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La “vittoria” di Pirro della Meloni e l’inevitabile declino della liberal-democrazia
di Cesare Sacchetti Dunque alla fine, il giorno tanto atteso e tanto temuto dallo stato profondo italiano e internazionale è arrivato. Non c’è stato alcuno slittamento delle urne come adombravano alcuni canali Telegram iscritti da tempo al campo della falsa controinformazione così come non c’è stato alcun evento straordinario che avrebbe dovuto investire il decaduto premier Draghi di “poteri straordinari” il 24 settembre. Il giorno prima che ha preceduto le elezioni c’è stato anche quello che a posteriori è sembrato essere un tentativo di far fallire l’astensionismo annunciando maltempo e nubifragi torrenziali su tutta Italia. Il giorno dopo, la domenica, il sole splendeva su larga parte dell’Italia e se ne deve dedurre che con ogni probabilità è stato diramato un bollettino del tutto falso che annunciava disastri meteorologici per scoraggiare scampagnate all’aperto visto il bel tempo che poi si è visto nel giorno delle urne. Trucchetti di bassa lega che comunque non hanno impedito di assistere a quello che si può definire senza timore di smentita come il più grande boicottaggio del processo elettorale della storia della Repubblica nata nel 1946. L’astensionismo non è mai stato così elevato. Mai si erano raggiunte percentuali del solo 63% di elettori che si sono presentati alle urne. Si tratta di dieci punti percentuali in più rispetto alla precedente tornata elettorale che corrispondono a circa 5 milioni di voti. Ad oggi, i non votanti sono 18 milioni. Un vero e proprio esercito che spaventa il potere molto di più quello che credono molti dissidenti sui social, incapaci di leggere i numeri che invece l’establishment sa leggere molto bene e che stanno già togliendo il sonno a molti nelle stanze dei bottoni. Sulle testate del mainstream è scattato subito l’allarme. La preoccupazione non è affatto per la “vittoria” di Giorgia Meloni sulla quale ci soffermeremo successivamente. La preoccupazione viene dal fatto che ormai una parte troppo ampia del corpo elettorale non si riconosce più nel rito del voto della liberal democrazia. La crisi del liberalismo e della democrazia Per più di 70 anni, il liberalismo ha coltivato l’illusione che il suo status quo potesse durare per sempre. Per più di 70 anni, tale intellighenzia ha creduto che si potesse continuare all’infinito attraverso votazioni su votazioni dalle quali uscivano gli stessi personaggi politici che nulla facevano e nulla hanno fatto, specialmente negli ultimi 30 anni, per mutare la condizione di supremazia del capitale domestico e straniero sulle masse. Al contrario la politica si è adoperata per accentuare ancora di più questa condizione di dominio fino a giungere allo stato attuale nel quale si può affermare tranquillamente che la democrazia è il sistema politico nel quale il popolo è più nudo e indifeso alle fauci appuntite delle oligarchie finanziarie. Tale smisurata condizione di dominio si è accentuata quando si sono rotti nel 1992 gli equilibri della Prima Repubblica che nonostante i suoi limiti preservava una condizione di legittimità popolare di cui l’attuale e morente Seconda Repubblica è del tutto priva. I partiti della Prima Repubblica avevano un legame sul territorio. Respiravano e vivevano del rapporto con il proprio elettorato. Non vivevano rinchiusi dentro le stanze delle segreterie dei partiti e non facevano piovere decisioni dall’alto che si abbattevano come delle scuri sul capo del popolo. Avevano interesse a far si che il popolo stesse in una condizione di benessere perché tale condizione era la garanzia del loro consenso. Era questa la ragione per la quale la partecipazione popolare raggiungeva cifre oggi impensabili, pari al 90% dei votanti. Questo rapporto tra popolo e politica è andato del tutto in frantumi quando la magistratura, su ordine dei mandanti atlantici che fondarono l’Italia repubblicana falcidiava i partiti della Prima Repubblica a suon di inchieste giudiziarie, per risparmiare soltanto il PDS, partito già designato alcuni anni prima per accompagnare l’Italia sul patibolo di Maastricht e della moneta unica. Da allora in poi, la politica per come la si era conosciuta fino ad allora, è definitivamente morta ed estinta. Sepolta sotto i nuovi comandamenti