Generazione fiocchi di neve: fragile e gregaria
di Roberto Pecchioli - 29/01/2023
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Fonte: EreticaMente
L’esercito americano ha dovuto abbassare i criteri fisici
di reclutamento. Le prestazioni degli aspiranti peggiorano
costantemente. Non è dato sapere quali siano le condizioni psicologiche e
mentali, la tempra morale delle reclute. Uguale situazione in Francia,
dove il confronto tra i test fisici attuali e quelli del passato sono
sconfortanti: l’ultima generazione ha perduto un quarto della capacità
polmonare a causa di uno stile di vita sedentario, esito delle molte ore
trascorse davanti agli schermi. Conseguenza: i giovani francesi
impiegano un minuto in più dei loro padri per percorrere un chilometro.
La
prognosi è severa: tra dipendenze (alcool, droghe, farmaci e
psicofarmaci, sballo, apparati elettronici) decadenza fisica e fragilità
provocata dal disastro familiare, dalle follie gender e politicamente
corrette, narcisismo, mistica dei diritti senza doveri, il destino delle
generazioni è preoccupante. Ancora più disastrosa è la condizione dei
giovani maschi. Devirilizzati, educati prevalentemente da donne, privi
di modelli, indotti a colpevolizzare i loro istinti, sono l’anello più
debole di una catena decadente. Maschi e femmine – compresi i “non
binari” – sono la generazione “fiocchi di neve”. L’indebolimento
progressivo delle menti e dei corpi, la confusione alimentata ad arte
sino alla disidentificazione personale e intima, non è responsabilità
dei giovani.
Questi diventano vittime di un gigantesco esperimento di
ingegneria e antropologia sociale. Sono come il potere vuole che siano:
flaccidi, deboli, conformisti, impauriti, ignoranti (a parte
l’addestramento strumentale) diseducati alla discussione, incapaci di
immaginare il cambiamento. Il contrario del passato, in cui i giovani
sono stati sempre motori di rinnovamento, diversità, novità. Sudditi
ideali perché inconsapevoli, addirittura sinceramente convinti di fare
le proprie scelte in autonomia, scimmie ammaestrate convinte che la vita
sia una successione di vacanze, diritti, desideri e capricci. Il
sistema vigente – il globalismo capitalista fintamente libertario- li ha
resi fiocchi di neve, freddi, liquidi, destinati a sciogliersi al primo
calore, vestiti di costosi stracci, con vistosi tatuaggi, anelli
tribali e bizzarre acconciature. Fragili, centrati nell’attimo, destano
grande preoccupazione.
Sbalordisce la loro sottomissione indifferente
di anonimi soldatini, di cui abbiamo avuto prova nel triennio
epidemico: il trionfo del potere subdolo, seduttivo, ipnotico e
narcotico. Sono pietre le parole di Byung Chul Han, lucido osservatore
del presente: “il soggetto sottomesso non sa nemmeno di esserlo, e anzi
crede di essere libero; non esiste una moltitudine collaborativa ed
interconnessa in grado di elevarsi a protesta globale, a massa dedita
alla rivoluzione. “In una massa di individui esausti, che si
autosfruttano nell’illusione di realizzarsi, fino a collassare depressi e
isolati, non può sorgere alcuna scintilla antagonista. “Come accade
nella Corea del Sud (Han è coreano) che ha il più alto tasso di suicidi
al mondo: si fa violenza a se stessi invece di cercare il cambiamento
nella società. Io non vengo sfruttato, dal mio padrone, mi sfrutto da
solo. Sono al contempo servo e padrone. Il regime neoliberista così
isola le persone: nella società della prestazione, non si può mai
formare un collettivo, un Noi capace di ribellarsi al sistema. “
E’
evidente che la fragilità, la decostruzione di ogni identità e principio
condiviso, unita alla debolezza psicofisica delle generazioni- processo
iniziato negli anni Sessanta giunto a maturazione con moto accelerato- è
volontà precisa delle oligarchie al potere. Un’analisi impressionante
proviene dallo psicologo americano Jonathan Haidt, ne La trasformazione
della mente moderna. La sua tesi è che alcune pessime idee stanno
condannando un’intera generazione al fallimento. Persino statistiche che
sembrerebbero confortanti possono essere interpretate come segnali di
introversione, di insicurezza generazionale.
