Pino Arlacchi - Lenin, Draghi e il "Tafazzi Game" del capitalismo finanziario
Tempi bui per l’Occidente a guida americana. La guerra tra NATO e Russia via Ucraina ha messo a nudo il crollo dell’influenza degli Stati Uniti sul mondo. Quasi tutti i paesi non NATO hanno risposto picche alla chiamata alle armi antirussa di Biden e dei suoi alleati europei.
Il grande flop del potere atlantico è stato favorito da una misura rimasta quasi ignota al grande pubblico, ma il cui peso non è sfuggito alla stampa dei padroni del pianeta. Parlo del sequestro delle riserve estere della Banca centrale russa: un patrimonio di oltre 300 miliardi di dollari congelati nelle banche occidentali dagli Stati Uniti e dai loro vassalli d’Europa.
Secondo il Financial Times è stato proprio Mario Draghi, assieme a Janet Yellen, segretaria del Tesoro americano ed ex-presidente della Federal Reserve, a confezionare un ordigno che doveva far saltare in aria l’economia della Russia e che si è rivelata un clamoroso autogoal, perché ha inflitto un colpo al cuore del capitalismo finanziario terrorizzando banche centrali e possessori di dollari di quasi tutto il pianeta
«Era il terzo giorno della guerra in Ucraina […] e Ursula von der
Leyen aveva trascorso l’intero sabato al telefono del suo ufficio di
Bruxelles cercando il consenso dei governi occidentali […] verso il più
vasto pacchetto di sanzioni economiche e finanziarie mai messo in piedi
[…]
Von der Leyen aveva chiamato Mario Draghi, primo ministro
italiano, e gli aveva chiesto di elaborare i particolari direttamente
con la Yellen. “Eravamo tutti lì ad aspettare – ricorda un funzionario –
perché impiegavano così tanto? Ed ecco che arriva la risposta: Draghi
doveva avere il tempo di spandere la sua magia sulla Yellen”.
In serata l’accordo era raggiunto. Yellen […] e Draghi […], erano veterani di una serie di crisi drammatiche – dal collasso finanziario del 2008-9 alla crisi dell’euro. In quelle circostanze, essi avevano irradiato calma e stabilità su mercati finanziari imbizzarriti. Ma adesso […] il piano che avevano concepito […] era totalmente diverso. Stavano davvero dichiarando una guerra finanziaria alla Russia» (6-4-2022).
Il piano dei due turbofinanzieri ha scatenato una corsa verso la vendita di dollari che dura tutt’ora e coinvolge ogni sorta di detentore, pubblico o privato, nemico od amico che sia, se perfino le banche centrali di paesi come Israele ed Egitto dichiarano che stanno “diversificando i loro asset” (traduzione: ci stiamo sbarazzando delle nostre riserve in dollari).
Il tutto è accaduto senza che la Russia sia stata bastonata più di tanto, visto che il rublo non è andato in caduta libera ma si è rafforzato, e la guerra di Putin viene finanziata da un surplus delle partite correnti di 20 miliardi di dollari al mese.
Perché questo sgomento dei mercati di fronte all’attacco contro le riserve russe? Perché ciò che è successo alla Russia un giorno può succedere a chiunque. In un mondo ormai multicentrico, i rapporti internazionali sono molto più fluidi e incerti che in passato. Ogni paese che incappi in un deterioramento dei suoi rapporti con lo Zio Sam rischierà di vedere i biglietti verdi in suo possesso diventare all’ improvviso radioattivi.
È paradossale che siano stati proprio i due maggiori ex-banchieri
centrali dell’Occidente ad applicare il mantra di Lenin che la
destabilizzazione di un paese inizia col colpirne la moneta. In effetti,
la magnifica coppia ha mandato in pezzi la pietra angolare dell’ordine
finanziario internazionale: i diritti inviolabili di proprietà sui beni
monetari detenuti al di fuori dei confini nazionali.
Mai in passato,
neppure durante la Guerra fredda, si era mai osato “armare” la finanza.
Se questa diventa uno strumento bellico come un altro, le riserve
valutarie che le banche centrali tengono all’estero per ragioni di
sicurezza e praticabilità rischiano di divenire d’un tratto denaro privo
di valore oppure, nel caso dei dollari, dei prestiti forzati al Tesoro
americano. Non a caso è stato il Wall Street Journal a titolare
allarmato: “Se le riserve valutarie non sono più vero denaro, il mondo
si è avviato verso uno shock” (3-3-2022).
Il sistema finanziario è
sempre stato intoccabile perché se la sua infrastruttura viene percossa i
danni maggiori ricadono su chi ne tiene le redini. E da quasi un secolo
queste redini fanno capo a Wall Street, al Tesoro USA e al dollaro.
Circa l’80% degli scambi finanziari transnazionali del pianeta
avvengono oggi nella moneta USA. Prima che Draghi e Yellen gettassero
della sabbia negli ingranaggi della macchina finanziaria, il dollaro
costituiva il 60% dei 14,9 trilioni di riserve valutarie mondiali al
2021.
Il Re dollaro governa tramite il duplice vantaggio di essere
nello stesso tempo una valuta sovrana e la moneta universale di riserva
che serve a tenere in piedi la baracca del commercio e della finanza
della terra. Prima del fuoco amico appena subito, il dollaro era
considerato un bene pubblico, un rifugio sicuro di poco inferiore
all’oro.
Il dollaro gode dell’“esorbitante privilegio” di poter
essere stampato a volontà, senza temere gli handicap dell’inflazione e
del passivo della bilancia dei pagamenti. Il conto viene inviato dagli
USA al resto del mondo nei termini di un costo di signoraggio per la
produzione e il mantenimento di una risorsa a disposizione di tutti.
Senza condizioni.
La dedollarizzazione in corso dimostra come l’Occidente abbia buttato
via il suo controllo della globalizzazione monetaria e
dell’infrastruttura finanziaria. Era l’ultima spiaggia. Mentre Europa e
Stati Uniti non sono più
dominanti in termini di PIL, flussi commerciali, e perfino tecnologia, essi restano comunque i padroni della finanza mondiale.
Ma
Draghi e Yellen hanno segnalato che i beni pubblici da loro offerti non
sono privi di condizioni, essendo diventati una variabile dipendente
delle relazioni internazionali. Ed è così che - senza ovviamente alcun
dolo, ma con una innegabile componente di ottusità - i due hanno
compromesso la sicurezza dei contratti finanziari mondiali ed accelerato
la spinta verso soluzioni alternative. Dimostrando anche che le
sanzioni finanziarie sono tigri di carta.
Se Draghi fosse stato un cripto-comunista avrebbe certamente apprezzato il sarcastico commento di Carlo Marx: “Ben scavato, vecchia talpa”. Ma qui siamo più prosaicamente nel campo del Tafazzi-game.
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