di Maastricht e dell'UE a trazione tecnocratica. I poteri sovranazionali che avevano concepito la strategia della tensione anni prima e l’omicidio del presidente Aldo Moro avevano deciso che l’Italia doveva entrare nella fase ultima del cantiere del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale. Quella nella quale tutte le vestigia spirituali, culturali ed economiche di questo Paese venivano spogliate per lasciare posto ad un deserto politico e morale, nel quale i veri padroni soni i signori senza volto del Club di Roma e del Gruppo Bilderberg, sconosciuti alla pubblica opinione. L’anima della politica moriva quindi nel 1992 a bordo del panfilo Britannia della Regina Elisabetta, svenduta da traditori della patria e fedeli servi della finanza anglosassone quali Mario Draghi che liquidavano indisturbati l’argenteria di Stato dell’industria pubblica a banche quali Goldman Sachs e JP Morgan. La politica moriva lì, e veniva ridotto a prostituta al soldo della Babilonia finanziaria della City di Londra, dominata dalla potente famiglia di banchieri dei Rothschild. Non si può comprendere il momento attuale se non si comprende che la crisi della politica è iniziata allora, e che oggi ci troviamo soltanto negli stadi terminali della liberal-democrazia. Il popolo non si riconosce più in larga parte in nessun partito perché è giunto alla semplice conclusione che ciò che esce dall’urna è del tutto indifferente. Il liberalismo non è più in grado di rispondere alle necessità e ai bisogni reali del popolo. Ed ogni singolo partito si identifica in questa ideologia, e non fa altro che portare avanti la sua agenda. C’è il “pilota automatico” come disse una volta proprio Draghi durante il suo mandato alla BCE. C’è un copione già scritto e i politici che si sono presentati alle elezioni non sono altro che attori, o meglio comparse o comprimari, che non devono fare altro che recitare una parte già assegnata. I registi sono altri, lontani dall’arena della politica. La ragione per la quale ci siamo fatti promotori di una intensa campagna astensionistica è proprio questa. Siamo di fronte ad un sistema morente che è ormai privo di una vera e sostanziale legittimazione popolare. La partecipazione al voto in queste condizioni non avrebbe fatto altro che dare ossigeno a tale apparato che nella nostra ottica invece deve essere abbattuto il più rapidamente possibile. La logica del “meno peggio” è semplicemente una truffa letale che vari pifferai e incantatori di serpenti al soldo dei partiti ripetono per tenere le masse dentro il recinto di questa politica saldamente nelle mani delle massonerie o delle paramassonerie, come i circoli del Rotary e dei Lions. Il fallimento dei partitini delle false opposizioni Lo stesso vale per i cosiddetti partitini delle false opposizioni che in queste ore stanno riversando fiumi di veleno e insulti contro chi sui social ha invocato il non voto. Il trittico scelto dal potere per catturare il dissenso era quello composto da Paragone, Toscano e Sara Cunial che hanno preso rispettivamente l’1,9%, l’1,2% e lo 0,75%. È stato un fallimento fragoroso e annunciato ma costoro non possono prendersela con i dissidenti che non hanno dato il voto ai loro partiti. Il voto non si può regalare a nessuno, tantomeno a coloro che dichiarano di essere contro determinati poteri e poi, nei fatti, hanno seguito strade opposte. È il caso di Gianluigi Paragone, che votò per le restrizioni già nel febbraio 2020 e che si disse favorevole al certificato verde a condizione che il tampone fosse gratuito. È il caso di Francesco Toscano che per un certo periodo ha provato a presentarsi vicino alla causa del cattolicesimo tradizionalista salvo poi dimenticare il suo passato al servizio di un noto massone, Gioele Magaldi, e la sua alleanza elettorale con comunisti quali Marco Rizzo, favorevole ai vaccini e all’introduzione della moneta unica ai tempi del primo governo Prodi. È il caso di Sara Cunial, il cui partito ospita personaggi quali l’avvocato Polacco, già condannato nel 2018 per una torbida vicenda ai tempi della sua nomina a direttore di una ASL da parte dell’amministrazione Polverini del centrodestra. Nomina che Polacco non avrebbe dovuto ricevere per via del suo curriculum falsificato apposta per l’occasione e ricevere tale incarico. Non c’è solo questo che depone a sfavore del