L?articolo è di qualche settimana fa ma i contenuti sono sempre attuali.
L’Europa, dunque, è la grande perdente
di Daniele Perra – 18/06/2022
Fonte: Daniele Perra
Ai primi di giugno, il Center for Strategic and International Studies
di Washington (Think Tank assai vicino al Dipartimento della Difesa USA
ed all’industria statunitense degli armamenti dal quale viene
copiosamente finanziato) ha pubblicato un articolo, a firma Antony H.
Cordesman e dal titolo “The longer-term impact of the Ukraine conflict
and the growing importance of the civil side of the war”, che ben
descrive il nuovo approccio nordamericano al conflitto nell’Europa
orientale.
In esso si legge: “sembra ora possibile che l’Ucraina non riconquisterà i
suoi territori nell’est e che non otterrà rapidamente gli aiuti di cui
ha bisogno per la ricostruzione”. Aiuti che sarebbero stati stimati,
molto ottimisticamente, in 500 miliardi di dollari (cifra che non tiene
in considerazione la perdita territoriale della sua regione più ricca).
Inoltre, l’Ucraina dovrà fare i conti con una continua minaccia russa
che limiterà la sua capacità di ricostruzione delle aree
industrializzate e che, soprattutto in considerazione delle suddette
perdite territoriali, comporterà non pochi problemi in termini di
commercio marittimo (il rischio che la Russia, una volta terminate le
operazioni in Donbass, possa dirigersi verso Odessa escludendo
completamente Kiev dal Mar Nero rimane reale).
L’articolo riporta anche come il conflitto abbia evidenziato, da parte
russa, un utilizzo coordinato ed assai flessibile di mezzi militari,
politici ed economici al confronto del quale, il mero ricorso alla
guerra di propaganda ed al regime sanzionatorio da parte occidentale è
sembrato sostanzialmente inefficace. Fattore che, in un modo o
nell’altro, ridisegnerà il sistema globale visto che l’eventuale fine
dei combattimenti non significherà la fine dei suoi impatti economici e
geopolitici di lungo periodo. Senza considerare che Russia e Cina stanno
sviluppando una notevole capacità di attirare verso il proprio lato i
Paesi africani ed asiatici (il caso recente del Mali che ha optato per
l’espulsione dei contingenti francese ed italiano, in questo senso, è
emblematico).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale
fino ad oggi, Cordesman afferma che solo una “minuscola porzione” (tiny
portion) delle azioni russe in Ucraina possono essere formalmente
definite come “crimini di guerra” nonostante il loro impatto sulla
popolazione civile.
Ora, a prescindere dalle considerazioni dell’Emeritus Chief in Strategy
del Think Tank nordamericano (con le quali si può essere in accordo o
meno), ciò che appare evidente è il cambio di paradigma nel racconto del
conflitto da parte del centro di comando dell’Occidente.
Gli Stati Uniti (quelli che, secondo Kissinger, hanno solo interessi e
non alleati) non sono nuovi a simili operazioni di abbandono
dell’“amico” quando hanno raggiunto il loro scopo o non lo ritengono più
utile (dal Vietnam all’Afghanistan, passando per Panama e Iraq, la
storia è piena di esempi simili). Resta da valutare se gli Stati Uniti
abbiano realmente raggiunto i loro obiettivi per ciò che concerne il
conflitto in Ucraina o se questo cambio di paradigma possa essere
interpretato come una “ritirata strategica”.
In precedenza si è sottolineato come il conflitto in Ucraina stia
portando a cambiamenti profondi nella struttura economica, finanziaria e
geopolitica esistente a livello mondiale. Si può parlare di evoluzione
verso un sistema multipolare? La rispostà è sì, anche se gli stessi
Stati Uniti stanno cercando di rallentarla. Come? Oggi sono tre (in
futuro potrebbero essere quattro con l’India) le principali potenze
globali: Stati Uniti, Russia e Cina (considerate come potenze
revisioniste del sistema unipolare). Tuttavia, il principale concorrente
del dollaro sul piano globale è l’euro. Ergo, l’obiettivo
nordamericano, per guadagnare tempo nella parabola discendente
dell’impero nordamericano, è il suo costante indebolimento. Oltre
l’Ucraina, chi è la grande sconfitta del conflitto in corso nell’Europa
orientale? L’Unione Europea. L’obiettivo USA, almeno dal 1999 in poi, è
quello di rendere artificialmente competitiva la propria industria
distruggendo quella europea mantendo, al contempo, il Vecchio Continente
in una condizione di cattività geopolitica. Questo l’élite politica
europea lo sa bene ma è troppo impegnata a seguire i suoi interessi di
portafoglio.
Si prenda ad esempio il caso limite dell’Italia la cui strategia
energetica di lungo periodo è andata a farsi benedire con l’aggressione
NATO alla Libia. Da quel momento in poi, i governi Monti, Letta e Renzi
sono stati i principali responsabili della quasi totale subordinazione
della politica energetica italiana al gas russo. Oggi, gli stessi
Partiti che hanno sostenuto prima la necessità dell’intervento in Libia e
poi i governi successivi a quello Berlusconi (responsabile del
tradimento nei confronti di Tripoli) sono gli stessi che chiedono e
plaudono all’embargo alle importazioni di idrocarburi dalla Russia,
ancora una volta in totale spregio dell’interesse nazionale italiano. In
questo contesto, l’unica soluzione per l’Italia non può che essere
quella di liberarsi il prima possibile dal draghismo.
L’Europa, dunque, è la grande perdente sul piano economico e
geopolitico. L’eventualità di una crisi alimentare in Africa e nel
Vicino Oriente a causa del protrarsi del conflitto e, di conseguenza,
della riduzione delle esportazioni di grano russe ed ucraine in queste
regioni potrebbe causare nuove ondate migratorie che investiranno
direttamente un’Europa in cui il problema delle forniture energetiche
determinerà un’inflazione sempre più alta, una crisi economica
strutturale ed un relativo abbassamento della qualità generale della
vita.
Da non sottovalutare, infine, il fatto che l’àncora di salvezza per
l’Europa (almeno nel breve periodo, visto che la diversificazione via
Africa e Israele appare assai lontana nel tempo) sarebbe dovuto essere
il gas naturale liquefatto nordamericano. Bene, una strana esplosione ha
recentemente messo fuori uso l’HUB della Freeport LNG in Texas da dove
partono le navi che portano il gas in Europa. L’infrastruttura sarà
nuovamente operativa a partire dalla fine del 2022. Il tutto mentre
Gazprom taglia le sue esportazioni in Europa come rappresaglia nei
confronti dell’approvazione dell’ennesimo pacchetto suicida di sanzioni.
Si veda:
The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war, www.csis.org.
L’utopia di chi spera nel GNL di USA, Africa e Israele, www.ilsussidiario.net.
L’UE ed il suo settore energetico, www.eurasia-rivista.com
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-europa-dunque-e-la-grande-perdente
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