Cosa progettano per il dopoguerra i "vicini bramosi" dell'Ucraina golpista?
Mentre la fregata lanciamissili russa “Admiral Gorškov”, con a bordo testate nucleari, incrocia in un'area dell'oceano Atlantico da cui i missili ipersonici “Tsirkon” - considerati indistruttibili e in grado di superare qualsiasi sistema antimissile e antiaereo - possono raggiungere il territorio statunitense. Mentre la Germania del cancelliere SPD Olaf Scholz è stata definitivamente “persuasa” a inviare carri Leopard 2A6 (si parla, per ora di una compagnia: 14 carri) alla junta di Kiev in una quantità che tra primavera e estate potrebbe andare dalle 33 alle 87 unità. A tale proposito, l'ambasciatore russo a Varsavia, Sergej Andreev ha dichiarato alle Izvestija che la Polonia ha già fornito all'Ucraina almeno 300 carri e, dunque, 14 Leopard tedeschi cambiano poco nelle relazioni Mosca-Varsavia: «Di fatto, l'Occidente collettivo, Polonia compresa, già da molto tempo sta conducendo in Ucraina una “guerra per procura” contro la Russia con mani ucraine».
Mentre, a proposito di invii di armi, la “dirigente d'azienda” in forza al PD, Paola De Micheli, torna sull'omelia reazionaria della «resistenza ucraina che combatte per la difesa della democrazia», sproloquia sulla blasfemia dei «nostri nonni partigiani a cui arrivavano le armi degli alleati» intendendo paragonarli ai “resistenti” del nazista “Azov”, e poi giura sulla bibbia liberale dei banderisti che «difendono il loro territorio e la nostra Europa da uno stato autoritario».
Mentre il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko lamenta che i golpisti ucraini hanno proposto a Minsk di concludere un “patto di non aggressione” e, però, allo stesso tempo, continuano ad addestrare bande che rappresentano un potenziale pericolo per la Bielorussia, a cui questa sarà costretta a reagire duramente.
Mentre tutto ciò è all'ordine del giorno, in questa cornice, l'ex Ministro degli esteri polacco e ora eurodeputato Radoslaw Sikorski ha dichiarato a radio ZET che, all'avvio delle operazioni russe in Ucraina, lo scorso febbraio, allorché si pensava a un rapido crollo dell'Ucraina, Varsavia aveva cominciato a elaborare piani per una sua spartizione tra i paesi vicini. In particolare, Varsavia avrebbe potuto fare un boccone, dei territori occidentali di una Ucraina battuta militarmente sul campo dalla Russia, mettendo di nuovo piede sui cosiddetti Kresy Wschodnie (confini orientali), già occupati dai polacchi tra il 1920 e il 1939.
Immediata la reazione del premier polacco Mateusz Morawiecki, che ha preteso «una smentita di queste vergognose dichiarazioni» di Sikorski. Reazione a dire il vero da prendere come doveroso inchino diplomatico a Kiev, dato che sono ormai molti anni che si parla apertamente di spartizione dell'Ucraina, come a varie riprese riportato anche su questo giornale. Anche di recente, come ricorda Komsomol'skaja Pravda, lo scorso ottobre il Dziennik Polityczny scriveva dei piani messi a punto con la diretta partecipazione del leader del partito di governo “Diritto e Giustizia”, Jaroslaw Kaczynski, per mettere sotto il controllo delle armi polacche tutti i siti strategici dell'Ucraina occidentale, in cui le amministrazioni locali verrebbero dirette da personale polacco, con l'indizione di un referendum per l'unione alla Polonia.
D'altronde, lo stesso Vladimir Zelenskij, lo scorso maggio, aveva parlato di un progetto di legge sullo status speciale da concedere ai cittadini polacchi in Ucraina (accesso a cariche elettive, nomine in organi di governo statale e locale, incarichi in imprese strategiche statali, nomine a giudice ordinario e di Corte costituzionale) e l'adozione, da parte della Rada ucraina, di una legge per sedute comuni dei governi di Kiev e Varsavia. Questo, nonostante un mese prima il Direttore dell'intelligence estera russa, Sergej Naryškin, avesse già parlato dei piani polacchi per il controllo politico-militare dei «propri territori storici» e dell'introduzione di truppe polacche in Ucraina, col pretesto della «difesa dall'aggressione russa». Naryškin ipotizzava che Varsavia potesse schierare truppe in aree con minima o nulla probabilità di scontro con forze russe, con l'obiettivo reale di prendere il controllo di quei territori: i famigerati Kresy Wschodnie , appunto.
