Per l’Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica.”, queste parole sono di Henry Kissinger, pubblicate in un editoriale sul Washington Post nel 2014. Il titolo dell'articolo di geopolitica che vi propongo Il ritorno degli imperi è solo relativamente appropriato, in realtà alcuni imperi, come quello USA, sono in disfacimento, e si sta creando certamente un mondo multipolare che fa perno sull'Asia, mentre l'Occidente decadente è ancora convinto di essere il centro del mondo e di poter continuare a dominare incontrastato, ma questo fenomeno è in corso da parecchi anni, come aveva perfettamente capito e rivelato il compianto Giulietto Chiesa, purtroppo giornalisti del suo calibro non ce ne sono più. Claudio
https://www.geopolitica.info/il-ritorno-degli-imperi/
Il ritorno degli imperi
E’ il momento di prendere atto che la guerra-lampo non è mai stata in agenda. Anzi, come notato dagli osservatori più attenti, il piano di questo attacco multidisciplinare è noto da 8-9 anni, ovvero da quando il Capo di Stato maggiore delle forze armate russe, Valerij Gerasimov, aveva pubblicato a febbraio 2013 un piano strategico di attacco molto simile a quello che sta accadendo ora in Ucraina. Era una sorta di nuova dottrina militare pubblicata per la prima volta nella rivista dei militari russi, ripresa solo dopo da alcuni organi di informazione americani, fra cui la prestigiosa Military Review, ma solo alcuni anni più tardi. Fin dai primi giorni i russi si sono mossi in direzione dei caposaldi dell’economia ucraina e delle sue infrastrutture essenziali, con l’intenzione evidente di conquistarli, non di distruggerli.
Putin è prima di tutto un capo militare. Il New York Times, qualche settimana fa, ha scritto che “il problema non è la guerra ibrida, sono i missili cruise”. Si chiama hard power, un concetto che fa tornare alla mente una frase attribuita a Winston Churchill: “per quanto visto circa i nostri amici sovietici, sono convinto che non vi sia nulla che essi ammirino e rispettino tanto come la forza e non vi è nulla verso cui abbiano minor rispetto che la debolezza militare.” Adesso ci troviamo di fronte alla guerra di Putin che non siamo pronti a combattere con i boots on the ground. Siamo di fronte al vuoto cosmico dell’Occidente, al rischio di un conflitto più largo, al delinarsi di una guerra per procura (proxy war) da parte degli Usa, con una minaccia nucleare concreta, mentre l’Occidente sembra interessato ad altro. Biden ha bisogno di petrolio, dunque vanno benissimo anche accordi con Venezuela e Iran, mentre l’Unione europea è imprigionata nei suoi stessi vincoli, senza un vero e proprio esercito e con pulsioni politiche che vanno in diverse direzioni.
La Russia è consapevole che le sanzioni resteranno in vigore per lunghissimo tempo, ma queste hanno un effetto anche su chi le emette. Già oggi sono in vigore oltre 6000 sanzioni occidentali contro la Russia, più di quelle contro Iran, Siria e Corea del nord messe insieme, sanzioni che non hanno evitato l’innesco di questa sciagurata guerra. Le sanzioni statunitensi, inoltre, restano in vigore quasi senza termine temporale – 40 anni in Iran, 60 anni a Cuba – ma non eliminano il problema per il quale sono state introdotte. Il Cremlino, chiunque sia al comando della Russia negli anni a venire, dovrà lavorare per trovare mercati alternativi, cambiare il sistema produttivo, cercare sbocchi che fino a ieri non c’erano. Non è la prima volta che Mosca deve reinventarsi, da un punto di vista economico, ma ridurla a “pusher di gas”, come ha detto Boris Johnson nei giorni scorsi e molti altri prima di lui significa nascondere la realtà. Forse si tratta di un’oscillazione drammatica del pendolo della storia russa fra slavofili e occidentalisti, riassunto magistralmente nelle Lettere filosofiche di Pëtr Čaadaev, che pose con intransigente radicalità i problemi fondamentali del destino storico della Russia. I sostenitori della specificità dell’identità russa – dagli slavoli agli eurasisti – elaborarono una visione originale e non eurocentrica della Russia e della storia, mentre gli occidentalisti dovettero delineare con maggior chiarezza le loro prospettive ideologiche. Allora come ora, sono in molti a credere che la Russia sia un paese “dimenticato” dalla Provvidenza.
