25 settembre 2022: senza un progetto federalista, sarà solo una dichiarazione di v(u)oto!
Vi sono talvolta motivi di commozione nella vita di un uomo. Di recente, per me, tre. Di uno per riservatezza non parlerò. Dell’altro non dovrei parlare, perché oggetto intimo anch’esso, ma la nascita di una splendida bimba il 22 luglio, dai dolcissimi occhi grigi, mi fa pensare alla verità del discorso libertario che invoca la procreazione – come fa giustamente Piombini da tempo, e non solo lui – per non lasciare il mondo ai barbari: per non lasciar loro questo mondo, conviene dar vita a nuovi umani, che ai disumani, alle macchine, agli alieni e agli alienati un giorno doverosamente si oppongano. Portae inferi non praevalebunt. Combatti per noi, piccola Teresa, quando sarai grande! E noi non ci saremo più. Il terzo motivo è molto più prosaico: preparando il corso di States Economy per l’anno prossimo, finalmente torno in aula, dopo la farsa covid e la sorella sua, quella della guerra, studiavo alcuni indici, tra cui quello della ricchezza globale per PIL nominale. L’Italia è ancora all’ottavo posto, non ostante tutto.
Fa commuovere perché mostra quanto i popoli che compongono l’Italia, e in particolare quelli delle regioni settentrionali, dal 1861 – da quando è nato il supremo aborto dello stato centrale sul modello francese – siano legati al lavoro, alla produzione, alla fatica, in un modo neanche comparabile a quello di molti altri popoli del mondo. Che nobile insieme di popoli aggiogato ad un governo centrale di ladri, filibustieri, strozzini, assassini, mafiosi, camorristi, delinquenti di ogni sorta, non da oggi, ma dal 1861! Anche se non era possibile nascere come federazione o confederazione nel 1861, lo sarebbe stato nel 1948, ma così non fu; dove saremmo ora se fossimo stati non dico dal 1861, ma dal 1948 un paese confederale, che neppure il tenue (se viene tenuto tale) centralismo di una federazione avrebbe dato conto della varietà infinita delle tradizioni di popoli che non furono sotto la stessa amministrazione se non sotto quella ferrea, totalitaria, eppure ogni tanto tinta di federalismo, dell’Impero romano.
Purtroppo, nessuno dei cartelli criminali che si contende la direzione del bordello, il 25 settembre intende porre al centro dei propri programmi politici la trasformazione radicale dell’assetto istituzionale italiano, in direzione federale o ancor meglio confederale. Non converrebbe, in effetti, a nessuno di loro.
Gli indipendentisti paiono morti. Lo sono davvero? Quando all’estero mi dicono che allora da indipendentista non amo l’Italia, rispondo che non esiste italiano più orgoglioso di essere tale, quando si tratti di cultura e tradizioni, dal Prosecco alla Maserati, passando, diciamo così, per Leonardo da Vinci. Semplicemente, l’amministrazione centrale – ma questo varrebbe, tolta ogni aura di sacralità all’infamia chiamata “Stato”, per l’amministrazione di un condominio – instauratasi nel 1861 ma cosa ancor più grave non modificata nel passaggio dal Regno alla Repubblica come sarebbe stato doveroso e salvifico fare – non mi rappresenta, è qualcosa di osceno, di assurdo, di inadeguato. Personaggi come la Meloni che celebrano la tradizione risorgimentale non si accorgono che l’espansione sabauda poteva avere una ragione d’essere, non la sua proterva prosecuzione dopo la caduta del fascismo. Persa quell’occasione, difficilmente, se non toccheremo la catastrofe economica, o una guerra mondiale, se ne ripresenterà un’altra.
Per cui, il 25 settembre, penserò a Carlo V che quel giorno, ma nel 1555, firmò la pace di Augusta ponendo fine alla prima grande guerra civile europea. Amo tutto quel che di bello ha e ha avuto l’Italia, ma la sua amministrazione politica è l’antitesi di tutto ciò, quasi per volersi punire d’essere stati così tanto beneficiati e dalla natura, e dalla Storia.
Vedo liberali sedicenti, semilavorati del sapere, che delirano sulla flat tax al 13%, come in Russia, e pensando ancora che siano le aliquote fiscali a determinare la libertà economica di un paese. La libertà economica è qualcosa di molto più complesso. Vedo morti che credono di essere vivi, nullità che credono di essere qualcosa, e se qualcosa sono, sono un qualcosa di affatto sgradevole.
Vorrei vedere i giovani che sono in gravissima crisi lottare non per il reddito di cittadinanza, pregare non perché i loro nonni non muoiano e così possano ancora dar loro la paghetta, ma vorrei vederli lottare per l’indipendenza di Veneto, Sardegna, Sicilia, di tutte le regioni italiane. Non lo fanno. Se oggi l’Italia è ancora ottava per PIL nominale, lo deve ad un regime di crescenti disuguaglianze, a pochi che lavorano per tutti gli altri, ad un disequilibrio crescente tra Nord e Sud programmato a tavolino ed inteso per arricchire alcuni cui neanche importa di sapere perché le cose stanno così.
Solo l’indipendenza garantisce il futuro, perché l’essere l’ottava economia del mondo per miracoli individuali, per genio creativo e per sudore infinito (di pochi), non vuol dire che non si possa precipitare molto in basso, il Venezuela è stato per un periodo una delle prime economie del mondo. E se si guarda a questi dati, poi, ci si chiede, analizzandoli a fondo, se non ci si trovi in direzione Venezuela. La Germania ha il doppio del PIL nominale italiano. Gli USA dieci volte tanto. Sono due paesi con costituzione federale, anche se, come voleva Miglio, il federalismo tedesco è molto meno perfetto di quello americano. E poi sappiamo che il PIL nazionale è un falso indicatore di ricchezza. Quello dell’India è superiore al nostro. Ma pro capite non è nemmeno di 2000 dollari all’anno.
Con la morte della classe media, il precipizio si avvicina a leggere bene perfino una classifica che ci vede ottavi. Dove saremmo se fossimo una confederazione? Dove sarebbe la Lombardia per PIL pro capite, l’unico vero indicatore di ricchezza, se fosse indipendente? Ai primi posti del mondo, insieme a Singapore. Non è così.
Buon vuoto!
Nessun commento:
Posta un commento