L'ingegneria sociale applicata alle masse, soprattutto sui giovani e particolarmente in Italia scelto come paese laboratorio, ha avviato un’idiotizzazione di massa che non ha precedenti nella storia umana e i cui frutti saranno tragici e i primi segnali sono già evidenti. Claudio
La Giovine Italia
Stando a quel che dice il governo, si sarebbe sottoposto al noto trattamento genico sperimentale l’89% dei nostri connazionali compresi nella fascia d’età fra i 20 e i 29 anni (e il 44% avrebbe pure già fatto il “booster”). Guardando alle singole regioni, si va dal 78% del Molise al tracotante 94 e passa per cento di Lombardia ed Emilia-Romagna. Per quanto ritoccati e taroccati, questi numeri ci descrivono la Giovine Italia. Tutto ciò è spaventoso, ma non casuale: gli Ingegneri Sociali hanno arato, hanno seminato ed ora i loro padroni possono raccogliere. Volendo provare a delineare i contorni di questa tragedia, è meglio iniziare dalla fine, quand’essa si trasforma in una macabra farsa.
L’Astra-night del DJ Siringa
L’estate scorsa, in concomitanza con l’entrata in vigore del famigerato certificato verde, zelanti burocrati di provincia si sono accodati al trenino di influencer, cantanti e campioni dello sport nella promozione dei “vaccini” presso i giovani italiani. Le ASL hanno provato ad “influensarli” adoperando linguaggi e simboli che si è supposto potessero toccare le corde delicate della loro coscienza, con esiti grotteschi e sottilmente inquietanti.
La campagna di siringamento giovanile ha preso di mira soprattutto le località balneari. Sapore di mare, sapore di Pfizer. Hanno tirato parecchio i “camper dei vaccini”, in grado di battere le spiagge da Nord a Sud o da Est a Ovest, come la geografia comanda. In Liguria, l’anglofila ASL 4 ha messo sulla strada il il “Gulliver 4 Teens By The Sea”, che si è fatto tutto il Golfo del Tigullio siringando “teens”. Successivamente, la Regione Liguria ha saputo fare tesoro dell’esperienza di Gulliver ed ha ricalibrato il tiro inventandosi “Capitan Vaccino (e il ritorno alla libertà)” per i bambini dai 5 agli 11 anni. Nella vicina Toscana, il “camper dei giovani” è stato lasciato senza nome, ma è stato tappezzato di adesivi con lo slogan inventato da qualche mente raffinatissima: “Giovani Sì Vaccinano”. Un giovane che si è vaccinato e che si farà strada nella vita, il già pupillo di Renzi Bernard Dika, uno che era stato prima messo a capo del Parlamento Regionale degli Studenti e per il quale poi hanno ritagliato su misura, all’età di 22 anni, il ruolo di “consigliere del Presidente Giani per l’Innovazione e le Politiche Giovanili”, ha così presentato l’iniziativa: “La Regione Toscana esce da questo palazzo e va in mezzo ai giovani”. Per la cronaca, il camper, partito da Follonica, ha risalito la costa tirrenica a botte di 150 giovani al giorno. Più “social”, sempre in Toscana, la crociata vaccinale bandita contro i residenti delle province di Arezzo, Siena e Grosseto sfoggiando sul mantello l’hashtag #dedicolimiovaccinoa. Per partecipare, bisognava “scattarsi una foto durante o dopo il vaccino, postarla sui social e taggare tre amici, menzionando azienda Usl Toscana Sud Est su Facebook”. A quel punto, se a qualcuno dei tre “amici” fosse scappato un segno di assenso, la burocrazia vaccinale li avrebbe prontamente accalappiati.
