La sconfitta (definitiva) dei fautori della "guerra globale" e della "vittoria totale di Kiev"
“È passato un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. Nonostante le affermazioni del regime e dei suoi alleati dei media secondo cui la Russia rappresentava il nuovo Terzo Reich e avrebbe presto conquistato mezza Europa, è ormai evidente che ciò non è mai stato neanche lontanamente vero”. Così Ryan McMaken in un articolo pubblicato sul Mises Institute.
In realtà, prosegue McMaken, “i russi non sono nemmeno vicini ad occupare alcunché in Europa oltre l’Ucraina orientale. Non è Monaco 1938. Le sanzioni economiche non hanno paralizzato il regime russo. La maggior parte del mondo resta neutrale sul conflitto. E questo finirà probabilmente con una soluzione negoziata, contrariamente ai desideri di Washington”.
“Il fatto è che, nonostante gli sforzi degli Stati Uniti e della NATO per fare della guerra ucraina la terza guerra mondiale, essa rimane un conflitto regionale. E sembra che la maggior parte del mondo non sia interessata a fare sacrifici per favorire la politica degli Stati Uniti in Ucraina e che molti rilevino l’ipocrisia intrinseca nei discorsi degli Stati Uniti sul rispetto della sovranità nazionale”.
“Si può trarre un’importante lezione dai massimalisti della guerra, i
quali sostengono senza tregua la guerra su vasta scala come ‘soluzione’
di tutte le crisi internazionali. Gli Stati Uniti vogliono chiaramente
combattere la guerra fino all’ultimo ucraino, in questo conflitto che
stanno rivendendo alla stregua di una crociata globale in stile Seconda
guerra mondiale. Ma sembra che adesso i pensatori più pragmatici […]
siano ben consapevoli che i negoziati sono la soluzione più umana”.
La neutralità del mondo e l’invasione (anche ucraina) dell’Iraq
Proprio la neutralità di gran parte del mondo, cioè tutti i Paesi dell’Asia, del Sud America e dell’Africa (a parte eccezioni che confermano la regola) appare la parte più interessante dell’articolo perché di stretta attualità. Infatti, nel corso del recente G-20, convocato a New Delhi, la neutralità suddetta si è nuovamente palesata in tutta la sua plasticità dal momento che gli Stati Uniti hanno provato a isolare nuovamente la Russia, fallendo ancora una volta.
Sul punto, appaiono interessanti le annotazioni di McMaken, il quale scrive che tale neutralità si deve “in parte a motivazioni pratiche. La leadership politica di questi Paesi semplicemente non è disposta a impoverire la propria popolazione per compiacere Washington. Ma la resistenza deriva anche dal fatto che la maggior parte del mondo sa che le pretese statunitensi per il rispetto della sovranità nazionale e del diritto internazionale sono del tutto menzognere”.
“Le invasioni statunitensi e i bombardamenti in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria hanno chiarito che gli Stati Uniti sono perfettamente a loro agio nel violare la sovranità nazionale quando ciò si è utile alle loro ambizioni. Il cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole ovviamente non significa nulla per gli Stati Uniti quando diventa scomodo per Washington (va anche notato che il regime ucraino ha sostenuto l’invasione dell’Iraq e inviato almeno cinquemila militari per aiutare gli Stati Uniti a occupare quella nazione sovrana).
L’ultima annotazione appare significativa ed è ignota ai più (compreso lo scrivente). Così abbiamo fatto una ricerca e… sorpresa! Così il New York Times del 14 agosto 2004: “Il governo ucraino, Paese tra i più attivi nel rifornire di truppe il contingente straniero in Iraq, ha posto fine alle speculazioni sul suo impegno nella missione a guida americana annunciando venerdì che avrebbe inviato una nuova brigata per sostituire quella che tornerà in patria questo autunno”.
Un impegno lodato dall’allora Segretario per la Difesa degli Stati Uniti, il famigerato Donald Rumsfield, il quale “ha ringraziato l’Ucraina per il suo ”eccellente supporto” nella campagna dell’amministrazione contro i terroristi”.
La follia di chiedere la resa incondizionata di Mosca
Tornando allo scritto di McMaken, egli annota come gli Stati Uniti abbiano applicato alla Russia lo stesso approccio riservato ai “paesi piccoli e poverissimi non in grado di reagire” che negli ultimi decenni hanno subito le loro attenzioni belliche. Infatti, così, come per l’Iraq e gli altri Paesi in questione, anche per la Russia si è auspicato un regime-change che sancisse la vittoria americana.
Non solo tale pretesa era alquanto esagerata, ma era anche pericolosa, dal momento che avrebbe potuto portare al potere un leader più duro e determinato. “Una pillola difficile da ingoiare per gli americani che da tempo hanno una vera e propria ossessione per la ‘resa incondizionata’” come punto terminale di un conflitto, sul modello della resa del Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale. “Ma la realtà è che la stragrande maggioranza dei conflitti militari si conclude con degli accordi negoziati”.
“Tuttavia, per tutta la prima metà del 2022, quanti hanno chiesto l’avvio di negoziati […] sono stati etichettati come apologeti russi. L’unico esito accettabile, ci è stato detto, è la vittoria totale”.
“Quei giorni stanno rapidamente volgendo al termine. La ‘vittoria totale’ dell’Ucraina, definita come il ritiro totale della Russia, non è mai stata probabile […]. La fine dei giochi sta arrivando ed è una soluzione negoziata. Sfortunatamente, l’accordo arriverà solo dopo un’immensa perdita di vite umane, sia ucraini che russi, e al prezzo di un’enorme perdita di capitali e infrastrutture”. E tale accordo, prevede McMaken, sarà quello ovvio anche a inizio guerra: la cessione di parte del Donbass alla Russia.
Questa la conclusione di McMaken: “Coloro che hanno sostenuto la necessità di una guerra su vasta scala e ‘niente pace fino alla vittoria totale’ si sono sbagliati in modo sbalorditivo”. Un errore “molto costoso”, chiosa McMaken; infatti è stato pagato a caro prezzo, sia in termini di vite umane che di tanto altro…
Sembra che la direttrice sia tracciata. Ma torna alla mente il vecchio detto che recita così: “Una guerra si sa quando inizia, ma non si sa quanto finisce”. Tanti e lucrosi gli interessi in gioco.
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