partito della Cunial. Tale formazione politica sembra essere intrisa dello spirito illuminista della massoneria quando nei suoi atti programmatici si dichiara a favore di quella ideologia, quella dei diritti umani, che è quanto di più lontano e ostile alla tradizione cristiana e greco-romana del Paese. Lo stesso vale, ça va sans dire, per Paragone e Toscano che non si richiamano per nulla ai valori che hanno reso grande e prospera questa terra. E questa è solo la superficie di ciò che riguarda la invotabilità di questi partitini. Pertanto, lor signori non se la possono prendere con quegli elettori che hanno sviluppato una sana allergia e dei robusti anticorpi contro i cosiddetti oppositori di facciata. Troppe volte le persone sono state truffate per poter di nuovo cadere alla leggera nella trappola del potere. In realtà, ognuno di costoro preso singolarmente ha assunto alla sua funzione. Non quella di entrare in Parlamento che non è mai stato il vero obbiettivo reale di questi partitini, ma piuttosto quella di provare a smobilitare l’enorme massa astensionistica segmentata in diversi elettorati di riferimento; dagli ex grillini agli ex leghisti fino ad approdare nel territorio dei cosiddetti sovranisti di sinistra. Una volta assolta questa funzione, lo stato profondo ha di fatto bruciato tutti i suoi agenti delle false opposizioni ma nella sua ottica, comunque errata, è stato un sacrificio necessario pur di provare ad arginare l’ondata dei non votanti, quella che faceva e fa più paura a tali poteri. La vittoria di Pirro della Meloni C’è poi stato il “trionfo” della Meloni che tanto trionfo non lo è, se lo si guarda da vicino. Il partito della pasionaria di Fdi ha preso il 26% dei consensi pari però solamente al 63%, al 60 se si contano le schede nulle e bianche, degli elettori. Fratelli d’Italia si può definire come l’ultimo, o meglio l’ultimissimo gatekeeper, della politica italiana. Il primo di questa serie fu il M5S che ricevette nove e quattro anni fa rispettivamente il 25% e il 32% quando però la partecipazione era ben più alta, pari almeno al 75%. Il testimone di oppositore designato dal sistema fu poi passato al Carroccio che assunse a questo ruolo fino al 2019, prima di fare harakiri sul bagnasciuga del Papeete su ordine dei soliti referenti transnazionali. Alla Lega fu assegnato un altro compito. Quello di preparare il terreno di palazzo Chigi all’uomo del Britannia e per poter far digerire questa indecente menzogna ai propri elettori venne allestita una vera e propria campagna di disinformazione volta a far credere che Draghi si fosse “redento” e fosse diventato “sovranista”. Il tonfo della Lega precipitata all’8% fa capire cosa pensino i suoi ex elettori di questa menzogna e di tutto quanto fatto dal Carroccio nel corso degli ultimi due anni. Adesso giunge l’ultimo oppositore pilotato di questa serie, Fratelli d’Italia. Fdi non è altro in realtà che un partito che nasconde sotto il suo nome in larga parte la classe politica forzista scelta da Berlusconi più alcuni rottami di Alleanza Nazionale, già accolta a suo tempo dalla finanza rothschildiana nel 1994 dopo la famosa svolta di Fiuggi compiuta da Fini in quell’anno. Il bacino di voti della Lega è passato quindi in parte a tale partito perché così hanno decretato gli architetti domestici e internazionali. Ciò che però costoro non sembrano aver considerato è che il momento storico attuale è completamente diverso da quello del 2018 e del 2012. L’Italia siede sulle macerie della farsa pandemica. Il Paese esce da due anni di guerra che poteri come Davos le hanno dichiarato, e questa guerra è fatta del sangue delle migliaia di imprenditori che sono falliti,dei milioni di lavoratori che hanno perduto il proprio impiego, e di quello dei vaccinati che hanno sofferto e soffrono le conseguenze dei letali sieri al grafene. Ed è proprio la questione del grafene nei sieri ad essere uno scandalo che non può più essere nascosto. Iniziano ad emergere le prove incontestabili che le case farmaceutiche hanno messo questa sostanza tossica nei loro preparati. Prove che chiamano inevitabilmente in causa i governi Conte e Draghi che hanno approvato e obbligato in diversi casi la somministrazione di questi farmaci a diverse categorie di lavoratori. C’è stato ed è in corso un gravissimo attentato alla salute pubblica di cui questa classe