Più a Sud si sono dovuti inventare qualche incentivo in più per spingere i giovani verso l’ago salvifico. In Campania, per esempio, da un lato han fatto leva sul lirismo che soggiace anche negli animi più abbrutiti, dall’altro hanno titillato le pance più corruttibili. Il riferimento è all’invito a “vaccinarsi guardando le stelle” (pur se all’interno di un camper) lanciato nella Costiera Cilentana e al “Vaccino sotto le stelle con aperitivo” organizzato nella più nordica Eboli. A Messina, invece, si son voluti rovinare: la giovane assessora Nadia Gnoffo ha fatto ai suoi giovani concittadini un’offerta che non si può rifiutare, quella del “vaccino con apericena”. La siringa, insomma, è stata la moda dell’estate, come non accadeva dai lontani anni ’80. Altre mode le han fatto da corollario: quella dell’abbronzatura mascherinosa, lanciata da Pregliasco già nello scorso mese di aprile, e quella, assai più promettente per il radioso futuro, di farsi tatuare sul braccio il QR Code da inoculazione. Protagonista di questo gesto di avanguardia è stato uno studente universitario calabrese, Andrea Colonnetta, che lo ha così motivato: “È stato come dipingere un momento particolare della mia vita. Ho voluto rappresentare le difficoltà del momento attraverso un tatuaggio che resterà indelebile”.
Verso la fine della bella stagione, il pifferaio tragico si era già portato via un bel po’ di giovini, ma tanti mancavano all’appello. A Cagliari, per stanare gli ultimi riluttanti, hanno fatto le cose in grande, organizzando “It’s open night. C’mon” (e dire che una volta si battevano per la tutela della lingua sarda), campagna promozionale per la “night” vaccinale del 31 agosto scorso, quando furono profanati in 1200 “giovani fra i 12 e i 35 anni”, ai quali era stata formulata una proposta indecente con “Gadget colorati, una postazione per i selfie con l’hashtag #vaccinati e un dj set dalle ore 20 alle ore 24 per una serata all’insegna della leggerezza, ma sempre con la massima tutela della salute, ed evitando quasiasi assembramento”. Pure il mondo del calcio si era mosso per promuovere le punture virtuose: fra le tante società impegnate su questo fronte, si sono distinte Roma e Lazio, per una volta affratellate per una giusta causa: la consegna di biglietti omaggio a giovani tifosi neosiringati. Ad aggiungere un tocco morboso all’esperienza, il fatto di essere accolti da Romolo, la mascotte della squadra giallorossa che pare uscita dal deep web.
Primavera di bellezza
Gli effetti avversi innescati dall’inoculazione del siero genico sperimentale si si son presto palesati, talvolta evolvendosi in tragedie che a stento sono state riportate dalla stampa locale. Oggi, formano un macabro archivio in continuo aggiornamento. A farne le spese, fra gli altri, sono state alcune giovani “influencer” che hanno condiviso le loro pericarditi e miocarditi attraverso i rispettivi profili Instagram. La costante dei loro messaggi, con i quali si è “vetrinizzata” pure una malattia, è stata quella di ribadire la propria fede nelle siringhe sacre, di assicurare che potendo tornare indietro rifarebbero tutto da capo, di invitare i “follower” ad inocularsi al più presto. La dissonanza cognitiva eretta a sistema. La sindrome di Stoccolma elevata all’ennesima potenza. La Giovine Italia di oggi che si manifesta in tutto il suo fulgore.
