La scienza della nutrizione è in mano alle multinazionali del cibo
Ogni volta che accendiamo la TV, sfogliamo una pagina di una rivista o guardiamo un volantino al supermercato, siamo costantemente bombardati da consigli nutrizionali del tipo “I prodotti a base di mandorle possono aumentare la tua memoria”, “Il latte aiuta a costruire le ossa”, “I cereali fanno parte di una colazione equilibrata approvata dal medico per ragazzi in fase di crescita”. Parole come “superfood” e “senza additivi” ci convincono che stiamo facendo la scelta giusta quando prendiamo un articolo dallo scaffale e ci dirigiamo verso la cassa. Ma è davvero così?
Tutti di norma confidiamo sulla scienza della nutrizione per guidarci attraverso le scelte e aiutarci a prendere le decisioni migliori per la nostra salute. Sembra che sia un approccio corretto, eccetto il fatto che spesso non è vero. Molti di questi studi su cui confidiamo per prendere decisioni alimentari non sono indipendenti, bensì finanziati da grosse aziende alimentari che cercano di promuovere i propri prodotti. È quello che ci rivela da molti anni la celebre esperta americana di cibo, la nutrizionista e sociologa Marion Nestle.
La celebre scrittrice americana ci rivela nel libro come la maggior parte delle società scientifiche, e degli esperti facente parte dei dipartimenti del governo incaricati di redigere le linee guida sulla nutrizione, sono in realtà nei libri paga dell’industria alimentare. Che si tratti di uno studio che afferma che l’esercizio fisico moderato è sufficiente per annullare le calorie nelle bibite zuccherate (sostenuto dalla Coca-Cola) o di uno su come i mirtilli possono ridurre il rischio di disfunzione erettile (sostenuto dall’Highbush Blueberry Council degli Stati Uniti), l’industria alimentare ha imparato come trasformare le indagini scientifiche di parte e molto selettive in un grande profitto. Come Big Pharma ha corrotto la scienza medica, così Big Food ha corrotto la scienza della nutrizione. In una nazione in cui più di due terzi degli adulti e un terzo dei bambini sono considerati in sovrappeso o obesi, non è mai stato così importante mettere la nostra salute pubblica al primo posto.
Un altro libro della stessa autrice (Soda Politics, 2015), aveva analizzato in dettaglio le politiche adottate dalle multinazionali dei soft drink (in primis Coca-Cola e Pepsi) per promuovere le bevande a base di acqua e zucchero. In Unsavory Truth, Nestle fa un’analisi di come il mondo istituzionale della nutrizione (Università, dipartimenti governativi e la ricerca in genere), sia condizionato non solo da parte di aziende che vendono alimenti spazzatura ricchi di zuccheri aggiunti, grassi e sale, ma anche da produttori di uova, latte, yogurt, noci e altri alimenti più o meno sani.
L’autrice del libro affronta insomma il tema del conflitto di interesse nel mondo della Medicina e della Nutrizione e illustra come da un punto di vista psicologico molti ricercatori e medici non avvertono alcun problema o imbarazzo nel ricevere regali, rimborsi o favori da parte delle aziende produttrici di alimenti o farmaci, in quanto questo modo di agire viene percepito come naturale e non influente sui comportamenti dei ricercatori stessi. Chi riceve un regalo dall’industria, o un “rimborso” in denaro, ritiene che i regali o rimborsi non abbiano influenza sull’esito delle ricerche scientifiche e della elaborazione dei dati. Il libro descrive come importanti riviste scientifiche (dal New England Journal of Medicine al British Medical Journal), le Università e le organizzazioni internazionali (OMS) hanno deciso in realtà di affrontare il problema del conflitto di interessi in quanto fattore determinante per una corretta ricerca medico-scientifica.
La situazione in Italia
Nel nostro Paese avvengono le stesse dinamiche di condizionamento e intromissione da parte delle multinazionali alimentari, proprio come negli USA. E il fenomeno dei conflitti d’interesse nell’ambito della ricerca non viene ancora riconosciuto e affrontato come tale, se non nel mero ambito della cosiddetta “ricerca in campo sanitario”. Ciò significa che in Italia gli unici ricercatori o conferenzieri che hanno l’obbligo di dichiarare eventuali conflitti di interesse o finanziamenti da parte dell’industria sono quelli che ricevono soldi dalle aziende farmaceutiche, ma non quelli che li ricevono dalle multinazionali alimentari.
Ovviamente Heineken, Coca-Cola e Ferrero non hanno “interessi commerciali in campo sanitario” e quindi un relatore a un convegno di medicina (in cui si parla di diabete, obesità, malattie cardiovascolari) può benissimo essere sponsorizzato da queste aziende e dichiarare che “la birra fa bene al cuore e le bevande zuccherate non causano l’obesità” e nel contempo firmare una documento da cui risulta l’assenza di conflitto di interesse. In Italia l’attenzione viene focalizzata ancora solo sui “portatori di interessi commerciali in campo sanitario”.
Prendiamo per esempio le raccomandazioni alla popolazione che vengono date in Italia dai comitati ministeriali di studiosi esperti sulla nutrizione riguardo l’assunzione dello zucchero. I cosiddetti LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti) che vengono emessi periodicamente da questi esperti, fissano una soglia del 15% di zuccheri semplici (aggiunti + naturali) sulle calorie totali, con un invito a non superare il 25% delle calorie totali giornaliere provenienti dagli zuccheri. Si tratta di valori di riferimento molto diversi da quelli raccomandati dall’OMS per esempio, che invita a restare sotto il 10% e idealmente arrivare solo al 5% delle calorie totali da zuccheri. Questa maggiore elasticità autorizza gli italiani a introdurre molto più zucchero nella dieta di quella che probabilmente è la soglia di sicurezza per evitare problemi di salute.
Che ci sia stata l’influenza di qualche industria alimentare? Non ci è dato sapere, poiché non era richiesto agli esperti dei LARN di dichiarare eventuali conflitti di interessi. A livello internazionale sia l’OMS che altri comitati di esperti di nazioni con problemi di obesità e diabete, stanno elaborando delle politiche di tassazione sui cibi e bevande contenenti zucchero aggiunto. Anche in questo caso l’Italia va in controtendenza. Per esempio in Italia la Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione clinica organizza ogni anno i convegni chiamati Obesity Day, ma tra gli sponsor compaiono aziende produttrici di zucchero come Eridania e Novo Nordisk, quest’ultima una azienda farmaceutica che produce farmaci e apparecchiature per il monitoraggio del diabete, quindi una azienda che come business ha quello di vendere farmaci per il diabete, non di fare prevenzione sul diabete.
Appare evidente, in conclusione,
come la forte promiscuità tra aziende produttrici e ricerca
medico-nutrizionale sia ancora oggi un grande ostacolo verso il cammino
di una scienza libera e indipendente e verso una seria politica degli
Stati di reale prevenzione e riduzione di molte malattie croniche e di molti problemi di sanità pubblica.
Fare informazione a riguardo, è già un primo passo per far maturare una
maggiore consapevolezza sulle aree che in futuro occorre bonificare e
risanare.
[di Gianpaolo Usai]
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