La società dell’apparenza, alla spasmodica ricerca di “status symbol”
Tutto ciò può fare male soprattutto alle giovani generazioni, già confuse e abbindolate da figure di riferimento che per lo più hanno avuto una gran fortuna
In una società fracassona e sguaiata come quella nella quale siamo costretti a vivere, sembra che dimostrare al prossimo di possedere beni di lusso, più che goderseli, sia ormai lo standard. Dalle auto all’abbigliamento, miseri status symbol di questa civiltà non soltanto consumistica, assistiamo sempre più all’esagerazione degli elementi secondari fini a sé stessi, inutili orpelli che vorrebbero mascherare una qualità di base mediamente scadente.
Le cose appariscenti si pagano assai e chi non può permettersele si rifugia nelle imitazioni o s’indebita per averne una, mentre quelle di sostanza, soprattutto se tale sostanza sia poco evidente alla vista, segnano il passo. Partiamo da questa elementare osservazione di costume per sviluppare un discorso che è figlio della nostra epoca.
Perché non sono soltanto parole in libertà in questa caldissima estate, ma vorrebbero essere la pietra lanciata nello stagno, sia pure senza la minima speranza che le onde concentriche che vi si dipartono possano propagarsi alle coscienze. Alla fine, lo so, sono soltanto chiacchiere.
Desiderio del futile
Perché tanta parte della diffusa insoddisfazione è legata al non potersi permettere questo o quello? Le risposte possono essere molteplici, ma certamente, una non è sbagliata: perché forse stiamo desiderando qualcosa di futile, che non ci cambierebbe la vita. Ottenuta, per chissà quali pericolose strade, quella, sorgerebbe un altro bisogno insopprimibile per provare a sentirsi realizzati, dunque felici.
Di qui non si scappa: se uno non si sente a proprio agio nella propria sfera personale, quella afferente alle necessità più intime e sacre, provare ad appropriarsi degli elementi che riteniamo caratteristici e significativi di chi “vive meglio” non è la soluzione, ma il problema stesso. Eppure ci si cade come pesci nella rete, tesa da chi ne ha un vantaggio, sia esso economico o in termini di semplice prestigio personale, e si finisce per consolidare uno schema di vita basato sul nulla.
Solo per vantarsi
Facciamo alcuni esempi: esagero, definendolo sfigato totale, chi cerca di fare le vacanze in quei ben precisi posti frequentati da chi ritenga una persona di successo? Non si aspira ad andare in quelle località dove si presume di stare bene, bensì in quelle località che, aggiunte alla propria collezione, innalzino un pochetto la considerazione generale del reduce da quella vacanza. Non ne conosciamo anche troppi, ciascuno di noi? Rasentiamo l’assurdo e diciamolo: non sarà mica che faccia più piacere ritornare da certe località (per potersene vantare) che andarci?
Esaminando, giorni fa, e da vicino, un’automobile di lusso italiana (ma una da ricchi-ricchi…) sono inorridito: false griglie di aerazione laterale in plasticaccia che cedeva alla minima pressione del mio polpastrello. Come possa essere possibile una “svista” del genere per un’auto così costosa spiegatemelo voi, semmai: io non trovo spiegazione accettabile oltre a quella di un progettista che sa di avere a che fare con pecoroni che non danno il minimo peso ai particolari.
Già, i particolari… ossia queste vittime di un tempo in cui la sostanza sembra fatta della più esteriore e superficiale forma generale. Si usa la forma a zucchino? Serviti: eccovi le auto a zucchino, gli orologi a zucchino, le scarpe a zucchino. Sembrerebbe funzionare così.
Ma ritorna il mio solito paradosso dello stadio: se uno spettatore si alza in piedi, certamente vede meglio degli altri, ma se lo fanno tutti…
Desiderio di appartenenza
La verità, ammesso che ve ne sia una, è che ci stiamo condannando ad un desiderio di appartenenza che non avrebbe motivo di esistere, men che mai coesistendo con quello di distinguerci, senza considerare che le nostre vite sono maledettamente diverse l’una dall’altra e ciò vale per il nostro posto nella società.
Ma per quale dannata ragione dobbiamo cercare di usurpare, o perlomeno affiancare, il posto di qualcun altro, mentre potremmo cercarne uno, magari piccolo, ma tutto nostro? Lo so, rischio spesso di dire banalità, ma, piaccia o meno, è la nostra vita stessa ad essere banale, se intendiamo tale termine come qualcosa che stia all’opposto dello straordinario.
Probabilmente l’età matura aiuta un po’ a smussare certi desiderata, così come capita, col passare degli anni, di imparare ad accontentarci di ciò che abbiamo, magari scoprendone lati inaspettati. Attenzione, cari lettori, a questo punto: non sto facendo il solito discorsetto comunistoide della lotta al consumismo a favore dei sacri valori pauperisti di un impegno sociale manifestato con l’eskimo e gli scarponcini scamosciati beige, Dio me ne scampi e liberi!
Il consumismo, inteso come civiltà basata principalmente sulla produzione e sul diffuso consumo dei beni prodotti in larga scala, è anche simbolo di progresso, di qualità della vita, di risposte accessibili a molti problemi che sembravano non averne. Ho, però, la netta impressione che qualcosa vada storto nelle nostre abitudini, anche a causa di un consumismo che ci ha travolto in poche decine d’anni, in qualche modo privandoci del desiderio di raggiungere un comprensibile e nient’affatto sbagliato livello di vita più confortevole e sereno.
Furto di fantasia
Rendere gli obiettivi personali a maggior portata di mano, di fatto sminuendone il valore simbolico, è la conseguenza dell’innalzamento della qualità della vita, perlomeno in Occidente, e, fin qui, tutto bene. Ma siamo sicuri che uno dei nostri fortunati bambini si diverta coi suoi giocattoli iper-tecnologici più del bambino del Terzo Mondo che i giocattoli se li costruisce da solo in legno?
In una certa misura, privarci della nostra fantasia è un furto e uccidere i nostri sogni un delitto ancor più grave. Lo schema che, temo, noi stessi ci stiamo dando, più che mirare ad una dignitosa e libera esistenza costellata di molti desideri e qualche grande sogno, sembra ormai un diagramma di flusso: da cosa ne deve discendere cosa e da una condizione sociale, si noti bene, attraverso passaggi obbligati, se ne deve raggiungere un’altra.
E tutto ciò perché? Perché altri vi sono riusciti ed a quelle persone “di successo” ci ispiriamo sempre più, incapaci di valutare quali siano le nostre concrete possibilità ed attitudini: dobbiamo diventare “persone di successo”.
Giovani già abbindolati
Tutto ciò può fare male, malissimo, soprattutto alle giovani generazioni, già confuse e un po’ abbindolate da figure di riferimento che a loro sembrano veri e propri eroi ma che, al netto delle false biografie ed esagerazioni scritte per venderle, hanno prevalentemente avuto una gran fortuna. Tolta quella, sarebbero rimasti negli immancabili garage dai quali ci piace credere siano partiti. Per usare un’espressione, cara ai giovani: anche meno.
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