Prezzi di benzina ed energia: li dobbiamo a un perverso meccanismo finanziario
Di Alessandro Volpi, altraeconomia.it
L’altra metà dipende dal prezzo della materia prima “gas” che a sua volta discende da vari fattori. Solo in parte dipende dal prezzo della domanda e dell’offerta reale di gas, in larga misura negoziato in alcuni hub fisici tra cui il più importante è quello di Amsterdam, il cosiddetto TTF. Lì si definisce il prezzo originario dei contratti sottoscritti da compratori e venditori reali, quelli che hanno bisogno del gas. Tali contratti possono essere di natura giornaliera come ha spinto a fare, sbagliando, la normativa europea, oppure a lungo periodo. Su questo piano esiste un primo margine forte di speculazione, perché spesso il prezzo fatto dai venditori, che, a loro volta hanno comprato dalle grandi compagnie internazionali, è molto più alto di quello che hanno pagato. Si tratta di speculazioni non facilmente rilevabili perché i contratti sono “segreti”: è certo però che negli ultimi mesi si è trattato di differenze molto alte fra prezzi d’acquisto e prezzi di vendita.
Come accennato, tuttavia, i prezzi sul mercato reale sono solo un pezzo della determinazione del prezzo finale del gas su cui incide, pesantemente, la speculazione finanziaria fatta da fondi hedge, banche e altri operatori che di fatto scommettono sul prezzo definito all’hub di Amsterdam o su altri listini. Per dare un numero chiaro di un simile fenomeno, a marzo 2022, sono esposti sul gas del TFF ben 218 soggetti finanziari, di cui 164 sono fondi apertamente speculativi, mentre i soggetti commerciali, quelli realmente interessati al gas, sono 134.
È evidente che quando parte una scommessa al rialzo, come in presenza di una guerra che significa possibili riduzioni di gas, tutti scommettono sul rialzo del prezzo del gas. Di conseguenza il prezzo della materia prima, e quindi, delle bollette si impenna. Un simile fenomeno avviene, peraltro, in mercati regolamentati con futures quotati come nel caso di Ice-Endex.
In altre parole se paghiamo l’energia carissima, lo dobbiamo alla costruzione (avvenuta nel corso di circa un ventennio) di un perverso meccanismo finanziario. Peraltro è significativo che per abbattere le bollette il governo abbia già speso una ventina di miliardi di euro e molti altri ne dovrà spendere, aumentando il debito pubblico che, paradossalmente, diventerà più costoso se la Banca centrale europea, proprio per frenare l’inflazione, nata dalla speculazione, ridurrà gli acquisti di titoli di Stato. Davvero senza mettere mano ai mercati dell’energia, limitandone l’uso ai soggetti che la vendono e la comprano realmente sarà difficilissimo affrontare la crisi in cui siamo finiti.
Per la benzina, il quadro è altrettanto sconfortante. Nel nostro Paese, il prezzo della benzina, in costante ascesa, e dunque componente importante dell’inflazione, dipende per circa il 60% da un prelievo di natura fiscale. Il restante 40% dipende dal prezzo della materia prima che, a sua volta, è largamente legato alla speculazione. Il prezzo dei carburanti, infatti, non discende direttamente dal prezzo del barile di petrolio, ma dai prezzi dei carburanti definiti da una piattaforma-agenzia privata con sede a Londra, Platts, di fatto di proprietà di McGraw-Hill, dove operano i principali fondi speculativi del mondo, a cominciare da Barclays global investors, Goldman Sachs asset management, Vanguard group, Deutsche asset management americas, Barclays e Global investor.
Sono questi fondi che, considerando il prezzo del petrolio, peraltro definito da un mercato dove gli stessi fondi incidono quasi più dei Paesi produttori (aderenti all’Opec e non), quantificano il prezzo dei carburanti ogni giorno, ponendo in essere in realtà delle vere e proprie scommesse sull’andamento dei prezzi. In estrema e brutale sintesi: i fondi speculativi e le banche d’investimento, partendo dal dato reale, determinano i prezzi prima sul mercato del petrolio e poi, attraverso Platts, su quello dei carburanti, operando scommesse che, in genere, hanno la forza di auto-avverarsi. Su questi prezzi, chiaramente speculativi e distanti praticamente sempre dalla realtà, interviene la filiera dell’industria petrolifera che può determinare una differenza, a volte non banale, tra quanto costano estrazione e produzione e il prezzo a cui i big di tale industria vendono alla rete distributiva che, in genere, ha poco margine. Quanto costa la benzina, dunque, dipende davvero poco da quanto petrolio è disponibile sul mercato reale. Con una domanda e un’offerta di circa 95 milioni di barili al giorno, il prezzo del petrolio è passato da 60 a 120 dollari e quello della benzina da 1,40 a oltre due euro al litro. La turbofinanza si sta divorando i consumatori.
Di Alessandro Volpi, altraeconomia.it
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
15.03.2022 – Riproposto da resistenze.org
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org
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