L’ecologia o l’ebbrezza della tabula rasa
di Roberto Pecchioli - 02/10/2022
Pubblicato da ARIANNA EDITRICE
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Fonte: EreticaMente
L’ecologismo radicale è tra i cespugli più insidiosi
dell’albero ideologico progressista. Parte di esso è promosso e
finanziato dalle centrali oligarchiche e dalle fondazioni dei miliardari
sedicenti filantropi, il che la dice lunga sui suoi veri fini. Un ben
oliato meccanismo diffonde mezze verità e alimenta paure irrazionali –
assai diffuse tra i giovani, la generazione-Greta, sino a conseguenze
patologiche – al fine di realizzare con il consenso e la spinta
dell’opinione pubblica enormi piani di ristrutturazione dei modelli di
sfruttamento del pianeta, ponendo il costo a carico delle masse
plaudenti.
Nel frattempo, la natura fa il suo corso e – ostinata –
non segue i dogmi ideologici ambientalisti, in particolare quelli
relativi al riscaldamento globale. L’Antartide ha aumentato la sua
gelida superficie ghiacciata rispetto all’ultima misurazione; dopo
un’estate assai calda, nel nord Europa le nevicate sono arrivate in
anticipo e con singolare abbondanza. L’altro dogma – una sorta di Corano
laico – riguarda la responsabilità del riscaldamento globale attribuita
senz’altro all’ anidride carbonica rilasciata dalle attività umane. In
termini raffinati, l’origine antropica dei cambiamenti climatici.
L’Homo
sapiens spinge la sua tracotanza sino a credersi autore di tutto, anche
dei fenomeni di lungo periodo della biosfera, che non si possono
valutare con il metro della nostra breve esistenza e dei modelli
economico-sociali. L’ecologismo radicale è professato soprattutto da
persone che giudicano la realtà con la lente deformante
dell’informazione di sistema, ignorando che essa è di proprietà degli
stessi soggetti che promuovono le campagne “climatiche”.
Inconsapevolmente si trasformano in nemici della verità in nome
dell’ideologia, finendo per diventare avversari della civiltà in cui
vivono.
Il cambiamento climatico esiste da almeno un miliardo di
anni, in cui si sono alternati periodi di glaciazioni e altri di
riscaldamento. Attorno alla fine del XVII secolo della nostra era – un
soffio rispetto ai miliardi di anni del pianeta – è iniziata la Piccola
Era Glaciale. Gli annali ricordano la glaciazione del Mar Baltico, la
fine di coltivazioni come la vite e l’ulivo in molte aree. La piccola
glaciazione si protrasse per due secoli, dopodiché il clima si è
nuovamente riscaldato, o reso più mite. La causa fu di origine
astronomica, una diminuzione dell’attività solare tra la metà del XVII e
l’inizio del XVIII conosciuta come “minimo di Maunder”. Secondo molti, i
due secoli della Piccola Era Glaciale furono i più freddi degli ultimi
diecimila, corrispondenti, più o meno, all’uscita dell’homo sapiens
dalla preistoria e all’ingresso in quella che chiamiamo storia.
Di
che parlano dunque, gli ecologisti radicali e i loro interessati
suggeritori? Ciò non toglie, ovviamente, che un certo riscaldamento si
stia verificando e che le emissioni di CO2 siano in aumento. Molti
scienziati non asserviti al potere sostengono che l’aumento dell’effetto
serra è dovuto per l’ottanta per cento all’acqua. Solo il restante
venti per cento riguarderebbe il CO2 e questa percentuale sarebbe solo
in parte riconducibile all’attività umana. Il dogma è tuttavia la
responsabilità umana sia per il riscaldamento sia per l’effetto serra
determinato dall’anidride carbonica. Per quanto poco esperti, ci
sentiamo quindi di non prestare fede (fede è l’unico termine che si
addice alle credenze dell’ecologismo radicale) alla dogmatica green.
Un
importante articolo della filosofa Bérénice Levet apparso sul
quotidiano tedesco Die Welt accusa l’attivismo ambientalista di basarsi
su utopie e di agire come oppositore rivoluzionario della civiltà
europea: un’impostazione ideologica in contrasto con l’idea tradizionale
di protezione dell’ambiente che persegue “stabilità, durata e
continuità”.
Un’ecologia coerente e consistente preserva la natura
senza sacrificare le persone e soprattutto, afferma la Levet, preserva
la cultura. L’ idea è suggestiva e l’accusa all’ecologismo radicale
pesante. La tesi è che gli attivisti ambientalisti utopici agiscono nel
contesto di un più ampio movimento di sinistra radicale, condividendone
la posizione rivoluzionaria e la volontà di “decostruzione” della
civiltà. Per loro la tutela dell’ambiente è solo un alibi, un pretesto
per distruggere la cultura europea. Sono caratterizzati da un disgusto
per lo stile di vita europeo e rifiutano la civiltà che lo ha prodotto,
“in cui vedono solo dominio e super sfruttamento” e una “grande impresa
per la produzione di vittime”. Inoltre, “si prendono gioco della lealtà e
della solidarietà delle persone con i loro costumi, tradizioni e
paesaggi”.