La percentuale di chi ha
provato l’alcool, il fumo e il sesso prima dei sedici è scesa in
America di alcuni punti. Nessun vero sospiro di sollievo: anziché
imparare ad assumere rischi senza la rete protettiva degli adulti,
troppi vivono rinserrati in casa, attaccati agli apparati informatici.
La catastrofe è che nessuno li educa alla vita reale, malgrado le
“buone” intenzioni dei genitori (quando ci sono…). La tendenza è
proteggere da qualsiasi trauma, reale o immaginato, a costo di
convincere i giovani di vivere in una giungla inestricabile.
Le
cattive idee sono i pensieri instillati dal sistema. Haidt ne elenca
tre: ciò che non ti uccide ti rende più debole (la menzogna della
fragilità); fìdati sempre dei tuoi sentimenti (la menzogna del
ragionamento emotivo); la vita è una battaglia tra buoni e cattivi (la
menzogna di “noi contro loro”). Questa combinazione letale di buone
intenzioni e cattive idee condanna al fallimento una generazione,
avvelenando l’insieme della società. L’ ansia, la depressione, la paura,
il suicidio sono saliti alle stelle, la cultura è diventata uniforme,
ciò che impedisce di apprendere, confrontare, formarsi un’opinione. I
social network e i nuovi media consentono di rifugiarsi in bolle dove si
semina il nulla e impera la polarizzazione.
Preoccupa che i disturbi
psicologici si stiano moltiplicando con picchi per gli atti di
autolesionismo. Manca la preparazione ad affrontare la realtà, gli
inevitabili insuccessi, di elaborare i no ascoltati per la prima volta
dopo i sì dei genitori e del blando sistema educativo. La data cruciale,
per Haidt, è stato il 2010, la anno dello smartphone, parallelo al
fulmineo sviluppo dei nuovi media. “La vita sociale degli adolescenti
cambiò radicalmente. Nel 2008 i ragazzini andavano a casa degli amici o
stavano all’aria aperta. Nel 2010, divenne normale che si rinchiudessero
nelle loro stanzette con il telefono cellulare.” Bambini e ragazzi
hanno bisogno del gioco per completare il processo di sviluppo
neuronale. Se si limita la fase ludica, arrivano meno forti all’età
adulta, fisicamente e socialmente, meno resistenti al rischio e più
vulnerabili. “Se sei un giovane che si è agganciato alle reti sociali
dal 2010, il tuo cervello funziona diversamente dal mio”, conclude
amaramente Haidt.
L‘ alternativa è smontare le tre grandi menzogne
indicate. La debolezza è maggioritaria tra i nati dopo il 1995, la iGen,
i nativi digitali ossessionati dalla sicurezza, fisica ed emotiva. Il
dramma è che “credono di doversi mettere in salvo dagli incidenti
automobilistici o dagli attacchi sessuali nei campus universitari, ma
anche della gente che ha idee diverse dalle loro”. E’ la chiusura della
mente prodotta dal politicamente corretto, che si rivela sempre più un
potente fattore di guerra cognitiva contro la persona, espropriata delle
parole e separata dalla realtà.
La seconda menzogna è emozionale:
confida sempre nei tuoi sentimenti. Si insegna che se qualcosa dà
fastidio, si tratta di un male. Di qui nasce la pratica dei boicottaggi a
coloro che sostengono “idee erronee”, nonché l’assurdo concetto che le
università debbano proteggere gli studenti dal confronto. L’attuale
deriva è la prova della facilità con cui attecchiscono le pessime idee.
Ciò vale anche per l’apparente scontro buoni/cattivi, che finisce nel
pregiudizio e nella violenza, fisica o morale, per togliere la parola a
chi non piace, “offende” in quanto dissenziente, non conformista.