A questo proposito, il politologo dell'Istituto russo di ricerche strategiche (RISI) Oleg Nemenskij, ha dichiarato a Pravda.ru che i piani polacchi per l'occupazione militare dei “territori orientali” rispondono alla volontà di “fermare l'espansione russa” e l'ingresso delle truppe polacche è vista «non per l'unione di quei territori alla Polonia, ma per darvi vita a un piccolo stato ucraino che farebbe da barriera all'avanzata russa, conservando in tal modo un cuscinetto tra Polonia e Russia, sotto forma di una Repubblica dell'Ucraina occidentale, completamente controllata da Varsavia». A parere di Nemenskij, se le forze russe «progrediranno vittoriose verso ovest, allora sarà possibile l'introduzione di truppe polacche nelle regioni occidentali ucraine».
E, comunque, tra dichiarazioni a briglia sciolta e “sviste” casuali, appena pochi giorni fa il canale TVP1, nel presentare le previsioni meteo, aveva mostrato una cartina della Polonia che, “casualmente”, includeva L'vov, le regioni di Ternopol, Ivano-Frank, la Volinia e altre aree oggi ucraine.
E sembra non dover andar meglio coi vicini meridionali dell'Ucraina: nei giorni scorsi, il Ministero degli esteri ungherese ha ammonito «i leader nazionali ucraini a fare immediatamente il possibile per cancellare le decisioni anti-ungheresi e ristabilire lo status quo» nelle aree transcarpatiche. Budapest condanna le repressioni ucraine nei confronti della popolazione di etnia magiara e esorta «gli amministratori locali a cessare immediatamente le efferatezze contro gli ungheresi», verificatesi particolarmente nell'area di Mukacevo, non da ora al centro delle contese ucro-magiare.
Al momento, non sembrano esserci altre aree ucraine di particolare crisi coi paesi vicini; ma, di sicuro, non hanno nemmeno mai cessato di covare le mire territoriali anche di Romania, Slovacchia, ecc.
Del resto, il momento pare “propizio” per avanzare pretese nei confronti di Kiev, se anche a ovest non si fa mistero di piani del dopo-guerra.
Ad esempio, la russa Life.ru ipotizza che Aleksej Arestovic abbia cominciato a “annegare” l'Ucraina – dopo il suo licenziamento per le dichiarazioni sul missile russo abbattuto dalla contraerea ucraina su un edificio civile a Dnepropetrovsk, ora ha sparato a zero contro l'inno della Kiev golpista – così spavaldamente, avendo alle spalle Washington, che potrebbe aver bisogno di lui una volta sconfitta l'Ucraina sul campo di battaglia, se Mosca acconsentirà a fermare per tempo le operazioni militari.
Secondo il politologo Dmitrij Rodionov, l'attore, blogger, psicologo Arestovic è famoso per la sua mancanza di principi e perciò la sua figura può andar bene per le congiunture più diverse. Nel 2004, lui il suo compare Korcinskij si schierarono a parole contro la “rivoluzione arancione”, andarono a Mosca proponendo l'unione di Ucraina e Russia contro l'Occidente; ma, nel 2014 Arestovic si schierò senza tentennamenti per majdan e si proclamò esperto militare. Ora, dice Rodionov, non avendo Arestovic mai nascosto le proprie ambizioni politiche, qualcuno a Ovest potrebbe pensare di utilizzarlo, se non proprio come Presidente, perlomeno come “voce” della parte “russa” degli ucraini: potrebbero cioè avere già «cominciato a prepararlo per il ruolo della parte russofona dell'Ucraina che è però contraria a Mosca», dal momento che è più che ovvio che uno che ha combattuto contro la Russia, rivendica le “idee” di Stepan Bandera e ha preso parte al golpe neonazista non è certo “ben visto” dai russi etnici d'Ucraina.
In ogni caso, precisa il direttore del Club analitico euroasiatico, Nikita Mendkovic, Arestovic ha fatto la sua parte per il genocidio delle popolazioni russa e ucraina e certamente, insieme agli altri criminali del regime golpista, al termine della campagna militare lo attende il tribunale.
Insomma, si sta aprendo la strada a nuovi avvicendamenti a Kiev, anche se l'obiettivo di dissanguare economicamente, per via militare, il concorrente geopolitico dei monopoli occidentali, bramando le sue immense risorse naturali, è ben lontano dalla meta e, dunque, la guerra a oltranza dell'Occidente collettivo è ancora necessaria, pur se economicamente letale per gli “alleati” europei di Washington.
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