I WANT TO BREAK FREE: una guida pratica e semplice per la creazione di nuovi Stati
“I want to break free”, la splendida canzone dei Queen del 1984, era fondamentalmente un inno alla bontà della separazione in amore. Ma chissà che non la si possa utilizzare anche per la politica (e diverse altre circostanze della vita e del mondo). In fondo, il meraviglioso Freddy Mercury, se si fa attenzione al testo, parla di liberarsi delle “menzogne” (lies) del partner. Quante menzogne ci tocca subire ogni giorno dai tenutari dei grandi stati da cui piccole porzioni di territorio e schiere di uomini giusti e saggi vogliono giustamente distaccarsi! E per questo ci si innamora, innanzi tutto, della libertà, che all’inizio è un’idea, e poi faticosamente diviene realtà. Quando succede, naturalmente.
Dobbiamo ad uno dei maggiori esperti al mondo di creazione di nuovi stati, il politologo inglese Matt Qvortrup, ordinario di Scienza politica a Coventry, un libro davvero bello, utile, e rassicurante, “I want to break free. A practical guide to making a new country”, appena pubblicato dalla Manchester University Press, e che sarebbe da tradurre prontamente in italiano. Innanzi tutto, il presentare la creazione di nuovi stati, in quel che implica, come in un ricettario, o un manuale per aggiustare la bicicletta o convertire un’auto al metano o gpl, ha un grande pregio. Ci toglie tutto l’asfissiante e ridicolo apparato che fa credere che intorno allo “Stato” – l’orrenda eredità di Hegel mai abbandonata – vi siano chissà quali “arcani”, quali “spirito del mondo”, quali metafisiche. Bande di delinquenti li mettono al mondo e bande di delinquenti meno abili e intraprendenti dei primi (e quindi dei primi immensamente più fortunati ma anche indifesi) li gestiscono, a spese, da sempre, dell’individuo e delle sue infinite potenzialità.
Proprio in questi giorni rileggevo Karl Mannheim, e la sua sociologia che guardava con diffidenza agli stati che il classico di Oppenheimer di inizio Novecento, “DerStaat”, anche questo ancora non tradotto che io sappia in italiano, aveva giustamente stigmatizzato, individuandone la vera natura, l’abile manipolazione di coscienze e la cruenta ed astuta occupazione di territori da parte di uomini singoli, poi divenuti dinastie. Con legittimazioni ex ante ed ex post attinte da ogni metafisica, dal diritto divino, da quello naturale, da quello positivo, quest’ultimo poi nell’imbarazzante, onanistica situazione, di dover legittimare se stesso con se stesso.
Comunque, il Prof. Qvortrup, esperto non solo teorico nella costruzione di stati, viste le sue esperienze in Sud Sudan, e poi in altre situazioni, come la Scozia (ancora non indipendente, ma per poco credo), di consulente costituzionale, e capace di operare anche sul campo, riassume argomentazioni ben note ai lettori di “Miglioverde”, quindi per certi aspetti non dice nulla di nuovo. Ma spiega il tutto in modo sistematico, disincantato, pieno di riferimenti alla propria situazione personale e alla complessa evoluzione del mondo. Asciutto, freddo talvolta. Talvolta molto partecipe, e alla fine comprende bene come l’indipendenza non sia un evento, ma un processo (un po’ come la morte, direi io, se non fosse alla fine processo molto e fondamentalmente legato alla vita, nonché vitale di per sé) (p.142).
Insomma, come cucino il frico o il pesto perfetto? Come aggiusto la e-bike? Come creo un nuovo stato? Ebbene, il libro è saggiamente diviso in sei capitoli:
- 1. Una breve storia dell’auto-determinazione e della creazione di nuovi stati.
- 2. Mi do una mossa: Come creare un movimento ed ottenere supporto.
- 3. Cosa ha a che fare la legge con questo? Gli aspetti giuridici della creazione di nuovi stati.
- 4. La potenza e la passione: la politica internazionale in relazione alla creazione di nuovi stati.
- 5. Scrivere una costituzione: ovvero ricostruire la nave mentre si sta navigando.
- 6. Scuoti i tuoi produttori di ricchezza: l’economia nella costruzione di nuovi stati. Conclusioni: portiamo tutto a casa.
Qvortrup non è in grado di dare una ricetta perfetta, e dice spesso che la fortuna giuoca un ruolo fondamentale in tutto questo processo. Come in ogni altra cosa nel mondo! Lo diceva Machiavelli. Il quale peraltro non ha mai detto “il fine giustifica i mezzi”, ed infatti Qvortrup attribuisce giustamente la frase al rivoluzionario russo S. Nechayev. Peraltro, ad onor del vero gli ultimi stati venuti al mondo, Montenegro, Cossovo, Timor-Leste e nel 2011 Sud Sudan, non vanno proprio benissimo, ma non è detto che si trovino solo in una fase di assestamento.
