Quella dittatura “chic” che tanto piace agli intellettuali
di JEFFREY A. TUCKER
Nella traiettoria tracciata da FA Hayek nel suo libro del 1944 “The Road to Serfdom“, la dittatura è la fine di un periodo di immenso fallimento del governo. La classe dirigente inizia ad armeggiare con la normale funzione dei mercati e della società con un obiettivo nobile in mente (pensate alla famosa eradicazione del virus) e i risultati sono l’opposto di ciò che si propongono. La crisi peggiora, ma il pubblico diventa più incredulo. A questo punto, c’è una scelta da fare: continuare con le presunte inefficienze della democrazia o passare alla dittatura totale.
Non è difficile sapere da dove Hayek ha preso l’idea. Dopo l’inizio della Grande Depressione, il concetto di democrazia è caduto in un diffuso discredito nei circoli d’élite. Leggendo materiale di fascia alta dell’epoca, vi rendete subito conto che tutti erano d’accordo sul fatto che la libertà e la democrazia erano giunte al capolinea. Non sono adatte alle esigenze della pianificazione, che richiede potere dai vertici e competenze in tutta la burocrazia amministrativa .
La parola fascismo non è sempre stata impopolare. Nel 1933, i libri sulla società pianificata includevano capitoli adoranti l’argomento. Il dittatore più alla moda dell’epoca era Benito Mussolini, celebrato dalle più autorevoli fonti di informazione, tra cui il New York Times. I liberali dell’epoca erano inorriditi da quella tendenza, ma erano notevolmente in inferiorità numerica. Gli intellettuali sapevano esattamente di cosa avevano bisogno per superare la crisi. Volevano un dittatore.
Ah, ma da allora abbiamo fatto tanta strada, giusto? Non proprio. Pochi minuti fa, ho letto un grande editoriale sul Washington Post di Thomas Geoghegan apparso la scorsa settimana. Lo scopo del suo editoriale era di inveire contro la decisione della Corte Suprema nel caso West Virginia contro EPA. Si è trattato di una decisione straordinaria perché ha affrontato un argomento che avrebbe dovuto essere prominente nelle deliberazioni dei tribunali per almeno 100 anni. Ha criticato direttamente lo stato amministrativo e ha affermato apertamente che una tale bestia non è da nessuna parte nella Costituzione e tuttavia fa leggi ogni giorno. È il vero sovrano del paese.
La decisione è gloriosa perché dà speranza. Così anche l’ordine esecutivo dell’era Trump sulla Tabella F che riclassificherebbe molti dipendenti federali in modo che siano soggetti a un impiego volontario piuttosto che godere di un potere illimitato a vita. Dopo che il Brownstone Institute ha messo in evidenza molte di queste tendenze, la stampa dell’opposizione è entrata a gamba tesa in difesa dello stato amministrativo. Dobbiamo averlo perché la democrazia è così inefficiente, han detto!
Il linguaggio nel saggio di Geoghegan rispecchia perfettamente ciò che si leggeva ovunque nei primi anni ’30:
- “La maggioranza conservatrice della Corte intende restringere lo stato amministrativo a favore del processo decisionale del Congresso, ma è un Congresso incapace di decidere molto. O almeno il Senato è incapace, e la Camera è inefficace senza il Senato. L’inazione potrebbe essere sopravvissuta in passato, quando il Congresso era semplicemente troppo disfunzionale per affrontare adeguatamente l’assistenza sanitaria, il diritto del lavoro o molte altre questioni. […] Questo è vero per qualsiasi organo parlamentare in una repubblica: è incapace di spendere un centesimo per istruirsi e intraprendere azioni di emergenza su questioni tecniche o scientifiche”.