Continuiamo a leggere i segnali che non ci piacciono nella direzione a noi più congeniale, ma i segnali di una possibile rottura c’erano tutti. “Gli ucraini vivono in un paese con una storia complessa e una composizione poliglotta (…) Qualsiasi tentativo da parte di un’ala dell’Ucraina di dominare l’altra – come è stato il modello – porterebbe alla fine alla guerra civile o alla disgregazione. Trattare l’Ucraina come parte di un confronto Est-Ovest farebbe fallire per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l’Occidente – specialmente la Russia e l’Europa – in un sistema internazionale cooperativo. (…) L’Ucraina prima del 1991 era stata sotto un qualche tipo di governo straniero fin dal 14° secolo. (…) Una saggia politica degli Stati Uniti verso l’Ucraina cercherebbe un modo per le due parti del paese di cooperare tra loro. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione. (…) La Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi in un momento in cui molti dei suoi confini sono già precari. Per l’Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica.” Sembra scritto pochi mesi, forse poche settimane fa, ma come è noto queste parole sono di Henry Kissinger, pubblicate in un editoriale sul Washington Post nel 2014.
Dobbiamo ricordare che 8 anni fa, riprendendosi la Crimea e assistendo le Repubbliche autoproclamate del Donbass nella loro battaglia per l’indipendenza, Mosca ha di fatto sottratto alla giurisdizione di Kiev il 7,2% del territorio che comprendeva le regioni che contribuivano per il 20% alla produzione del Prodotto interno lordo ucraino e al 25% delle esportazioni. Il Donbass è un’area geografica piatta e omogenea che si estende sui due lati del confine tra Russia e Ucraina, ricca di minerali e materie prime. Ora Putin si appresta a completare l’opera, e prendere Dnipro vorrebbe dire controllare la principale via d’acqua interna dell’Ucraina, il fiume che da Nord a Sud la taglia in due. Insieme agli obiettivi a sud, i grandi porti di Mariupol’ e Odessa, il controllo economico e commerciale sull’Ucraina sarebbe pressoché totale, una tattica di lungo termine per strappare tutte le risorse e gli impianti decisivi per poi attestarsi lungo il Dnepr, “costruendo” così quella Novorossiya di cui spesso, soprattutto negli anni scorsi, hanno parlato gli indipendentisti del Donbass. Per poi lasciare sull’altro lato del fiume un’entità spogliata di ogni risorsa, impoverita, drenata delle risorse umane migliori dopo la guerra e l’emigrazione forzata, intimorita. Un progetto di annichilimento che rimanda alla nostalgia dell’impero, al Trattato di Andrusovo del 1656. quando sulla riva destra del Dnepr comandava la Russia e su quella sinistra la Polonia. Forse è questa l’Ucraina neutrale che rivendica Putin, la vera domanda aperta sul tavolo. Come ribadito da Lavrov tempo fa, “vogliamo la sicurezza di Ucraina e Paesi europei, ma richiamiamo l’attenzione sulla sicurezza anche della Russia. Vogliamo un approccio realistico rispetto a questi argomenti”. La risposta a questa domanda ancora non è arrivata, dalla Nato, dagli Usa e in ultima analisi anche dall’Unione europea, se non sotto forma di sanzioni economiche.
La crisi della politica
E se Putin fosse deposto con un colpo di Stato, come spesso si sente dire, le cose andrebbero meglio? Forse si, ma forse nemmeno così tanto. Mezzo millennio di autocrazia zarista, 70 anni di comunismo e 22 di Vladimir Putin – ininterrotti dal breve interregno di Medvedev e dalla pausa caotica e cleptocratica del periodo eltsiniano negli anni ’90 – non possono d’improvviso generare un Thomas Jefferson. E’ abbastanza realistico pensare che questo sia l’ultimo capitolo del potere putiniano, anche perché prima della crisi pandemica erano iniziate le manovre per la transizione del potere. A ogni modo, con o senza Putin, al vertice ci saranno ancora gli ex capi del Kgb che avevano scalato il potere con lui, gli oligarchi e i generali non compromessi. Chiunque governerà sarà più cauto, userà l’arma della diplomazia, dovrà riconquistare un’Europa ostile e un’America in continuo confronto con la Cina. Ma anche i “nuovi” saranno sempre nazionalisti permalosi, convinti che la Russia abbia di natura un ruolo da grande potenza, dimenticata dalla Provvidenza, come disse Caadaev. In attesa della pace si va avanti al buio, l’unica cosa chiara è che parlano i cannoni. La condanna per la guerra deve essere netta e senza appelli, senza dimenticare che per uscire dalla guerra lo si fa con la politica. Non è la fine della Storia, non è la fine dell’umanità, ma la fine di un mondo che conoscevamo e l’inizio di uno nuovo i cui bagliori sono chiari, un nuovo ordine mondiale si sta già dispiegando davanti ai nostri occhi, se vogliamo vederlo.
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