Certamente, definire bene il territorio che si vuol “liberare”, identificare valori nazionali e locali, propagandarli in modo sintetico (non facendo l’errore di produrre un documento di centinaia di pagine come quello dello SNP ai tempi del referendum del 2014 con Alex Salmond), cercare appoggi internazionali, e l’appoggio della parte produttiva di quel che sarà il nuovo “Stato”, sono elementi fondamentali. Poi ci vuole la “fortuna”. Machiavelli diceva che è femmina e occorre prenderla per i capelli (non era molto politicamente corretto). Per me ci vuole anche un “quid pluris”, un elemento non del tutto quantificabile, razionale o razionalizzabile. Un pizzico di follia, come nel caso dell’amore per Freddy Mercury e la sua canzone stellare.
Per ora non ostante la presenza di molti dei fattori previsti da Qvortrup, in Catalonia, Scozia, Kurdistan iracheno, e non ostante il referendum che egli vede fondamentale per sancire questo processo, prima che per iniziarlo, l’indipendenza non ha avuto luogo. Molto più complessa la situazione di Bougainville, in Papua Nuova Guinea, dove pare che si arriverà, a seguito del trionfo del SI (98,31%) nelreferendum per l’indipendenza del 2019, alla tanto attesa libertà nel 2025, ma ovviamente non è detto perché trattare col governo centrale di Papua non credo sia cosa facile. L’isola ha comunque circa 240.000 abitanti, non stiamo parlando dei 5 milioni di curdi nella provincia autonoma irachena; dei 7 milioni di catalani; dei 5,5 milioni di scozzesi.
Insomma, un libro bello e utile, un manuale generale in cui chiaramente si dice che poi, creato il nuovo stato, sarà abbastanza complesso farlo prosperare, ma anzi tutto sopravvivere. Quanti stati sono finiti male, si pensi al Biafra, e a centinaia di altri che sono durati qualche mese, qualche settimana, qualche giorno (come le repubbliche partigiane italiane nel 1945), e di loro non ci si ricorda più. Non si parla di Veneto, ma di Seborga sì… E anche di Tirolo, ma non di Sardegna o Sicilia. L’indipendentismo italiano non sembra godere di grande attenzione esterna, e di grande salute interna, mi pare.
Intanto – e concludo accennando brevemente alla politica italiana – abbiamo sorprendenti uscite della Premier (“O si fa l’Italia, o si muore!”), con attribuzione della frase a Garibaldi, il protofascista italico, che probabilmente mai la pronunciò (gliela mise in bocca Abba, scrittore pessimo di Cairo Montenotte, cui però arrise l’onore di avere un’edizione nazionale, bontà loro, delle opere sue in 10 volumi per 13 tomi (molto recente), che non credo molti leggeranno. Ma perché la Signora Meloni dice questo? L’Italia l’hanno fatta, nel bene o nel male, nel 1861, ed è offesa per chi per far l’Italia diede la vita, ad esempio Anita Garibaldi (poco ricordata dalle vestali maschiliste del risorgimento). Se mai, si dovrebbe dire, “O si ri-fa – in modo diverso, federale o ancor meglio confederale – l’Italia, o si muore”. Tanto stiamo già morendo, 23 anni di stagnazione. “Stasis” in greco antico significa innanzi tutto marcescenza.
Poi il Presidente Mattarella uomo di sofisticata e intrigante ironia nel discorso di fine anno dice che “l’Italia deve restare unita”. Ci sono forse minacce serie da parte degli indipendentisti che io non conosco? Mah, tutti si inventano un nemico che è potenziale, e potenzialmente è fortissimo, ma che nella realtà non esiste. Sono i deliri lucidi dei sogni ad occhi aperti. Ho iniziato citando i Queen. Ora fatemi finire con i Cranberries. Dolores O’Riordan morì esattamente 5 anni fa, nel 2018. Non fece in tempo a celebrare i cento anni, che caddero nel 2022, dell’indipendenza della sua Irlanda. I fantasmi che tormentano la mente degli uomini li cantò, in modo sublime, nel suo “Zombie”.
Certamente, molto vi sarebbe da dire sui dettagli del libro, ma esso è un manuale, appunto, scritto in modo semplice, per un pubblico vasto. Alla fine, credo che ogni percorso di indipendenza sia diverso, anche profondamente, da ogni altro, e dunque un manuale possa avere una funzione puramente riassuntiva, ed indicativa. Ovvero, “in linea generale si dovrebbe fare così, ma occorre tener presente tutte le eccezioni, i casi particolari, ecc”.
Vedremo un Veneto indipendente, una Sicilia indipendente, una Lombardia indipendente? Magari! Credo di sì, e gli indipendentisti dovrebbero leggere questo libro. Se non altro per poter dire “Ma questo lo sapevo già!”. Eppure, repetita iuvant. Avranno conferma scritta e autorevole della bontà del loro pensiero.
Nel 2023 si celebra il terzo centenario della nascita del grande filosofo scozzese Adam Ferguson. Oggi sarebbe stato un grande indipendentista scozzese. Morì quasi centenario nel 1816. Ora, il libro di Qvortrup si conclude con una sua citazione: “Le nazioni inciampano nelle loro istituzioni politiche, che sono sì il risultato dell’azione umana, ma non sono il risultato dell’umano disegno.”
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