Di tanto in tanto, un qualche allarme fa capolino dalle cronache covidiste. La depressione starebbe dilagando fra i giovani, dopo due anni di misure pseudosanitarie che hanno ridotto le possibilità di socialità fino ad annullarle, oltre a permeare tutti gli ambiti del vivere di una mefitica paranoia i cui effetti si misureranno nel tempo. Il terreno sul quale si innestano queste epidemie di ansia e mal di vivere era già stato ampiamente concimato, ed i tormenti da esso scaturiti non assomigliano a quelli del giovane Werther. Fra i numerosi effetti avversi della Vita Giovane nell’Immenso Occidente del XXI secolo, uno che non trova corrispondenze nella pur vastissima bibliografia del disagio giovanile è quello degli “hikikomori”, termine di origine giapponese che designa giovani, prevalentemente maschi, che scelgono di sfuggire alla società dell’ immagine e della competizione recludendosi nelle proprie camerette, tagliando i ponti col mondo reale ed immergendosi con tutta l’anima in quello digitale. Nel nostro paese, secondo stime condotte dall’associazione Hikikomori Italia, i reclusi per scelta sarebbero circa centomila; durante le lunghe segregazioni governative si sono mimetizzati con i forzati della reclusione ed ora vanno allargando le loro schiere acquisendo nuovi adepti fra le tante vittime della dispersione scolastica, della fobia da contagio, dell’asocialità promossa a reti unificate. Se gli hikikomori rifiutano il mondo dando vita ad un inedito eremitismo postmoderno che non potrebbe sussistere senza le protesi tecnologiche, altri giovani disagiati danno vita alla subcultura degli “snowflakes”, i fiocchi di neve che si sciolgono al primo raggio di sole. Ipersensibili e cresciuti all’interno di una bolla ovattata, sono insofferenti ad ogni tipo di critica e di opposizione e reclamano la centralità del “rispetto” verso l’altrui sensibilità. All’atto pratico, sono i più ricettivi nei confronti dei messaggi postumanisti veicolati dall’alto e quindi i più contaminati dalla propaganda covidista. Cultori del politicamente corretto e della censura più rigorosa e pervasiva, danno corpo alle ultime, evanescenti espressioni di “impegno politico” sposando le cause promosse dalla cupola transnazionale e partecipando alle parate di regime in nome della lotta al riscaldamento climatico o al razzismo: in Italia, questo sentire trova compimento nell’ambito delle cosiddette “Sardine” e del vuoto cosmico da esse generato.
Fece scalpore, nel maggio scorso, la vicenda dello studente diciottenne di Fano sottoposto a T.S.O. per essersi rifiutato di indossare la mascherina in classe. Questo perché non si erano verificati, in precedenza, significativi episodi di ribellione, foss’anche impulsiva e “prepolitica”, contro le deliranti norme messe a punto dal governo per “prevenire il contagio” negli ambienti scolastici. Tutte le proteste, al contrario, scaturendo da una matrice “sardinista”, hanno piuttosto accusato la politica di lassismo, invocando maggiore decisione nella “lotta al virus”. L’ultima in ordine di tempo è stata l’occupazione del liceo Manzoni di Milano, conclusasi, nella data preannunciata, con l’istituto sanificato dagli stessi studenti. Fra le richieste dei liceali insorgenti, il vaccino obbligatorio ed il perfezionamento del sistema di tracciamento. Vogliono che li si tracci sempre e comunque, e ci tengono a mantenere le distanze, anche durante la rivoluzione: nelle notti del Manzoni occupato, è stato previsto il “sacco a pelo a numero chiuso”.
“Giovane ribelle” è diventato un ossimoro.
I giochi della gioventù
Hikikomori e fiocchi di neve sono comunque minoranze, avanguardie più o meno consapevoli di un processo che riguarda tutti. La maggioranza è formata da quelli che ancora, se contenuti entro quattro mura, scalpitano reclamando la libertà furiosa dei loro quindici anni, finendo in certi casi per scoppiare in un impeto di violenza che è, quella sì, vecchia come il Vecchio Mondo. Le cronache hanno riportato, ad ogni riapertura, un deflagrare di risse, accoltellamenti, raid vandalici e rapine aventi come protagonisti ragazzini repressi, annichiliti dalla paura e dal senso di colpa, abbandonati ad una non vita davanti ad uno schermo. Squagliatesi la famiglia e la scuola, son diventati tutti figli di Mammona, monadi impotenti davanti ai flussi incessanti di lusinghe ammiccanti, suggestioni luccicanti, impulsi intermittenti. L’esercizio della violenza, pur obbedendo di fatto ad uno degli impulsi di cui sopra, potrebbe essere associato ad un fuoco ignorante che cova sotto la cenere, ad una fame di vita che riesce ancora a mordere il freno, nonostante tutte le anestesie.