Il risultato è un nichilismo sfociato in diversi casi di
danneggiamento di opere d’arte da parte di attivisti ambientali. Uno dei
movimenti più attivi è Extinction Rebellion, che si presenta però come
non violento. Non si può pretendere di aver cura della natura e
contemporaneamente calpestare il legato dei secoli, continua la
filosofa, che osserva come attraverso tali condotte gli attivisti
enfatizzino il loro rifiuto di responsabilità per la civiltà
storicamente costituita. Sono dunque fiancheggiatori e talora ultrà
della dilagante cultura della cancellazione. Condividono inoltre con la
sinistra più radicale la volontà di farsi banditori di una nuova
umanità, da creare attraverso “le più forti misure di coercizione”. Le
vicende degli ultimi anni, con la libertà conculcata, modi e abitudini
di vita terremotati dalla crisi pandemica ed energetica e dalla
progressiva imposizione di abitudini alimentari estranee alla specie
(alimentazione umana a base di insetti) danno ragione alla Levet.
Soprattutto, allarma la concezione della persona, “puro materiale umano
plasmato dall’ideologia.” L’umanità a cui aspirano “non è vincolata a ad
alcuna comunità storicamente costituita” ed è modellata/manipolata
attraverso un sistema educativo completamente ridisegnato, che prescinde
dalla trasmissione della conoscenza, del passato comune e delle grandi
opere dello spirito. Al posto della “vecchia” cultura la scuola tende a
formare generazioni di attivisti che si oppongono alla civiltà europea
in quanto “oppressiva con le donne, le minoranze sessuali ed etniche”.
Tutti i salmi progressisti finiscono in gloria, qualunque sia il movente
iniziale sottostante. L’ambientalismo radicale risulta un epifenomeno
dell’articolato movimento di distruzione della civiltà europea
dall’interno. Il modus operandi è lo stesso degli altri filoni “woke”:
la volontà tenace di cancellare – insieme con le visioni cui si
oppongono – anche chi le sostiene, escludendoli dal dibattito come
indegni e malvagi.
In effetti, le opinioni – e le persone fisiche –
di migliaia di scienziati oppositori dell’ideologia del cambio climatico
con ragioni e competenze di grande spessore, vengono schernite,
sottoposte ad attacchi mediatici, escluse dagli spazi pubblici, espulse
dal contraddittorio. Oltreché private delle cattedre e allontanate dai
circuiti di potere e guadagno. Il radicalismo green, con
l’intimidazione, ma anche il silenzio, il conformismo e la mancanza di
coraggio degli avversari, rende assordanti e univoche le sue grida, come
se non esistesse nella società nessun’altra visione. Le sue richieste
“ideologiche e moralizzanti” (entro una moralità capovolta) “impediscono
ai politici da prendere decisioni razionali, ad esempio sul tema
dell’energia nucleare.” Questo punto è assai controverso, ma le
negazioni di principio impediscono che la discussione avvenga su basi
razionalmente fondate.
Fu lo storico e filosofo francese Bertrand de
Jouvenel, alla fine del secolo passato, a porre la questione nei termini
corretti: l’uomo occidentale ha stretto un patto millenario con la
terra, che deve essere rinnovato in base alle esigenze di un tempo del
tutto diverso dai precedenti. La cornice, per Jouvenel, deve essere “la
chiara coscienza della fragilità, vulnerabilità e bellezza che ci è
stata affidata”. Bérénice Levet ha elaborato la sua critica
all’attivismo ambientalista utopico in un’opera pubblicata nell’anno
corrente, L’ecologie ou l’ivresse de la table rase (L’ecologia o
l’ebbrezza della tabula rasa), una forte denuncia del “totalitarismo
verde” e insieme l’appello per un’ecologia “dei sensi e della
gratitudine”. L’ecologia ha conquistato gli spiriti degli occidentali.
Tuttavia, per come si incarna oggi nei Verdi, in certi esponenti di
estrema sinistra e soprattutto nei movimenti militanti (animalisti,
antispecisti, vegani, “zadisti”) è impegnato in una vasta, furiosa e
fatale impresa di decostruzione delle nostre società. Il termine zadisti
nasce dall’acronimo francese ZAD (zone à defendre) e indica gli
attivisti ambientalisti che occupano luoghi o proprietà altrui e le
utilizzano per svilupparvi progetti politici o sociali.
