In Italia la libertà di espressione viene confusa con la libertà di ignoranza e di pronunciare sciocchezze, e i tuttologi e politicanti, che dispongono di eccessiva visibilità mediatica, cazzeggiano pericolosamente su argomenti su cui non sanno nulla, i cosiddetti esperti de casa nostra, servi dei servi del padrone, ripetono stereotipi appresi a memoria per omologare al pensiero unico coloro che li ascoltano. Claudio
Catlin Johnstone, una giornalista australiana eterodossa, in una sua angosciata analisi[1] afferma che la terza guerra mondiale è oggi una prospettiva che i media mainstream – e dunque i loro padroni su per li rami della piramide – ritengono possibile, come fosse un’opzione come un’altra. L’oligarchia occidentale e il suo megafono mediatico sono così usciti dal solco della logica e del buon senso, dando un lugubre contributo alla locomotiva che potrebbe condurre il mondo alla catastrofe.
Secondo un nugolo di cosiddetti esperti, alcuni qui di seguito menzionati, gli Stati Uniti devono aumentare subito e di molto le spese militari, perché occorre prepararsi a un inevitabile conflitto mondiale.
Questa patologica esegesi della scena internazionale viene presentata senza alcuna prova e con la veste di una necessità ontologica, come un incendio destinato a scoppiare per autocombustione. Il menu viene poi arricchito con l’elencazione dei nemici pronti a invadere l’Occidente, fortunatamente protetto dalla pacifica nazione americana, la sola in grado di difendere le nostre democratiche libertà.
Il funesto allargamento della guerra in Ucraina – che, coinvolgendo nazioni in possesso dell’arma nucleare, porterebbe allo sterminio della razza umana – sarebbe dunque l’esito di una congiunzione astrale come la gravitazione della luna sulle onde del mare. Essa non dipenderebbe – come invece pensano miliardi di persone al mondo, del tutto ignorate, ça va sans dire – dalla patologia di dominio e di estrazione di ricchezze altrui da parte di quella superpotenza che decide fatti e misfatti del governo ucraino e che dispone del potere di porre fine alle ostilità in qualsiasi momento, se solo rinunciasse alla sua irrealistica strategia di dominio unipolare del pianeta (una valutazione questa condivisa da numerose personalità e studiosi statunitensi, anch’essi ignorati).
Ai cosiddetti esperti e ai compilatori del pensiero imposto non passa per la mente che un cambio di postura da parte dell’unica nazione indispensabile al mondo (secondo il lessico malato di B. Clinton, 1999) metterebbe finalmente fine alle giustificate inquietudini del rischio atomico.
In un articolo dal titolo ‘L’America potrebbe vincere una nuova guerra mondiale? Di cosa abbiamo bisogno per sconfiggere Cina e Russia’ pubblicato su Foreign Affairs – rivista controllata dal Council on Foreign Relations, a sua volta megafono mediatico del Pentagono – si afferma che, ‘sebbene la prospettiva possa infastidire qualcuno, Stati Uniti e alleati devono seguire una strategia che conduca alla vittoria simultanea in Asia e in Europa, poiché’, continua l’autore, Thomas G Mahnken, ‘Stati Uniti e alleati dovrebbero sfruttare il loro attuale vantaggio strategico combattendo su entrambi i continenti’. Mahnken non è uno sprovveduto e si rende conto che una guerra simultanea contro Russia e Cina non sarebbe una passeggiata. Sorvolando su un mondo di dettagli, la sua riflessione si sofferma su un punto: ‘per vincere una guerra del genere gli Stati Uniti devono aumentare, subito e di molto, la spesa militare’, poi si vedrà. Ciò comporta, precisa Mahnken, la necessità di accrescere la produzione militare incrementando i turni di lavoro degli operai, espandendo le fabbriche e aprendo nuove linee produttive. Il Congresso deve stanziare maggiori risorse e al più presto, poiché la spesa attuale per la difesa è inadeguata! A costui importa un fico se nel solo 2021, il bilancio Usa della difesa aveva già superato i 722 miliardi di dollari (cresciuto ancora del 10% nel 2022) equivalenti alla somma dei budget delle dieci nazioni che seguono in graduatoria, Russia e Cina incluse[2]. Nella logica di codesto esperto, ‘per aumentare produzione militare e scorte di armamenti gli Stati Uniti devono anche mobilitare i paesi amici, poiché ‘se la Cina avviasse un’operazione militare su Taiwan, Stati Uniti e alleati sarebbero costretti a intervenire’. E quando menziona gli alleati, egli si riferisce beninteso alle colonie europee che la retorica chiama partner della Nato, un’organizzazione militare questa guidata da generali americani ora diventata globale senza che governi e parlamenti degli stati membri ne abbiamo mai discusso (basta scorrere i comunicati dei vertici di Bruxelles, giugno 2021, e Madrid, giugno 2022), ma solo perché la strategia e gli interessi imperiali lo esigono.
