Siria, il riavvicinamento con Riad porta le bombe (e false flag) Usa
La Siria e l’Arabia saudita hanno annunciato che riapriranno le rispettive ambasciate, chiuse dall’inizio della della guerra siriana (2011) perché Damasco accusava Riad di finanziare per conto dell’Occidente i miliziani scatenati sul proprio suolo e perché, a sua volta, Riad aveva aderito alla campagna per isolare Assad promossa da Washington.
Il nuovo vento che spira in Medio oriente, simboleggiato dalla ripresa dei rapporti diplomatici tra Teheran e Riad, continua a riservare sorprese.
Dialogo tra Istanbul e Damasco?
Non solo i sauditi, anche i turchi stanno riposizionandosi rispetto a Damasco. Da tempo, infatti, Erdogan sta cercando una riconciliazione con Assad, grazie alla mediazione moscovita, scontrandosi contro un muro, dal momento che quest’ultimo chiede che il passo sia preceduto dal ritiro delle forze turche dal suo Paese.
Tale richiesta aveva creato un’impasse nelle manovre di riavvicinamento. Ma, a quanto pare, qualcosa sta cambiando, infatti, secondo il media libanese Al-Akhbar, ripreso da The Cradle, “la Turchia è disposta a fare concessioni riguardo al destino della sua presenza militare in Siria e sta esaminando le opzioni per fissare un calendario per il ritiro delle sue truppe dal paese”.
Il ritiro non darebbe solo sollievo ai cittadini siriani che vivono nelle regioni rimaste sotto il controllo di Damasco, ma anche alla minoranza curda che abita le aree sotto il controllo americano, dal momento che da anni sono bersagliate dalle forze di Ankara.
Insomma, per la Siria si sta dischiudendo una finestra di distensione impensabile solo qualche mese fa.
Bombe e false flag
Ma evidentemente non tutti sono contenti di tali sviluppi. Ieri abbiamo dedicato una nota ai due recenti attacchi dell’aviazione israeliana contro l’aeroporto di Aleppo, prossimo alle aree terremotate e quindi più cruciale per i soccorsi. Di ieri, invece, il bombardamento delle forze Usa contro obiettivi mirati del Paese.
A scatenare le bombe Usa l’attacco di un drone suicida contro una base americana installata in Siria, che ha causato una vittima e qualche danno alla struttura. L’intelligence Usa ha subito dichiarato che a lanciare il drone erano state le forze filo-iraniane presenti nel Paese. Da cui la rappresaglia contro di esse.
L’Iran ha negato la paternità dell’attacco, come anche che le bombe Usa fossero dirette contro milizie a loro collegate nel Paese. E in realtà non si sa bene dove abbiano colpito il raid Usa, dal momento che le informazioni rilasciate dal Pentagono sono generiche.
Una notizia puntuale l’abbiamo trovata su un media arabo ripreso da al Manar ed è questa: “Il corrispondente della televisione libanese al Mayadeen in Siria ha riferito che gli attacchi aerei statunitensi hanno preso di mira il centro di sviluppo rurale e un deposito di grano vicino all’aeroporto militare di Deir Ezzor”.
Tale report è confermato anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, media creato per supportare il regime-change siriano, il quale ha confermato l’attacco a una postazione di miliziani iraniani in un deserto aggiungendo che le bombe hanno colpito anche il “deposito di grano” e un “centro di sviluppo rurale” di Deir Ezzor, che celavano armi e altro.
Fedele ai report statunitensi, l’Osservatorio ha confermato che le bombe hanno ucciso solo miliziani iraniani, mentre il corrispondente libanese ha riferito “di diverse vittime civili, aggiungendo che le ambulanze si sono precipitate nell’area presa di mira dai raid statunitensi”.
Al di là del particolare, resta anomalo che le milizie iraniane abbiamo condotto un attacco che ha causato la morte dello statunitense, dal momento che finora gli attacchi alle basi Usa sono stati del tutto simbolici. Solo un modo per ribadire la richiesta di far ritirare le truppe di occupazione dal Paese, in sintonia con i desiderata di Damasco. Insomma, la versione americana su quanto avvenuto appare poco credibile (quanto all’intelligence Usa, che ha accreditato la tesi, la sua credibilità per quanto riguarda il conflitto siriano è pari a zero).
Peraltro, la tempistica del bombardamento desta sospetti. infatti, quasi contemporaneamente ai raid, i miliziani di Jabhat al-Nusra hanno condotto un attacco su larga scala vicino Aleppo, venendo ricacciati dalle forze di Damasco (Sana Agency).
Destabilizzare Assad, rafforzare al-Nusra
Jabhat al-Nusra, affiliata ad al Qaeda, è stata una delle colonne portanti della guerra siriana, agendo in coordinato disposto con i suoi sponsor d’Occidente. E più volte ha tentato di spingere gli americani a invadere la Siria creando false flag a tale scopo. Possibile che il copione si sia ripetuto.
Peraltro, le bombe Usa, facendo seguito al bombardamenti israeliani contro l’aeroporto di Aleppo, di fatto affiancano e coprono le iniziative dell’alleato mediorientale, che in tal modo non risulta isolato nella sua assertività verso il Paese confinante.
Non si tratta di fare il tifo per una parte o l’altra, semplicemente di registrare come le sofferenze del popolo siriano non sembrano aver fine. Importante il comunicato del Pentagono, nel quale si legge che la rappresaglia era mirata per “limitare il rischio di escalation”. Si spera che sia finita qui, ma ne dubitiamo.
Il punto è che il sisma ha indebolito Assad, destabilizzando ancor più le regioni rimaste sotto il suo controllo. Avevamo scritto in tempi non sospetti, cioè subito dopo il terremoto, che in ambito internazionale qualcuno stava accarezzando l’idea di usare la tragedia per portare a compimento il regime-change. Quanto sta avvenendo negli ultimi giorni, purtroppo, sembra confermare certi timori.
Peraltro, il fatto che Assad stia ricucendo legami internazionali che sembravano rotti per sempre potrebbe indurre i suoi tanti nemici ad accelerare le manovre per far collassare il suo governo prima che si consolidi troppo. Nulla importando che, con esso, collasserà l’intero Paese, che rimarrebbe alla mercé di una destabilizzazione permanente e dei tagliagole in stile Jabhat al-Nusra.
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