Basta leggere la storia per accorgervi che tutti i circoli d’élite arrivarono a credere in una “lieve specie di dittatura”. Tenete presente che lo dicono non come critica, ma come elogio! E lo sottolineano:
- “Se il pianeta continua a bruciare, mentre questo virus o uno nuovo continua a devastarlo, avremo bisogno di una Costituzione molto più flessibile con uno stato amministrativo che potrebbe dover essere più grande, non più piccolo, di quello che sta provando a restringere il tribunale supremo.
- Allarmato dal cambiamento climatico, anche un campione del Congresso come il [presidente Joe] Biden sta iniziando a farsi sentire. In un discorso [il 20 luglio scorso], ha definito il riscaldamento climatico un «pericolo chiaro e presente» e ha promesso di agire. Finora si è fermato prima di dichiarare formalmente un’emergenza climatica, ma grazie a una corte attiva e a un Congresso inattivo, potremmo non avere alternative se non «una mite specie di dittatura».
Hmmm, eccoci qui. Sono contento di essermi preso la briga di scrivere un articolo per denunciare la dittatura. È più necessario ora che mai. La democrazia ha molti problemi, ma almeno permette critiche, sfide e un cambio di rotta quando le cose vanno male. L’opinione pubblica sotto un tale sistema ha una certa misura di influenza. Consente un cambiamento pacifico.
La dittatura non permette tutto questo. I dirigenti statali continuano a ripetere gli stessi errori senza ammettere che sono errori. L’opinione pubblica non ha influenza su metodi o risultati. E poiché la dittatura non riguarda solo uomini forti al vertice, ma piuttosto massicce burocrazie che invadono ogni possibile area della vita, la mancanza di una reale responsabilità diventa una caratteristica pervasiva di quel sistema.
Questo è l’enorme problema di ogni piano per ottenere un risultato sociale, economico, culturale o scientifico prestabilito. Cosa succede se non funziona? Chi pagherà il prezzo? La risposta è nessuno. Non solo, ci sarà riluttanza ad ammettere che qualsiasi soluzione pianificata è fallita. La stessa cosa vale con il “cambiamento climatico” come lo è stato con il COVID. Le burocrazie si affretteranno a scaricare la colpa su qualcun altro e poi cambieranno rapidamente argomento.
Questo è ciò che sta succedendo con l’inflazione in questo momento. Potresti pensare che sarebbe un problema semplice: scopri cosa lo sta causando e poi lo risolvi usando strumenti razionali. Invece, ci viene propinata un’immensa massa di chiacchiere che nessuno sa nulla di sicuro, a parte la realtà della pervasiva svalutazione monetaria. Le scuse sono ovunque, ma la soluzione è sfuggente. Ecco l’essenza di come funziona la politica sotto la dittatura dello stato amministrativo/burocratico: nessuno è ritenuto responsabile dei cattivi risultati e, quindi, nessuno ha motivo di cambiare direzione.
Forse colpisce i lettori che in questa fase avanzata della storia abbiamo ancora bisogno di sostenere una solida argomentazione contro la dittatura. Ma con la storia come guida, non dovremmo essere così presuntuosi. Una crisi nazionale può generare tutte le condizioni necessarie per porre fine alla libertà e alla democrazia, come avremmo dovuto imparare nel periodo tra le due guerre. Una tale crisi è alle porte ora e molti intellettuali di alto livello stanno gridando affinché lo stato amministrativo ottenga più potere e fermi i tribunali che stanno limitando il loro potere extracostituzionale.
Il grande dibattito tra democrazia e dittatura, tra libertà e dispotismo, tra un governo del popolo e un governo imposto al popolo è arrivato. Sono lieto che si arrivi ad un chiarimento. Dicono ad alta voce che vogliono la dittatura. Tutti i partigiani della libertà dovrebbero allo stesso modo alzarsi e dire la parte ad alta voce ancora più forte: abbiamo provato la vita senza libertà e l’abbiamo trovata intollerabile. Non torneremo mai indietro.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE – TRADUZIONE DI ARTURO DOILO
Nessun commento:
Posta un commento