La fatale arroganza di chi vuole introdurre la “tassa su Amazon”
di LEONARDO FACCO
Nell’era dell’imbecillità conclamata, risultano attualissime le parole pronunciate illo tempore da Maffeo Pantaleoni: “Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese”.
Il 25 Settembre scorso, la plebe massificata ha solamente scelto una nuova compagine governativa alla quale votare la propria schiavitù, per decreto ovviamente. La dimostrazione è arrivata dal fatto che, benché ancora oggi, siano vigenti le restrizioni demenziali imposte dall’ex ministro Speranza, il gregge manco si preoccupa di belare. Ancor di più, però, preoccupa la propensione alla sottomissione di cui sopra preso atto degli applausi corali per la demenziale “Tassa su Amazon” (così la stampa igienica l’ha “popolarmente” definita), che è l’imposta che l’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha a cuore di implementare per le “consegne a domicilio”.
L’ipotesi di gabella abbozzata in vista del Documento di programmazione Economica Finanziaria (Legge di bilancio, ndr) da presentare entro fine anno. Gli addetti stampa del regime la definiscono così: “Si tratterebbe di una tassa che punta a favorire il commercio di prossimità. Infatti con una ulteriore tassa sulle consegne si cercherebbe di invogliare i consumatori finali a recarsi sul posto per comprare dal negozio fisico anziché da quello online, per favorire le piccole realtà che nell’era dello shopping sul web stanno accusando non poche difficoltà”.
La demenza dei politici, ormai convinti di essere degli infallibili ingegneri sociali, non ha ancora compreso l’ABC dell’economia, ovvero che qualsiasi tributo venga introdotto esso è sempre pagato dal consumatore finale. Ha scritto Lew Rockwell:
- “Per chi conosce la teoria economica e ha assorbito le sue lezioni essenziali, il mondo intorno a noi diventa vivido e chiaro, e certi imperativi morali diventano impellenti. Sappiamo che il commercio merita difesa. Vediamo gli imprenditori come grandi eroi. Abbiamo simpatia per la situazione dei produttori. Vediamo i sindacati non come difensori di diritti ma come cartelli privilegiati che escludono la gente che ha bisogno di lavoro. Vediamo le regolamentazioni non come protezione del consumatore ma piuttosto come imbrogli per aumentare i costi, creati dalle pressioni di alcuni produttori per danneggiare altri produttori. Vediamo le norme antitrust non come una salvaguardia contro gli eccessi delle grandi aziende, ma come una clava ad uso dei più potenti contro i concorrenti più in gamba”.
Ora, non possiamo pretendere che una borgatara conosca Rockwell, o addirittura l’economia, ma che nessuno dei suoi consiglieri – in particolare quei piglianculo che osano definirsi liberali – abbia alzato il ditino per dire “No, cara premier, basta tasse” beh… appare quantomeno incredibile.
L’interventismo governativo sul processo di formazione dei prezzi, la cui prima apparizione celebre fu l’Edictum De Pretiis Rerum Venalium dell’imperatore Diocleziano, intenzionato a calmierarli, è uno strumento corporativista (socialista), che impedisce la libera concorrenza con la pretesa, sempre a parole, di tutelare il consumatore dai cattivi cartelli di privati (leggasi Amazon in questo caso), che giocano al rialzo”, ma che invece costringe il cittadino ad acquistare un bene o un servizio ad un prezzo manipolato, solitamente sempre più alto, che non ha alcun legame con il suo reale valore di mercato. Se all’utile idiota ciò può apparire positivo di primo acchito, in realtà è un danno proprio verso le classi meno abbienti, in quanto esclude forzatamente ogni tipo di concorrenza che possa offrire lo stesso bene o servizio ad un costo inferiore.
La fatale arroganza della casta è ormai oltre ogni limite. Il motivo per cui vorrebbe introdurre il nuovo balzello sarebbe quello di “favorire il commercio di prossimità”. Ora, basterebbe aver letto Ludwig von Mises per smetterla di asserire idiozie sesquipedali di tal fatta. Scriveva il grande economista austriaco nel libro, del 1944!!!, “Bureaucracy”:
- “I veri boss, nel sistema capitalistico dell’economia di mercato, sono i consumatori. Sono loro, con il loro acquistare e la loro astensione dall’acquisto, a decidere chi deve possedere il capitale e gestire le fabbriche. Sono loro a determinare quello che deve essere prodotto, in che quantità e qualità. Il loro atteggiamento è causa di profitti o perdite per l’imprenditore. Essi fanno arricchire uomini poveri e impoverire uomini ricchi.
- I consumatori non hanno pietà. Non comprano mai per aiutare un produttore meno efficiente e per proteggerlo dalle conseguenze della sua incapacità di gestire meglio. Vogliono essere serviti il meglio possibile. E il funzionamento del sistema capitalistico obbliga gli imprenditori ad obbedire agli ordini emanati dai consumatori.
- I consumatori non sono boss facili da accontentare. Sono pieni di capricci e desideri, variabili e impredicibili. Non gliene importa un fico secco dei meriti del passato. Appena è offerto loro qualcosa di più gradito o più economico, essi abbandonano i loro vecchi fornitori. Per loro nulla conta più della loro stessa soddisfazione. Non si curano degli interessi acquisiti dei capitalisti né del destino dei lavoratori che perdono il lavoro se come consumatori essi non comprano più quello che prima compravano”.
Il segreto del suo successo imprenditoriale, spiegava Michele Ferrero, è stato accettare che “fosse il consumatore il padrone di tutto”. Arriverà il giorno in cui anche un manipolo di nazicomunisti riusciranno a comprendere lezioni tanto importanti quanto semplici?
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