Bispensiero: lodano la violenza quando è messa in atto per il “bene comune”
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di STEFAN MOLYNEAUX
Uno dei malintesi veramente tragici riguardo l’anarchismo è il grado in cui esso è associato alla violenza. La violenza, come comunemente definita, è l’intraprendere l’uso della forza. (La parola “intraprendere” è necessaria per differenziarla dalla categoria dell’autodifesa).
Poiché la parola “ambivalente” (o doppiopesismo anche, ndr) sembra essere il tema di questo libro, è importante capire che coloro che difendono o sostengono l’esistenza di un governo hanno un rapporto altamente ambivalente anche con la violenza.
Per capire cosa intendo con questo, è innanzitutto essenziale riconoscere che la tassazione – il fondamento di qualsiasi sistema statalista – cade interamente sotto la categoria di “intraprendere l’uso della forza”.
I governi rivendicano il diritto di tassare i cittadini, il che rappresenta, se lo si osserva nella realtà, un gruppo di individui che rivendica il diritto morale di intraprendere l’uso della forza contro altri individui.
Ora, si può credere per tutte le ragioni del mondo che questo sia giustificato, morale, essenziale, pratico e così via, ma ciò non toglie che si ha una relazione ambivalente con l’uso della forza. Da un lato, senza dubbio si condanna come vile l’intraprendere l’uso della forza in termini di furto comune, aggressione, omicidio, stupro e così via.
In effetti, è proprio l’aggiunta della violenza che rende specifiche azioni malvagie piuttosto che neutrali, se non buone. Sesso più violenza equivale a stupro. Trasferimento di proprietà più violenza equivale a furto. Togliendo la violenza dal trasferimento di proprietà, si ha il commercio, o la carità, o il prestito, o l’eredità. Tuttavia, quando si tratta di usare la violenza per trasferire la proprietà dai “cittadini” al “governo”, queste regole morali non sono solo neutralizzate, ma del tutto invertite.
Consideriamo come un bene morale resistere ad un crimine laddove possibile, non una necessità assoluta, ma certamente un’azione perdonabile se non anche lodevole. Tuttavia, resistere alla perquisizione forzata di proprietà da parte del governo è considerato ignobile e sbagliato.
Si prega di notare che non sto cercando di convincervi della posizione anarchica. Considero, infatti, improbo il compito di farvi cambiare idea su questo tema con uno scritto così breve e inoltre, se risulterete turbati dalle contraddizioni logiche, rischierei di privarvi del considerevole brivido intellettuale e dell’emozione di esplorare queste idee da soli.
Così, in una democrazia, abbiamo un rapporto altamente ambivalente con la violenza stessa. Temiamo e odiamo la violenza quando essa è messa in atto da privati cittadini nel perseguimento di obiettivi personali e generalmente considerati negativi. Tuttavia, lodiamo la violenza quando è messa in atto dai cittadini nel perseguimento di obiettivi collettivi e generalmente considerati positivi.
Ad esempio, se un povero derubasse un uomo più ricco minacciandolo con una pistola, potremmo provare una certa comprensione per la disperazione del suo gesto, ma comunque saremmo d’accordo che lo stesso venisse perseguito nei termini di legge.
Riconosciamo che la povertà relativa non è una scusa per la rapina, sia per l’intrinseca immoralità del furto, ma anche perché se permettiamo ai poveri di derubare i meno poveri, sappiamo che come risultato inevitabile otterremmo la disgregazione sociale. L’etica del lavoro dei poveri diminuirebbe, così come quella dei meno poveri, e la società si dissolverebbe in una serie di fazioni in guerra, a danno economico e sociale di tutti.
Tuttavia, quando questo stesso principio è istituzionalizzato sotto forma di stato sociale, l’utilizzo della forza per sottrarre denaro ai più ricchi e distribuirlo ai meno ricchi è considerato un bene nobile e virtuoso.
TRATTO DAL LIBRO “ANARCHIA DI TUTTI I GIORNI”, presto disponibile sul sito del Movimento Libertario
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