Ecco cosa c’è davvero dietro la “botta” sul gas
C’è una forte asimmetria tra il prezzo della materia prima gas naturale e quello della controparte finanziaria che registra le transazioni: nell’era della guerra russo-ucraina, dello tsunami inflattivo e del post-Covid le “logiche” del mercato appaiono saltate e non riconoscibili più come in passato. Le dinamiche che condizionano il secondo fronte, quello borsistico e finanziario, impattano profondamente sul prezzo dei prodotti finiti registrati al consumo da famiglie e imprenditori in Italia. “Noi rileviamo il prezzo nelle dichiarazioni doganali all’importazione. Quello del gas è decisamente più basso di quello dei futures scambiati sulla Borsa olandese, il mercato di riferimento”, ha dichiarato Marcello Minenna, direttore dell’Agenzia delle Accise delle Dogane e dei Monopoli, in un’intervista a Il Messaggero.
“Il prezzo massimo di importazione che abbiamo rilevato è di 60 centesimi al metro cubo di gas”, sottolinea l’economista barese, che rileva come esso “in Borsa scambia a 1,6 euro”, un prezzo quasi 27 volte maggiore. E ciò “non vale solo per l’Italia, ma per tutti quelli che importano dalla Russia. E non vale solo per il gas, anche per altri beni esportati da Mosca, come il nichel” che a inizio marzo ha visto le contrattazioni sospese per eccesso di rialzo dei prezzi. Roberto Cingolani, Ministro della Transizione Ecologica, ha nei giorni scorsi denunciato la speculazione come causa dei rincari delle bollette energetiche. Ma è davvero così? Minenna qualifica il problema, che ha le sue radici in due dinamiche: da un lato, l’eccessiva finanziarizzazione dei mercati, dall’altro la speranza eccessiva degli operatori che, dopo un 2021 di rincari, il 2022 presentasse, nonostante i venti di guerra, una riduzione dei costi. “Grandi operatori finanziari a fine 2021 hanno fatto scommesse al ribasso sul prezzo dell’energia”, sottolinea.
C’era allora, condivsa anche dalla Banca centrale europea e dalla Fed, la percezione che la bomba inflattiva fosse temporanea e provvisoria e che col tempo i rincari del gas, delle altre materie prime e del costo della vita sarebbero rientrati. Tutti questi attori “hanno sbagliato le previsioni, perché poi è arrivata la guerra e le mosse di Putin per tenere alto il prezzo”, compresa la manovra di alleggerimento sul rublo. Di conseguenza, in pochissimi giorni molti investitori “hanno dovuto correre a coprirsi sul mercato. Così hanno spinto verso l’alto le quotazioni. Gli hedge fund e la finanza hanno fatto il resto”. Parlare di una vera e propria speculazione è dunque fuorviante. Piuttosto c’è il combinato disposto tra un effetto-gregge sistemico e il comportamento di un mercato che consapevolmente i regolatori non hanno sottratto al Far West di mercato.
Aggiungiamo a ciò il legame ombelicare tra i grandi gruppi finanziari e le aziende energetiche e il gioco è completo: basti pensare che tra le compagnie pronte a spedire verso l’Europa il gas naturale liquefatto made in Usa molte sono controllate in forma più o meno diretta da cartelli tra i principali hedge fund e gestori di capitali del pianeta. Poniamo il caso di quattro dei maggiori operatori del Gnl Usa: Cheniere Energy, Tellurian, Sempra e Dominion Energy. StartMag ha segnalato l’importante presenza dell’alta finanza di Wall Street nel mercato: “I maggiori azionisti di Cheniere Energy sono i fondi Vanguard Group (8,3%) e BlackRock (6,8%), l’imprenditore Carl Icahn (6,3 per cento) e Blackstone (4,6%). Tra gli azionisti di Tellurian figurano la società di servizi finanziari State Street Corporation (6,5%), il fondo BlackRock (5,9%), Vanguard Group (5%) e la compagnia petrolifera francese TotalEnergies. BlackRock (9,2%), Vanguard Group (8,5%) e State Street (5,5%) sono azionisti di Sempra. E possiedono quote anche di Dominion Energy: rispettivamente del 6,8 per cento, dell’8,6 per cento e del 5,2 per cento”.
Dunque nel quadro del mercato finanziario è chiaro che le prime a non essere interessate a una logica di riduzione dei costi finanziari e delle dinamiche di determinazione del prezzo, che moltiplicano esponenzialmente il costo della materia prima. Diversi governi stanno provando a porre un tetto agli extraprofitti delle compagnie con tasse e misure simili, ma non è detto che ciò sia sufficiente. Quanto si nota da tale analisi è il fatto che la struttura del mercato in sé, in questa fase di crisi, è poco efficace. E affidare ai prezzi di mercato determinati in pochi hub, che incorporano gli effetti di tensioni geopolitiche sulle forniture e scommesse finanziarie, rischia di creare caos per i clienti finali, utenti dei servizi delle compagnie. Un tetto ai prezzi, in Europa, appare ora più che mai una via strategica che può ridurre il grande differenziale tra prezzo della materia prima e prezzo finanziario, che si ripercuote unicamente sugli utenti finali in maniera simile a quanto accade sulla benzina. E questo specie sul fronte del Gnl prossimo a sbarcare in Europa, che si prevede arrivare in grande quantità, è fondamentale dati i prezzi maggiori del gas liquefatto rispetto a quello trasportato via gasdotto proveniente dalla Russia che l’Europa mira a sostituire. La speculazione può attecchire solo su un contesto asimmetrico e inefficiente: ed è proprio il governo politico di queste dinamiche che serve ristabilire per portare benefici a consumatori e utenti senza renderlo eccessivamente squilibrato.
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