Ad avviso di codesto signore, occorrerebbe distruggere il mondo per difendere un’isola vicino alla terraferma cinese, chiamata Repubblica di Cina. Di grazia, con l’occasione costui potrebbe forse spiegarci il perché. È invero una benedizione che i governi di Taiwan e Pechino mantengono la testa sulle spalle, diversamente da qualcun’altro in Europa, per impedire che il sogno segreto statunitense diventi realtà, scatenando un conflitto devastante.
Non solo, l’articolo menzionato continua: ‘mentre gli Stati Uniti sono impantanati nel labirinto cinese, al governo di Mosca si presenterebbe una preziosa occasione per invadere l’Europa’, corroborando in tal modo il bizzarro paradosso propagandistico secondo il quale Putin starebbe perdendo la guerra in Ucraina, ma avrebbe tuttavia la capacità di invadere i paesi Nato!
In un altro scritto dal titolo ‘Gli scettici hanno torto: gli Stati Uniti possono affrontare sia la Cina che la Russia’, Josh Rogin, editorialista del pacifista Washington Post, punta il dito sia contro i democratici, perché si limitano a un conflitto indiretto contro la Russia, sia contro i repubblicani che invece punterebbero a farlo (anch’esso indiretto) contro la Cina, sostenendo: ‘perché no tutti e due’?
Robert Farley (19FortyFive) nel suo elaborato dal titolo ‘L’esercito americano potrebbe combattere la Russia e la Cina allo stesso tempo?’, scrive che ‘l’immensa potenza di fuoco delle forze armate statunitensi non avrebbe difficoltà a combattere con successo su entrambi i fronti’, concludendo che ‘gli Stati Uniti sono in grado di affrontare Russia e Cina contemporaneamente … di certo per un po’, e con l’aiuto di qualche alleato’, in verità senza troppo entrare nel merito.
A sua volta, Hal Brands (Bloomberg), in “Possono gli Stati Uniti affrontare Cina, Iran e Russia contemporaneamente?’, pur riconoscendo che tale ipotesi sarebbe oggettivamente difficile da governare, raccomanda di intensificare le attività in Ucraina e Taiwan (sempre sul suolo e col sangue altrui), con l’occasione vendendo a Israele armi ancor più sofisticate per fronteggiare l’Iran, e indirettamente Russia e Cina.
In ‘La teoria delle relazioni internazionali suggerisce che la guerra tra grandi potenze sta arrivando’, Matthew Kroenig (Consiglio Atlantico) scrive su Foreign Policy che sarebbe all’orizzonte una resa dei conti globale tra democrazie e autocrazie: ‘Stati Uniti e alleati Nato, più Giappone, Corea del Sud e Australia da un lato, e autocrazie revisioniste Cina, Russia e Iran dall’altro, e che gli esperti di politica estera dovrebbero adeguarsi di conseguenza’, senza precisare bene in cosa consisterebbe tale adeguamento, se non – e si tratterebbe di un buon consiglio – che il mondo è sempre più policentrico e multipolare, fortunatamente deve aggiungersi, e dunque l’Occidente si rassegni.
Alcuni di tali analisti indipendenti negano la tesi che la Terza Guerra Mondiale sia in arrivo, scoprendo d’altra parte l’acqua calda, vale a dire che un conflitto tra Grandi Potenze è già in atto – con specifiche caratteristiche, è ben chiaro (New Yorker di ottobre: ‘E se stessimo già combattendo la terza guerra mondiale con la Russia?’).
Le pontificazioni elencate costituiscono l’evidenza che l’esercito della Grande Menzogna è pericolosamente uscito di senno. Il suo verbo obbedisce alla narrativa degli strateghi occulti che valutano l’ipotesi di un conflitto globale non solo possibile, ma persino naturale, e che nessuno può evitare. Nell’era dell’arma nucleare dovrebbe invece prevalere il principio di massima cautela, moltiplicando gli sforzi a favore del dialogo e del compromesso, della de-escalation e della distensione.
I governi assennati dovrebbero mettere al bando anche solo l’idea che un conflitto nucleare si può vincere, ascoltando la saggia e inascoltata voce della maggioranza dei popoli, tutelando così davvero quella democrazia che pretendono di rappresentare. L’umanità non può rassegnarsi a un destino di distruzioni e violenza orchestrato da oligarchie senza scrupoli.
Coloro che sostengono dialogo e compromesso sono invece demonizzati come sostenitori del sopruso e della debolezza davanti al nemico.
