Sarebbe meglio che gli italiani collaborazionisti del governo dispotico e distopico che fomenta l'apharteid chiedessero scusa prima che la situazione degeneri irreversibilmente. Perché il governo non lo farà mai. Claudio
Prima che sia troppo tardi per chiedere scusa
Ricordo la prima sera di lockdown del marzo 2020, per le
strade deserte di tutta Italia rimbombava fragoroso l’inno di Mameli e
l’intero popolo italiano si stringeva a coorte come mai successo prima
negli ultimi cinquant’anni.
La sensazione che pervadeva moltissimi era che ce l’avremmo fatta solo restando uniti.
Un sentimento di ritrovata unità nazionale manifestatosi
difronte a una minaccia sconosciuta che, inevitabilmente, portava con
sé anche la fiducia nello Stato, nelle sue istituzioni politiche,
scientifiche, sanitarie e militari.
Per qualcuno era certamente una fiducia a tempo
determinato, rilasciata obtorto collo, ma era comunque un’apertura di
credito senza molti precedenti recenti.
Da quel momento gli italiani hanno fatto la loro parte, educatamente e in silenzio.
Con grande senso di responsabilità hanno accettato la
reclusione, le privazioni, le chiusure, le pesanti ricadute economiche e
psicologiche, specialmente per i bambini. Perché certi che
quell’abnegazione, se non molta di più, sarebbe stata il motore per chi
la pandemia la stava gestendo a salvaguardia della nazione e della
salute pubblica intesa nel suo senso più ampio.
E invece sono arrivate le multe per chi correva in
solitaria e chi portava i bambini a giocare su spiagge isolate, la
guerra dei click per 600 euro insufficienti per tutti, i ristori
farlocchi, le file al banco dei pegni e un ginepraio di leggi e
provvedimenti bislacchi, ai limiti del farsesco, dal divieto di
mozzarella sulla pizza margherita ai banchi a rotelle.
Ma soprattutto tonnellate di false promesse e un fiume di parole mai veramente pesate a sufficienza.
E intanto i rapporti sociali iniziavano a lacerarsi irreparabilmente, mentre la gente continuava a morire.
Chi per covid, chi per disperazione, chi per fame.
Poi è arrivato il vaccino, una vera manna dal cielo. E
non tanto per i suoi presunti effetti salvifici, tutti ancora da
verificare. Quanto piuttosto per la capacità di quello di spostare il
focus del dibattito.
Il miglioramento del sistema sanitario nazionale, già
dimostratosi ampiamente deficitario e incapace di fornire assistenza
adeguata a tutti - al punto da mobilitare il sostegno internazionale
finanche dalla piccola e povera Cuba - sparisce totalmente dal
dibattito.
Il problema non sono più i posti letto che mancano, le
strutture chiuse o fatiscenti, l’atavica mancanza di uomini e mezzi,
condizioni che obbligano ai “codici blu” che impongono ai sanitari la
drammatica scelta di decidere chi salvare e chi lasciar morire.
Il problema diventa solo ed esclusivamente il vaccino,
la stessa bacchetta magica che lo stato italiano, legato mani e piedi
alle folli politiche europee, non è stato in grado di sviluppare in
autonomia costringendolo a ricorrere alla pericolosa dipendenza dai
colossi privati della farmaceutica.
La società italiana, che tanta commovente unità aveva
incredibilmente dimostrato, si avvia lentamente verso una profonda,
irreparabile divisione, fomentata da una guerra fra poveri alimentata
con l’unico, tangibile obiettivo di manlevare la politica da ogni
responsabilità e consentire a Confindustria di proseguire indisturbata
le sue politiche antisociali.
Il contratto sociale va in frantumi, tutte le
inefficienze, omissioni, dirette responsabilità, mazzette e ruberie
vengono di colpo mondate dalla salvifica individuazione dell’unico
colpevole: il non vaccinato, l’untore.
E come in ogni scenario di decadimento democratico che
si rispetti, individuato il nemico interno diventa di colpo lecita
qualunque bestialità. Insulti, accuse, minacce, ricatti vigliacchi, atti
di discriminazione, segregazione, privazione dei diritti fondamentali
nei confronti di una cospicua minoranza rea semplicemente di non voler
sottostare a un obbligo di legge inesistente. In nome di uno stato
d’eccezione sapientemente sfruttato e piegato all’interesse di parte
viene smantellata la Costituzione e fatto strame dei suoi principi
supremi. L’unità nazionale incredibilmente applaudita dal Presidente
della Repubblica si polverizza.
Trent’anni di malaffare, servilismo proconsolare, ottusa
adesione a scellerate politiche austeritarie e liberiste finiscono nel
dimenticatoio. Fratelli d’Italia non risuona più con orgoglio nelle
strade, ora tornate ad affollarsi di una nuova umanità.
È l’alba di un nuovo popolo eletto, forgiato nel fuoco
della pandemia, figlio di un moderno destino manifesto che ha proclamato
la scienza dio della contemporaneità. Un popolo invincibile che tutto
può, talmente potente da farsi nuovo nomos e rivendicare l’insindacabile
diritto di decidere della libertà e della vita altrui. Per la minoranza
parassitaria e colpevole di ogni male non c’è più posto. Condannata a
morte perché la nuova Italia chiamò. Il popolo che fece grande quella
vecchia, che innumerevoli volte l’ha ricostruita e resa florida, invece,
non esiste più. Spoliticizzato, fiaccato e disperso ha definitivamente
smarrito il ricordo di sé stesso.
Burattinai, finanzieri, speculatori e traditori della
Patria possono finalmente proseguire indisturbati la loro opera e
governare la loro nuova creatura. Una massa informe e impaurita in grado
solamente di obbedire.
Non è solamente una battaglia di retroguardia, non è
questione di vaccino sì vaccino no. Non è soltanto la lotta contro il
greenpass. In ballo c’è molto di più. E chi non l’ha ancora capito
rischia di svegliarsi dal torpore con una bella uniforme addosso. Quando
sarà troppo tardi per chiedere scusa.
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