La nuova
ecologia radicale peraltro, è altra cosa rispetto all’ ecologia profonda
teorizzata dal norvegese Arne Naess, che si basa su un sistema di
valori ecocentrico, poco compatibile con i movimenti ecologisti
“politici”. Nell’analisi della Levet, l’ambientalismo reale – ancorato a
suggestioni e convinzioni comuni all’intera sinistra radicale e alla
cultura nichilista dei “risvegliati” (woke) – è più interessata a
modificare comportamenti e mentalità, convertire anime e rimodellare la
nostra immaginazione e i nostri sogni che a preservare ciò che deve
essere preservato dell’ambiente di cui siamo utenti e custodi.
Fuoriuscire dalle nostre civiltà sarebbe, per le anime belle verdi, la
via della salvezza. Da qui la porosità ideologica e le alleanze con il
femminismo dell’intersezionalità, con settori dell’Islam politico, e con
l’intero caravanserraglio di una sinistra orfana, in cerca d’autore da
trent’anni. Un altro millenarismo utopico che trascina all’ebbrezza
della tabula rasa e della rigenerazione dell’umanità, una tentazione
ricorrente in tempi di incertezza e di eclissi dei principi.
Bérénice
Levet analizza e denuncia questo grande regolamento di conti e propone
un approccio ambientalista diverso, un’ecologia dei sensi fondata sulle
persone, le loro esperienze, i loro radicamenti identitari, le loro
lealtà, il loro bisogno di continuità e stabilità, disposizioni
dell’anima derise dagli ecologisti ufficiali. Un libro prezioso
soprattutto perché provvede a smentire un luogo comune difficile da
sradicare, il disinteresse del pensiero conservatore per le tematiche
ambientali. Facile ricordare l’impegno della Nouvelle Droite, di Alain
De Benoist e, in Italia, la pubblicistica legata ai G.R.E. (Gruppi di
Ricerca Ecologica), ma il problema è sfondare il muro di un
establishment ambientalista ufficiale schierato altrove che chiude
inesorabilmente gli spazi. Ma dobbiamo anche rilevare l’indifferenza e
il fastidio rispetto ai temi ambientali dei terminali politici della
destra ufficiale. Appiattiti sullo “sviluppismo” a ogni costo, sulla
crescita illimitata, concentrati ciecamente sulla curva del PIL, negano o
minimizzano la portata di scelte devastanti per il pianeta. Anche su
questo versante, gratti il conservatore e trovi il liberale. Pure, le
questioni di ecologia e sostenibilità sono di fondamentale importanza
per l’esistenza di una comunità. Utilizzando l’esempio di diverse
civilizzazioni estinte, il geografo Jared Diamond ha mostrato che lo
sfruttamento eccessivo delle risorse o un rapido cambiamento delle
condizioni ambientali, è stato un fattore decisivo del loro collasso.
Queste problematiche giocano un ruolo crescente nel dibattito pubblico.
Ciò genera la consapevolezza che queste società vivono sempre più nella
dissipazione, consumando risorse che non possono mantenere e rinnovare a
sufficienza.
La visione del mondo tradizionale europea vede le
persone come portatrici di un’eredità da trasmettere intatta alle
generazioni future, principio che si adatta perfettamente a un corretto
rapporto tra l’uomo e il suo habitat naturale. Considera inoltre le
persone custodi dei fondamenti naturali e culturali della vita
comunitaria. E’ una visione del mondo basata su una comprensione
olistica dell’ecologia, orientata alla protezione di tutti i fondamenti
della vita, individuali e comunitari, compresi i pilastri spirituali e
culturali.
Dal punto di vista della dottrina sociale cristiana, papa
Benedetto XVI accolse con favore il dibattito sull’ecologia poiché la
ricerca della sostenibilità, della persistenza della comunità e
l’attenta gestione dei beni materiali, intellettuali e culturali, è una
parte fondamentale dell’impegno per il bene comune, asse centrale
dell’azione politica.
Purtroppo mancano validi interpreti della
declinazione umanistica e conservatrice del pensiero ecologico, nato
originariamente in Germania in quella tradizione, come dimostrano i
fratelli Juenger e altri esponenti della Rivoluzione Conservatrice. Il
grande intellettuale britannico Roger Scruton trovava addirittura
scioccante che il mondo conservatore non avesse “riconosciuto come
propria la causa della protezione dell’ambiente, avvelenato dall’ascesa
del pensiero economico nei politici moderni, interessati a formare
alleanze con chi ritiene inutili e superati gli sforzi per preservare
l’ambiente”.
Uno storico errore, un fatale fraintendimento che
lascia al materialismo, ai detriti postmarxisti e a un’anticultura
nemica della creatura umana, uno dei temi decisivi della
contemporaneità.
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