Andrea Zhok - Siamo in una di quelle fasi storiche che precedono una catastrofe
Per quel che conta, a titolo strettamente personale, avverto un'estrema difficoltà in questo momento a frequentare i media o social media senza sofferenza.
La mia percezione - ovviamente fallibile, mi auguro erronea - è che siamo in una di quelle fasi storiche che precedono una catastrofe.
Queste fasi storiche - la più studiata è la fase immediatamente precedente alla Prima Guerra Mondiale - sono caratterizzate (lo vediamo bene a posteriori) da una sorta di accecamento collettivo, un'incapacità di uscire dai vecchi schemi, da stantii riflessi condizionati, mentre la storia ci sta portando su scogli che abbiamo visti affiorare da tempo.
La percezione è quella di uno scollamento totale, irredimibile, tra le coscienze di chi verrà chiamato a giocare le prossime partite (elettorato e classi dirigenti) e la durezza di una realtà che ci ha già detto in faccia a muso duro che stiamo per venire travolti.
Abbiamo costruito una società che, nel migliore dei casi, ci addestra alla furbizia, mai all'intelligenza, e finiamo per credere che basti sempre una mossetta capace di sbilanciare chi ci sta di fronte per passargli davanti in fila, e questo basta a pensare di aver avuto successo.
Questo paese e la sua classe dirigente vanno semplicemente ricostruiti da capo.
E per le ricostruzioni ci sono due percorsi: o si usano le strutture esistenti per rimpiazzarle pezzo a pezzo (riformismo illuminato, palingenesi politica), oppure si attende la catastrofe sperando che essa lasci in piedi almeno i materiali da costruzione per un mondo nuovo.
Tentare la prima strada è un dovere, senza alternative, perché le catastrofi solo talvolta consentono di ricostruire, più spesso spengono intere civiltà e travolgono interi popoli.
Ma più mi guardo in giro, più ho l'impressione che la gravità della situazione, la pericolosità della strada su cui ci muoviamo non sia affatto percepita. E solo quella percezione consentirebbe di mobilitare una serietà d'intenti all'altezza della situazione.
Così, non riesco a togliermi dai pensieri fissi e ricorrenti la chiusa del Dialogo tra la Natura e un Islandese:
"Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa."
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