Chi non riesce ad entrare in un branco e sfogare la sua aggressività contro altri disgraziati, finisce talvolta per accanirsi contro se stesso: gli atti di autolesionismo ed i disturbi alimentari fanno parte della quotidianità sin dalla preadolescenza. Il suicidio, extrema ratio, matura in un deserto comunicativo: ciascuno è solo davanti all’Abisso. Fra le ineffabili tragedie che ogni tanto rimbalzano nelle rassegne stampa, si ricorda quella che colpì tre famiglie milanesi nel settembre scorso, quando tre ragazzini si tolsero la vita, nella stessa città, alla vigilia del primo giorno di scuola, senza che alcuna trama intellegibile potesse collegarne le sorti. Il fenomeno riguarda anche bambini delle elementari, ancor più vulnerabili davanti all’eclissi delle agenzie educative tradizionali. Pochi giorni dopo la morte di una dodicenne palermitana, che aveva preso parte ad un fatale “challenge” di morte su Tik Tok, il “social” dei minorenni, due casi si verificarono in Puglia, vittime due bambini di nove anni, di cui uno si tolse la vita nella sua cameretta, mentre un’altra cercò di impiccarsi nel bagno della sua scuola e venne salvata dalle maestre. Portando a termine le “sfide”, si guadagnavano “follower”, cioè numeri impressi sui pixel, mentre le famiglie vivevano nel buio della coscienza, completamente ignare delle voragini digitali che avevano risucchiato i figli. Azionisti di maggioranza di questa dissoluzione sono proprio quei parallelepipedi magici al di fuori dei quali nessuna vita è possibile.
L’inizio della fine
Pier Paolo Pasolini, attraverso le pagine del suo incompiuto Petrolio, descriveva in termini lucidi ed assai poco lusinghieri i giovani di un’epoca alla quale si affacciava col pessimismo proprio della maturità, gli anni ’70 del secolo scorso. Il Merda, Cinzia ed i loro amici amorfi sono abietti borgatari che hanno sciolto la loro identità sottoproletaria e “controculturale” nell’eggregora dominante, nel consumismo obbligatorio, in un’omologazione di regime ancor più pervasiva di quella dei totalitarismi novecenteschi. Nella visione pasoliniana, questi ragazzi disumanizzati rappresentano ultracorpi invasori in grado di conquistare il mondo in una sola generazione. Così è stato, infatti, ed i giovani di Petrolio sono quelli che hanno messo al mondo la Giovine Italia di oggi.
Il Grande Reset delle anime iniziò allora, secondo il poeta, penetrando poi sottotraccia in tutti gli interstizi della società. Prima o dopo, tutte le classi e le identità sarebbero state assorbite dall’egemonia del nulla. La televisione inghiottì le anime dei padri così come i telefonini si sono presi quelle dei figli. Il differente potenziale distruttivo è determinato dal diverso grado di “sviluppo tecnologico”. La televisione, in effetti, qualche spazio alla vita lo lasciava. Le protesi tecnologiche sono invece la vita stessa. Se uno vi si trova esposto per un certo lasso di tempo (la cui durata varierà da caso a caso, come tutte le cose di questo mondo), sarà irrimediabilmente compromesso, fottuto, contaminato esattamente come uno sciagurato che si sia trovato esposto alle radiazioni nucleari. I cosiddetti “nativi digitali” sono nati in un Inferno radioattivo. Mentre si viaggia verso un’idiotizzazione di massa che non ha precedenti nella storia umana, si raccolgono i frutti politici di questa mastodontica operazione di ingegneria sociale che ha l’ambizione di rivaleggiare, superbamente blasfema, con l’opera di Dio. Hanno estirpato la Vita dal petto dei giovani. Hanno messo sul Futuro un’ipoteca che sarà difficile cancellare.
di Moravagine per Comedonchisciotte
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