Johnson annuncia il ritorno alla normalità pre-Covid: UK primo a uscire dalla pandemia
Via pass, mascherine e presto anche le norme sull’auto-isolamento. Ma il premier rischia la mozione di sfiducia dai suoi per il partygate
In una drammatica seduta del Question Time alla Camera dei Comuni, mentre i deputati del suo stesso partito lo invitavano a farsi da parte per il partygate e un MP conservatore annunciava il suo passaggio al Labour, Boris Johnson ha posto fine alle misure restrittive prese a dicembre per contenere la variante Omicron. Il primo ministro ha infatti affermato che le mascherine nei luoghi al chiuso e sui mezzi di trasporto, il Covid Pass per gli eventi a rischio affollamento e il lavoro da casa non sono più necessari dal prossimo giovedì 27 gennaio, dato il decremento dei contagi nell’ultima settimana. Bisogna smetterla però di scrivere che Johnson “toglie il Green Pass“, perché nel Regno Unito non è mai esistito il Green Pass, non nelle forme malate in cui è stato introdotto da noi.
Vicina anche la fine delle norme sull’auto-isolamento. Johnson ha infatti annunciato che “arriverà presto un momento” in cui la misura dell’auto-isolamento potrà essere rimossa del tutto, “così come non imponiamo alle persone obblighi legali di isolarsi se hanno l’influenza”.
D’altronde, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva sostenuto nei giorni scorsi che il Regno Unito può uscire per primo dalla pandemia, trasformarla in endemia, e riprendere la normalità pre-Covid per primo tra le nazioni occidentali. Sono oltre 36 milioni i cittadini britannici che hanno effettuato la terza dose “booster”, e la variante Omicron si è sì rivelata più contagiosa, ma molto meno pericolosa di quanto previsto. Johnson, che al Question Time, ha dovuto rispondere ancora a domande sui drink post-lavoro a Downing Street, ha così accolto le richieste del partito, che lo scorso dicembre votò con 99 suoi componenti contro il Covid Pass.
Eppure, la giornata di ieri ha segnato forse anche il punto di non ritorno per il leader Tory. Sempre più deputati del gruppo conservatore ai Comuni stanno sottoscrivendo la lettera da spedire al presidente del 1922 Committee per sfiduciarlo. Nella giornata di martedì, 20 deputati eletti nella ex muraglia rossa laburista si sono riuniti con a capo la deputata di Melton, Alice Kearns, per discutere della sua rimozione. La stampa ha parlato di “Pork Pie Plot”, dal nome della torta alla carne di maiale prodotta nel collegio della deputata. I sostenitori del primo ministro per la prima volta hanno ammesso a fari spenti che l’ipotesi di andare verso un leadership contest è una possibilità concreta.
Uno dei congiurati, l’MP di Bury, Lancashire, Christian Wakeford, è andato oltre, annunciando il suo passaggio dai Tories al Labour e giustificando la sua defezione con una lettera pepatissima a Johnson. Wakeford, però, ha dovuto fare fronte all’accoglienza tutt’altro che calorosa riservatagli dai giovani laburisti di Young Labour UK. Con un tweet il movimento lo ha definito “non benvenuto”, poiché “ha sempre votato contro gli interessi della working class”. Il sito di gossip politico Guido Fawkes ha anche rivelato che Wakeford fu sostenitore di un disegno di legge per obbligare alle dimissioni e alla conseguente elezione suppletiva i deputati “voltagabbana”.
Oltre al suo umiliante cambio di casacca, Boris Johnson ha dovuto subire anche l’attacco dell’ex ministro per la Brexit (ed ex aspirante leader Tory), David Davis, che, citando le parole rivolte dal deputato Tory Leo Amery a Neville Chamberlain oltre 80 anni fa, gli ha detto: “Per la Grazia di Dio, vattene!”. Il primo ministro ha ripetuto nuovamente di aspettare l’esito dell’inchiesta sui party di Downing Street della civil servant Sue Grey, previsto per la prossima settimana. Difficile che l’enquiry identifichi i nomi e i cognomi dei contravventori alle norme anti-Covid a Downing Street e a Whitehall. Johnson, forse, sta guadagnando tempo, ma il magic number per arrivare a dare il via al leadership contest in casa Tory, 54, sembra sempre più vicino.
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