Prezzi alle stelle: il disastro dell’euro in Croazia
Dopo avere adottato l’euro come valuta ufficiale lo scorso primo gennaio, i prezzi in Croazia sono aumentati fino anche al 50% su tutti i beni primari, a partire dai generi alimentari, suscitando le proteste dei cittadini e affossando il turismo locale, da sempre incentivato per i vantaggiosi prezzi che offriva rispetto alle vicine località italiane. Così, l’iniziale entusiasmo delle autorità croate per l’ingresso nell’eurozona si scontra ora con la realtà dei fatti: il pane è passato da 2,50 euro a 4,50 euro, l’olio dai 7 ai 13 euro, i calamari surgelati dai 4,50 ai 7,80 euro e il caffè è raddoppiato passando da uno a due euro. L’affitto delle camere è aumentato del 30%, il costo medio dei ristoranti è passato dai 35 ai 50 euro, mentre il costo per l’acquisto di un appartamento, nel giro di un anno, ha subito un aumento del 100%. Una situazione che ha livellato la differenza di prezzi tra le località turistiche croate e quelle italiane, permettendo a queste ultime di competere ad “armi pari”.
Molte le cause del rincaro, tra cui pesa lo sfavorevole cambio Kuna-euro, l’aumento dei tassi d’interesse della BCE, l’inflazione generalizzata a livello globale, ma anche la speculazione delle catene commerciali e dei produttori che, approfittando del cambio di moneta, hanno fatto lievitare i prezzi in modo ingiustificato. Già a gennaio, il ministro dell’economia croato Filipovic aveva convocato presso il Ministero dell’Economia un incontro con i rappresentanti delle associazioni di categoria e i direttori delle più grandi catene di vendita al dettaglio in Croazia a causa del fatto che i rivenditori avrebbero aumentato i prezzi dei prodotti all’inizio del nuovo anno. L’obiettivo era quello di «proteggere i consumatori da aumenti di prezzo ingiustificati». Il ministero dell’Economia aveva confermato ufficiosamente di avere convocato l’incontro perché alcune catene avevano attuato troppo liberamente la conversione della kuna (HRK)– la vecchia valuta croata – in euro, avvertendo che lo Stato non lo avrebbe tollerato. Le cose, tuttavia, sono andate diversamente e l’aumento dei prezzi è schizzato alle stelle proprio durante il periodo di maggiore afflusso turistico.
Alla base dei rincari vi è anche la sottomissione determinante ai dettami di politica monetaria della BCE che costringe i Paesi a trasferire il potere di creazione della moneta e l’imposizione dei tassi d’interesse all’istituto di Francoforte. L’aggressiva politica di rialzo dei tassi intrapresa dalla BCE nel luglio 2022 – passando dallo 0% del 2022 all’attuale 4% – non ha potuto che influire negativamente sull’intero settore economico. Cosa che non sarebbe successa se Zagabria avesse mantenuto la sua moneta. «Quello che avevamo avvertito sarebbe successo, e quello che è successo in Italia e in Slovenia, ora sta succedendo anche qui. I consumatori affermano che il pane nelle panetterie, che costava 7 kune, ora costa 1 euro, e lo stesso vale per le sigarette al chiosco Tiska, che sono aumentate di prezzo in media da 30 a 40 lipa», ha affermato Ana Knežević, presidente dell’Associazione croata per la protezione dei consumatori (HUZP).
Nonostante fossero facilmente intuibili le conseguenze dell’adozione della moneta unica da parte di Zagabria, il primo ministro croato, Andrej Plenković, era entusiasta dell’ingresso nella moneta unica, tanto da farsi immortalare durante un pranzo con Ursula von der Leyen mentre sventola sorridente le banconote della BCE. Oltre allo sfavorevole tasso di cambio, anche in questo caso è facile trovare delle analogie con il caso italiano quando, all’epoca dell’ingresso nella moneta unica, l’allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi, disse che «Con l’euro lavoreremo un giorno di meno, guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più». I dati riportati da Bloomberg Economics però smentiscono le affermazioni dell’ex premier, rilevando, tra le altre cose, che nel 2019 il Pil pro capite italiano era allo stesso livello del 1999 e che la produzione industriale si assestava ancora al 22% al di sotto dei livelli massimi raggiunti nel 2007.
I politici croati hanno comunque scelto di seguire le orme italiane forse per far parte di una élite tanto potente e ambiziosa quanto scollegata dalla realtà. La Croazia potrebbe perdere uno dei suoi maggiori punti di forza: la competitività di prezzo rispetto alle località italiane che la rende una meta ambita da moltissimi turisti stranieri, tra cui tedeschi, austriaci, svizzeri, polacchi e gli stessi italiani. Ma le ripercussioni per il commercio e il turismo nel piccolo Paese balcanico potrebbero essere solo all’inizio.
[di Giorgia Audiello]
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