Sfascio culturale, sistemi simil-cinesi, leadership logore: i sintomi del declino dell’Occidente
È assai probabile che il declino dell’occidente sia iniziato un po’ prima del marzo 2020, quando lo scoppio dell’epidemia su scala globale ha portato a un’incredibile metamorfosi dei nostri sistemi politici e all’imposizione di regole impensabili per le democrazie moderne di tradizione liberale. È altrettanto vero che i segni del disfacimento culturale erano già tutti presenti in alcuni tic ideologici figli di un finto progressismo e giustificati dalla pigra tendenza al politicamente corretto. Fenomeni come i Friday for future promossi dall’attivista Greta Thunberg, la raccapricciante cancel culture, le paranoie lessicali sui pronomi con l’uso di asterischi e schwa erano già la spia di profondi cambiamenti in atto; mutazioni che, però, non hanno arricchito la società anzi ne hanno fiaccato un certo dinamismo intellettuale costringendo tutto il sistema mainstream ad arroccarsi su posizioni di retroguardia, ad avere il timore di uscire dai binari e, infine, a omologarsi a formule vuote, insulse e anacronistiche.
In questo sfascio intellettuale si è abbattuta l’onda pandemica proveniente dall’Asia spazzando via i residui anticorpi e producendo danni macroscopici. Abbiamo conosciuto il confinamento domiciliare, il divieto di oltrepassare il perimetro del proprio comune, il coprifuoco, la delazione, il lasciapassare. Tutta roba incompatibile con i diritti costituzionali ma metabolizzata fin dal primo momento dalla maggioranza della popolazione. D’altronde, la paura è un’arma potente capace di incarognire l’essere umano e polarizzare lo scontro. Adesso, dopo due anni vissuti pericolosamente, alla ricerca spasmodica del capro espiatorio di turno, non deve meravigliare che tutto il blocco occidentale si sia trovato spiazzato, oltre che in una posizione di assoluta debolezza, davanti alle mire espansionistiche del Cremlino. Era già successo in estate durante il precipitoso e rovinoso ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan che ha riportato in auge i talebani e connotato in maniera assai negativa le prime fasi dell’amministrazione Biden.
Tuttavia, una volta che si è derogato ai principi fondamentali, che si sono messi in sordina i diritti individuali, diventa assai problematico presentarsi sullo scenario internazionale in posizione di forza con leadership logorate, ormai prive di autorevolezza e credibilità. Basta passare in rassegna una serie di episodi per accorgersi del terreno perduto, delle conquiste civili gettate al vento, dell’involuzione di un modello invidiabile, anche se imperfetto, che si è accartocciato su se stesso. Per esempio, la reazione scomposta del governo canadese alla protesta dei camionisti contrari a obblighi sanitari e lasciapassare è indice di una preoccupante distorsione della normale dialettica democratica. Arrivare a utilizzare sistemi di tracciamento simil-cinesi e a bloccare i conti correnti bancari dei riottosi significa valicare una frontiera finora ignota per il mondo occidentale. Eppure, il sistema di credito sociale prende sempre più piede, con l’Italia che è l’avanguardia di questo assurdo laboratorio, di questo esperimento sociale come da azzeccata definizione del Washington Post.
Peraltro, proprio nel nostro Paese, all’inizio dell’emergenza si verificò un episodio abbastanza controverso e mai chiarito: i convogli militari russi che sfilarono lungo le strade deserte della penisola per giungere fino a Bergamo. L’operazione denominata “Dalla Russia con amore”, ufficialmente dettata da ragioni umanitarie e condotta nel territorio di un Paese aderente all’alleanza atlantica, passò praticamente inosservata. Peraltro, quello italiano è rimasto un caso isolato perché nessun’altra nazione ha consentito l’ingresso di personale militare russo all’interno dei propri confini, nemmeno la Cina. Allora al governo c’era Conte ma, a quanto pare, l’atteggiamento remissivo, dettato anche dalla dipendenza dalle forniture russe di gas, non è mutato come ha ricordato un editoriale del Wall Street Journal che non è stato molto tenero con il premier Mario Draghi.
Forse, con queste premesse, si riesce a comprendere pure il motivo per cui proprio l’Italia fa più fatica ad abbandonare tutto l’armamentario pandemico arroccandosi in questa strenua difesa del lasciapassare che da strumento eccezionale potrebbe diventare ordinario. A questo proposito, suonano piuttosto sinistre le parole di Walter Ricciardi, consigliere del ministro Speranza, il quale ha detto a La Stampa che “stiamo vivendo un cambiamento epocale e non ritorneremo mai più alla situazione di prima”. Ancor più inquietante è il passaggio successivo in cui Ricciardi se la prende con chi “inquina, depreda la natura, viaggia smodatamente”. Ha concluso avvisandoci che la salute è collegata all’equilibrio ambientale, quindi solo rispettandolo ci metteremo al riparo da altre pandemie. Bene, peccato che gli spostamenti aerei o il buco dell’ozono centrino poco con l’origine della pandemia.
Ma tant’è, sembra quasi di essere involontari protagonisti di un famoso film del 2003, “Good Bye, Lenin!”, nel quale, per evitarle il trauma, si tenta di nascondere alla protagonista, appena risvegliatasi da uno stato comatoso, il fatto che, nel frattempo, il Muro di Berlino è crollato e la DDR non esiste più. Noi ci troviamo in una situazione analoga: si vuol continuare a far finta che servano restrizioni, slabbrature dell’ordine costituzionale, imposizioni alla Trudeau. Ricciardi ha anche citato un saggio del filosofo francese, Edgar Morin, dal titolo “Cambiamo strada”, che propone di rallentare la corsa sfrenata allo sviluppo tecnologico ed economico sempre in nome di questo ambientalismo alla Greta maniera. Una tesi bizzarra per chi si è fatto paladino della scienza come unico strumento di sviluppo sociale. Insomma, una bella contraddizione in linea con i tempi: progressisti in casa e reazionari in trasferta. Intanto, con una democrazia ormai liquefatta, il Green Pass eterno, gli strali dei vari virologi che ancora non si arrendono alla fine della pandemia, la transizione ecologica pronta a imporsi come nuovo dogma e l’esercito russo alle porte dell’Europa, più che cambiare strada, a qualcuno potrebbe venir voglia di cambiare aria e Paese.
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