politica dovrà rispondere e Giorgia Meloni fu in prima linea nel sostenere i sieri e le restrizioni che precipitarono l’Italia nel 2020 nell’inferno psico-pandemico nel quale non si poteva nemmeno uscire di casa senza una sorta di auto-certificazione. Un inferno che portò alla strage di Bergamo nella quale non un misterioso virus influenzale, ma un mix letale di farmaci e i famigerati ventilatori portarono alla morte dei pazienti negli ospedali. Una strage la cui resposanbilità ricade per intero su questa classe politica che imputò quella mattanza invece alla influenza chiamata COVID. C’è poi l’intricatissimo nodo economico dei rincari energetici causati dalle scellerate decisioni di Bruxelles di legare il prezzo della energia elettrica a quello del gas naturale, e di vincolare l’acquisto di quest’ultimo sulla borsa di Amsterdam, un casinò dove il prezzo viene gonfiato di almeno cinque volte. Sarebbe sufficiente comprare direttamente il gas dalla Russia come fa il primo ministro ungherese, Victor Orban, ma non è ciò che Giorgia Meloni ha intenzione di fare. Troppo prona e troppo sottomessa a quella Babele di poteri atlantisti che hanno trasformato l’Ucraina in una polveriera abitata da tagliagole nazisti e trafficanti di esseri umani. Il governo di centrodestra che dovrebbe nascere non può risolvere nessuno di questi nodi e non può fare nulla di ciò che sarebbe necessario fare per portare l’Italia fuori dal pantano. Non può e non vuole lasciare il sempre più debole campo atlantista perché ad esso è legato e non può staccare la spina alla sempre più precaria moneta unica perché è a Bruxelles che va la sua fedeltà. Fratelli d’Italia e la Meloni sono stati scelti dai poteri internazionali per provare a preservare uno status quo che comunque è già venuto meno. Non è più il tempo in cui lo stato profondo italiano era garantito e sorretto dal suo indispensabile supporto vitale, quello dello stato profondo americano. Non è il 2014 questo. Non c’è Barack Obama alla Casa Bianca. L’era di Donald Trump ha cambiato inevitabilmente il corso della storia mondiale e il cordone ombelicale che legava Roma a Washington non è stato ricomposto con l’amministrazione Biden, come molti a palazzo Chigi e in Parlamento si illudevano che accadesse. Sembra esserci una sorta di limbo a Washington che sta attuando comunque l’agenda in politica estera di Trump che ha allontanato gli Stati Uniti dall’atlantismo. È questo il contesto in cui un eventuale governo Meloni si troverà a dover nascere. Un contesto in cui tutti i vecchi equilibri del passato non ci sono più. Un contesto nel quale non c’è più il mondo unipolare anglosassone a dominare la scena internazionale ma un nuovo mondo multipolare fondato sul rispetto e la sovranità degli Stati nazionali. Un mondo nel quale il cammino della storia non viene scritto da sconosciuti attori che si riuniscono in segreto nelle stanze di qualche loggia ma alla luce del sole da leader sovrani fedeli alla propria patria e non assoggettati alla causa di un occulto governo globale. La Meloni quindi si troverà a fare i conti con uno scenario internazionale che non le darà alcuna reale protezione politica e con un popolo inferocito per i danni economici e sanitari subiti nel corso degli ultimi due anni. È forte la sensazione che la legislatura appena iniziata avrà vita breve e che l’eventuale governo Meloni si troverà a fare i conti con dei cambiamenti storici epocali ai quali non potrà sopravvivere. Lo stato profondo italiano era aggrappato disperatamente a Draghi per provare a restare a galla, ma l’uomo del Britannia ha intuito che la nave stava andando a fondo e ha passato il cerino in mano a chi è venuto dopo di lui. Il cerino ora ce l’ha in mano la Meloni e tutti i partiti che ormai non possono più contare sullo scudo della tecnocrazia per non assumersi le responsabilità dei danni provocati. Per la seconda Repubblica sembra essere arrivato quindi il momento di pagare il conto. Milioni di italiani hanno già fatto capire che non sono più disposti a tollerare quanto già fatto in passato. Il requiem sarà il probabile sottofondo che accompagnerà questa legislatura e la stessa liberal-democrazia. Questo blog si sostiene con le donazioni dei lettori. Se vuoi aiutare anche tu la libera informazione, clicca qui sotto. |
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