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"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Tre decenni di guerre asimmetriche avevano relegato l’artiglieria a un vago ricordo. La guerra in Ucraina l'ha fatta tornare in auge come principale mezzo bellico


IL RITORNO DI SUA MAESTÀ IL CANNONE

Tre decenni di guerre asimmetriche avevano fatto pensare che l’artiglieria appartenesse ormai a un passato lontano. La guerra in Ucraina ha smentito questa convinzione.

Obici semoventi Koalitsiya-SV © Sergei Bobylev/Ufficio Stampa del Ministero della Difesa russo/TASS

Fin dal suo apparire, l’artiglieria ha cambiato il modo di fare la guerra. Basti pensare alla calata in Italia di Carlo VIII di Francia nel 1494. Tuttavia, è solo dall’età napoleonica che i cannoni sono diventati i protagonisti del campo di battaglia: fino a quel momento infatti l’esiguità dei fondi a disposizione per la guerra limitava la consistenza numerica delle batterie, oltre naturalmente a una tecnologia ancora rudimentale.

Con l’avvento della nazione in armi dopo la Rivoluzione, unito all’espansione della base produttiva, gli eserciti poterono contare su centinaia di pezzi in ogni battaglia. Bonaparte, non a caso ufficiale di artiglieria, seppe sfruttare a fondo le potenzialità dell’arma, aprendo la strada a oltre un secolo di innovazioni strategiche e tecnologiche.

Molti ricorderanno la celebre frase di Rhett Butler in “Via col Vento” in risposta ai facili entusiasmi dei secessionisti: “Non c’è una sola fabbrica di cannoni in tutto il Sud”. Ebbene, la Guerra di Secessione fu il primo conflitto totale in cui la quantità e la qualità dell’artiglieria si rivelarono decisivi.

Qualche anno dopo, la guerra franco-prussiana fu la prova decisiva: la superiorità dei cannoni di Von Moltke riuscì ad annullare il vantaggio dato ai francesi dal superbo fucile Chassepot, tanto che negli scontri di fanteria le perdite prussiane furono superiori a quelle francesi, mentre quando entrava in campo l’artiglieria, i soldati di Napoleone III avevano regolarmente la peggio.

Questa consapevolezza spinse gli eserciti europei a dotarsi di obici sempre più potenti e precisi, e anche di una base industriale in grado di produrre quantità impressionanti sia di pezzi che di munizioni. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, i cannoni di ogni calibro si contavano ormai a migliaia in ogni armata e nel corso del conflitto le industrie belliche arrivarono a sfornare centinaia di migliaia di proiettili al giorno.

Proiettili di artiglieria consumati a Verdun. Durante la battaglia furono sparati più di 14 milioni di proiettili. Fonte: Reddit

Le cifre che leggiamo oggi sui colpi che i russi sparano ogni giorno o che la NATO prevede di consegnare agli ucraini impallidiscono di fronte a quelle della Grande Guerra: solo per fare due esempi, i tedeschi, solo nel 1916 e solo nelle battaglie di Verdun e della Somme, consumarono circa sessanta milioni di proiettili e gli anglo-francesi una cifra analoga. Nel solo 21 febbraio 1916, giorno di inizio dell’attacco a Verdun, l’artiglieria di Falkenhayn sparò un milione di colpi con 808 cannoni di ogni tipo.

Nel primo dopoguerra i tagli al bilancio, la volontà di lasciarsi alle spalle la carneficina e il ruolo sempre più importante di aviazione e carri armati, anche nell’ottica di tornare alla strategia della guerra di movimento, relegarono in secondo piano l’artiglieria, arma vista come tipica della guerra di posizione.

Effettivamente nel secondo conflitto mondiale abbiamo visto come a ovest prima i carri tedeschi e poi la schiacciante superiorità aerea alleata abbiano reso più che secondario il ruolo del cannone, e così fu in larga parte anche a est fino all’inizio del 1943. Da quel momento in poi, le offensive sovietiche si scontrarono con l’ordine di Hitler di resistere sul posto a ogni costo, e tornarono i lunghi bombardamenti con migliaia di cannoni per sgretolare le difese germaniche prima di lanciarsi all’attacco.

L’Offensiva Bagration vide oltre 12.000 pezzi all’opera, quella Vistola-Oder quasi 14.000 e un numero pari tra mortai e lanciarazzi e infine per l’attacco finale a Berlino ne vennero radunati oltre 20.000. Numeri enormemente superiori a quelli cui siamo abituati dal secondo dopoguerra.

I conflitti combattuti dagli USA e dai loro alleati, dalla Corea in poi, hanno modellato la visione occidentale dell’uso dell’artiglieria: molto limitato, con scorte di munizioni che a Verdun si sarebbero esaurite in un giorno. Del resto, o l’arma aerea consentiva di avere ragione dell’avversario oppure si trattava di combattere un nemico sfuggente come in Vietnam, situazione in cui i cannoni servono a poco.

Nel frattempo, i sovietici continuavano a riservare una grande importanza agli obici in vista di un ipotetico scontro in Germania con la NATO, e accumulavano enormi scorte di proiettili. Scorte che spiegano come gli ucraini siano stati in grado per lunghi mesi di sparare una media di 6000 colpi al giorno, cifra che farebbe esaurire gli arsenali dei Paesi europei in qualche settimana

Dopo il crollo dell’URSS, le guerre a cui abbiamo assistito sono state contro nemici infinitamente più deboli, risolte praticamente solo dall’aviazione. In Iraq e Afghanistan, poi, il carattere di guerriglia assunto dalla resistenza locale ha reso tutto sommato inutile disporre di un ampio parco di artiglieria.

Così, negli ultimi trent’anni le forze NATO hanno dato la priorità all’aviazione, alla logistica e alla tecnologia, privilegiando forze armate snelle e ben equipaggiate, modellate sui conflitti a cui avevano partecipato. Anche la base industriale venne modellata in tal guisa, dando priorità alla qualità sulla quantità.

L’offensiva russa dello scorso febbraio, e anche la risposta di Kiev, sono stati uno shock: trincee, guerra di attrito e cannoni ovunque, in una sorta di Verdun 2.0 per via dei droni e dei missili. E la NATO si è scoperta inadatta a condurre una battaglia di materiali, facendo sempre più fatica a rifornire Zelensky delle munizioni necessarie, peraltro a costo di ridurre le proprie scorte ai livelli di guardia.

I russi, dal canto loro, hanno finito missili e proiettili una dozzina di volte secondo i nostri media. Ma siccome i russi non leggono i nostri giornali non lo sanno e continuano a sparare. Forse la base industriale ereditata dall’URSS e ammodernata nell’ultimo decennio potrebbero spiegare il mistero, per dir così.

A Stalin viene tradizionalmente attribuita una frase che, in realtà, risale probabilmente a Marx ed Engels: “Quantity has a quality all its own”. Avere mezzi migliori serve fino a un certo punto: il Tiger tedesco era certamente migliore sia del T-34 che dello Sherman, eppure tutti sanno come è andata a finire.

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