba non certo da pavidi, perché torno a ripeterlo per
l’ultima volta: il libero arbitrio è una cosa seria, per esseri umani che sanno perché sono qui e conoscono il proprio destino.
E tu, hai mai ascoltato l’antico canto del tuo daimon?
Tragicomico
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