Pandemia, Analfabetismo Funzionale E Demenza Digitale
Lo stato di pandemia nel quale viviamo non ha fatto altro che acuire un problema che già ribolliva sotto la crosta del nostro paese: quello dell’analfabetismo funzionale. Ovvero la condizione di persone che, pur avendo ottenuto un’istruzione di base (e talvolta anche eccellente), non dispongono delle competenze di lettura, scrittura e calcolo necessarie per gestire in modo autonomo la loro vita quotidiana e professionale. In altre parole, l’analfabetismo funzionale porta all’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni incontrabili nell’attuale società.
Come dicevo, però, l’attuale emergenza pandemica ha semplicemente amplificato e reso visibile un problema già presente da tempo. Secondo uno studio pubblicato nell’ottobre del 2013 ed eseguito dal Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC) in 31 paesi, l’analfabetismo funzionale colpisce in Italia il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni, mentre il 35% degli studenti di terza media non capisce un testo d’Italiano. Dati allarmanti, che rendono il nostro paese il fanalino di coda d’Europa, insieme a Spagna e Turchia.
È evidente che l’emergenza sanitaria, con tutto il suo sovraccarico informativo, non ha certo dato una mano, anzi, ha dimostrato come la partecipazione di queste persone alla vita sociale, culturale, politica ed economica del paese si riduce progressivamente con il crescere degli eventi. Dinanzi ad uno scenario epocale fatto di notizie contrastanti e talvolta fuori da ogni logica razionale, ci siamo ritrovati una popolazione passiva, scarsamente propensa a manifestazioni di insofferenza, una popolazione addomesticata, incapace di scorgere il pericolo e che pende costantemente dalle labbra del governante di turno.
“Gli ignoranti saranno sempre ignoranti, perché la forza è nelle mani
di chi ha interesse che la gente non capisca.”
Cesare Pavese, “La luna e i falò”
Ed eccoci qui, nella nostra bella società tecnologica, altamente performante, ma che soffre della più subdola delle malattie: il pensiero acritico. Una società nella quale regna un linguaggio povero e mal strutturato, drogata di nozionismo, indifferente all’analisi e all’approfondimento, instupidita da un sovraccarico informativo; è una società che non sa ragionare, non sa pensare, dotata di una comunicazione sterile e involuta, colma di analfabeti funzionali come conseguenza della parcellizzazione dell’attenzione creata dal crescente, anzi costante uso di smartphone e device vari.
Arriviamo così a una nuova questione sociale dopo quella dell’analfabetismo funzionale: la demenza digitale. Una psicopatologia emergente, teorizzata e coniata dal neuro/scienziato Manfred Spitzer, autore di diversi saggi su tale tema. Una demenza caratterizzata da appiattimento emotivo, ma non solo, perché con la diffusione della tecnologia informatica e l’utilizzo costante dei media digitali, viene a svilupparsi nel soggetto che ne abusa una difficoltà di attenzione e di memoria e un notevole declino delle capacità di apprendimento.
In altri termini, possiamo asserire che è in corso un vero e proprio processo di involuzione mentale, in quanto tutte le elaborazioni vengono affidate ai vari dispositivi tecnologici che “pensano” e l’essere umano diventa sempre più “pensato”. Perché scervellarsi quando con un clic si può ottenere tutto? Perché “pensare” quando la tv e i social forniscono pensieri già belli impacchettati e preconfezionati? Perché cercare informazioni autorevoli quando basta uno scroll sul display o pigiare un tasto qualsiasi del telecomando?
Ma la verità è un’altra. Perché se da una parte è vero che la digitalizzazione della società ha, e di molto, alleviato il lavoro delle attività mentali; dall’altra parte bisogna però constatare che questi strumenti digitali si stanno, progressivamente, sostituendo alla laboriosità dei nostri neuroni. E sapete cosa significa? Significa la distruzione dei neuroni stessi. Questi ultimi, infatti, quando diventano inattivi si autodistruggono, causando un forte regresso cognitivo. Non dimentichiamo che il cervello è un muscolo, un muscolo che una volta messo a riposo e non riuscendo più ad allenarsi, si atrofizza. Ricordo bene mio nonno quando, vedendomi con un dispositivo in mano mi urlava dietro: “Quella roba lì, vi brucerà il cervello!”. Nonno, avevi ragione da vendere.
“La demenza digitale si caratterizza
sostanzialmente per la crescente incapacità di utilizzare e di
controllare appieno le prestazioni mentali, ossia pensare, volere,
agire, di sapere cosa accade, dove ci troviamo e, in ultima analisi chi
siamo.
Si instaura così un circolo vizioso di perdita di controllo, progressivo declino mentale e fisico, decadenza sociale,
isolamento, stress e depressione.”
Manfred Spitzer – “Demenza Digitale”
Di questo passo in giro non vedremo più esseri pensanti e indipendenti, ma esseri dallo sguardo assente, dalla mente narcotizzata e dal cuore congelato. Individui non più capaci di comprendere e di sentire quell’essenza che li distingue dalle macchine, automi inconsapevoli delle implicazioni etiche di ogni loro scelta e azione, esseri convinti che un’opinione qualsiasi sia “la verità”.
Eppure c’era un tempo in cui era considerato normale vergognarsi della propria ignoranza e provare a ribellarsi era un dovere morale, com’era normale voler crescere nel desiderare un proprio riscatto sociale. Nel mio libro “Schiavi del Tempo” scrivo quanto segue: “Se un tempo si era consapevoli delle proprie lacune e le si gestiva con un certo grado di umiltà, oggi riusciamo a colorare di spocchia persino la nostra ignoranza. Crediamo di sapere tutto ma la verità è che non sappiamo niente. Indifferenti all’analisi e all’approfondimento, nuotiamo annaspando in superficie ignari degli abissi e indifferenti a ciò che potrebbero svelare, se solo glielo concedessimo.”
Un popolo, quello italico, che in tempo di pandemia ha mostrato ampiamente cosa “non è” assolutamente capace di fare. In un periodo critico nel quale dovevamo emergere più uniti che mai, ci siamo invece contraddistinti per ignavia e inerzia, ci siamo sfaldati e divisi ancora di più, in un tutti contro tutti dove il pessimismo della ragione e tutto ciò che ci resta. Che grande spreco, che grande occasione persa!
E allora, l’unica strada che ci resta da percorrere è quella della presa di coscienza, prendere consapevolezza che la pandemia ha ingigantito due mostri come l’analfabetismo funzionale e la demenza digitale. Non c’è solo un virus da sconfiggere, c’è un futuro da rendere a misura d’uomo e possiamo farlo soltanto attraverso il presente. Bisogna formare cittadini, non sudditi. Esseri umani, non automi. Cittadini democraticamente autonomi, in grado di acquisire uno spirito critico che possa aiutarli a destreggiarsi nell’oceano di informazioni in cui navigano a vista. È tempo di comprendere il valore della competenza, che possiede le sue radici nella conoscenza. È tempo di riscoprire i valori umani, a partire dalla dignità e dall’umiltà. Spirito critico, competenza, conoscenza e valori umani; ecco il vero “lasciapassare” per il nostro futuro.
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