Secondo il vangelo della patologia atlantista, le nazioni autocratiche (il Regno del Male) costituiscono una minaccia per le democrazie occidentali (il Regno del Bene). Sorge spontaneo chiedersi come sia possibile indulgere in tale aberrante distorsione della logica fattuale.
In verità, chiunque opponga resistenza alla pseudocultura della sottomissione imperiale è destinato ad essere aggredito politicamente, economicamente e se del caso anche militarmente (purché non possieda l’arma nucleare, beninteso, perché non si sa mai).
Lo storico Andrea Graziosi, riferendosi al cosiddetto dibattito italiano sull’Ucraina, ma non solo, rileva la risibile conoscenza di temi di politica estera che prevale nel nostro Paese. A suo giudizio, la cultura politica italiana è irrilevante e provinciale, concentrata su aspetti periferici in una logica capovolta rispetto alle priorità e agli stessi interessi dell’Italia, un paese desovranizzato, marginale e asservito agli interessi altrui. I media rifuggono dall’analisi e dal rigore del ragionamento, mentre i pochi intellettuali coraggiosi vengono sommersi dai cosiddetti esperti, sempre di altro, mai dei contesti di cui si parla (solitamente giornalisti o politici improvvisati).
A sua volta, in un pregevole volume (Il virus dell’idiozia) lo studioso di filosofia della scienza, Giovanni Boniolo, ricorda un concetto dato per scontato, secondo cui la libertà di espressione viene confusa con la libertà di ignoranza, rendendo superflui i dati di fatto e innecessaria la loro conoscenza.
La preferenza del criterio binario (bene/male, bianco/nero, giorno/notte), utile talora per semplificare il discorso, s’impone in forma inconscia e universale assumendo le sembianze dell’evidenza, distorcendo la realtà e impedendo l’analisi critica e la presa di distanza dalle menzogne. All’individuo non restano che due opzioni: rinunciare alla comprensione, che viene delegata ai falsi esperti, o appagarsi con un’umiliante alterazione della percezione del mondo.
L’uso acritico degli stereotipi genera un ragionare piatto, che conduce a un’unica conclusione ammissibile, quella digeribile dal sistema.
Un’esemplificazione eloquente è costituita dai tre stereotipi della demonizzazione atlantista della Repubblica Popolare, trasformati in dogmi di fede incontestabili: 1) la Cina punta a dominare il mondo; 2) la Cina è un regime totalitario; 3) la Cina è un paese comunista, dove lo Stato controlla ogni aspetto della società, dell’economia e della vita degli individui.
Il ragionare non binario – che aiuta a non confondere la libertà di parola con quella di dire sciocchezze – suggerisce invece che: 1) non vi sono prove che la Cina intenda dominare il mondo; come ogni altra nazione cerca solo il suo legittimo spazio; 2) la Repubblica Popolare è un paese (da tempo) non totalitario e la sua dirigenza, con tutti i suoi limiti, gode di ampio consenso (nel 2019, 150 milioni di cinesi si sono recati all’estero e nessuno di essi ha fatto domanda di asilo politico in uno dei paesi visitati); 3) la società cinese non è il paradiso in terra, ma come ovunque un mondo complesso e talora contraddittorio, dove i poveri e una crescente classe media convivono con i ricchi, forse troppi, ma in proporzione non più che in Occidente. Le praterie della riflessione sarebbero a questo punto infinite, ma reputo che il punto sia sufficientemente chiaro. Premeva ricordare che ‘la propaganda è un’arte che nulla ha a che vedere con la verità’ (Gianluca Magi: Goebbels, 11 tattiche di manipolazione oscura), che ogni giorno il potere fabbrica di sana pianta calunnie e mistificazioni e che occorre tenere gli occhi aperti. Il conformismo rassicura, l’obbedienza deresponsabilizza. Il risultato è la regressione a livelli minimi di alfabetizzazione valoriale, politica e sociale, che si vuole refrattaria all’analisi critica, ma partigiana di sentimenti primitivi e facilmente manipolabili.
Ma il nostro destino non deve essere la sottomissione, prima di tutto dell’intelletto. Contrariamente a quanto si possa pensare, la sociopatia al potere ha bisogno di consenso, o quanto meno di silenzio, che è poi lo stesso. Non dobbiamo camminare come sonnambuli in un pianeta immerso nella distopia, divenendo complici inconsapevoli. Noi siamo ben più numerosi, e più umani. Possiamo costruire un mondo diverso, occorre solo coraggio e pazienza.
[1] http://www.informationclearinghouse.info/57311.htm
[2] https://www.wired.it/article/nato-spesa-militare-paesi-dati/#:~:text=Quest’anno%20Washington%20spender%C3%A0%20qualcosa,canto%20suo%2C%20spende
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