La
vita, piaccia o no ai fiocchi di neve, è una cosa seria. Il futuro è
nero non solo per la fragilità, l’assenza di passione e il senso
malinteso della libertà delle ultime generazioni, ma perché si
estenderanno l’impreparazione e la bassezza morale delle classi
dirigenti, l’infantilismo di massa, la sindrome di Peter Pan che annega
nella futilità, nel vuoto, nell’impero dell’effimero.
Si vive in una
sorta di assenza protratta all’infinito. Abbondano i titoli accademici
ma mancano i colti e i preparati. Molti frequentano l’università come un
gregge addormentato senza capacità critica né franchezza nella
discussione. La vita va affrontata a viso aperto, allenati alla fatica
del fare e della conoscenza, lontani dalla pomata emolliente
dell’iperprotezione, alieni al frastuono della discoteca emozionale. Si
deve tornare a crescere scegliendo tra tesi contrastanti, sostenute da
principi saldi, premessa della capacità di decisione. I giovani
trascorrono in una Disneyland virtuale l’età più importante della vita.
Ragazzi che non diventano uomini e ragazze che senza l’approvazione dei
“mi piace” piangono sperdute. Serve ripristinare la forza delle idee e
l’idea della forza, intesa come tenuta morale, resistenza alle
avversità. Basta con l’enfatizzazione confusa delle emozioni di bambole e
burattini manipolabili, preda di ogni timore, facili obiettivi di
propaganda e falsità.
La maggioranza dei Millennials è debole,
ipersensibile, manichea. Non è preparata a guardare in faccia la vita,
che è conflitto, né la democrazia tanto esaltata, che è dibattito.
Corre verso il fallimento a testa in giù. Generazioni che temono il
linguaggio, impauriti da parole o significati, ignari della realtà: è la
neo cultura dell’ultra sicurezza (safetysm) che rende gregge docile,
cieco, felice nella sequela del pastore. I cuscinetti protettivi dinanzi
a ogni disagio creano fragilità esistenziale: di qui l’ansia e la
depressione di ragazzi che traferiscono alla reti sociali le loro
emozioni e interazioni vivendo nel paragone dell’aspetto fisico, dello
status sociale, nella sindrome “fomo”, fear of missing out, la paura di
essere esclusi da eventi o contesti collettivi. Il carnevale perenne ha
pesanti conseguenze: si desidera il gruppo, la moda. Chi non utilizza
certi termini o non partecipa a determinati riti e abitudini, è deriso,
bullizzato, isolato come deviante.
I giovani cercano seguaci, non
amici, mancano di vera libertà e non saprebbero utilizzarla; i
superstiti genitori e nonni fanno da supervisori permanenti a soggetti
che non arriveranno alla condizione di adulti. La carota è la
condiscendenza permissiva, ma anche il videogioco stupido o violento
offerto a navigli portati dal vento che il mare dell’esistenza farà
naufragare. La fragilità è il primo passo, poi arrivano insicurezza,
ansia, irritazione, debolezza fisica. Finiranno per diventare pessimi
cittadini. Senza colpa, non sanno che cosa siano la vocazione, la
passione. Si limitano a muovere compulsivamente le dita sullo schermo
come sonnambuli senza capire che cosa leggono o vedono. Li dispensiamo
dalla burrasca, ma se proteggiamo i giovani da ogni esperienza
potenzialmente perturbatrice, li rendiamo incapaci di combattere, quando
usciranno dal cono protettivo.
Non c’è autorevolezza, autocontrollo,
tenuta interiore, tensione a migliorarsi. La protezione amniotica
genera depressione, insicurezza, sino ai disturbi psichici e alla piaga
dei suicidi. Troppi sono incoscienti della violenza che vivono e
qualche volta praticano. Attraversare esperienze difficili e traumi
rafforza il carattere. La dinamica dell’ipersicurezza, l’incultura della
bambagia si basa su errori fondamentali: la saggezza popolare sapeva
che “quel che non strozza, campa”, tempra e permette di separare la
sfera emozionale dalla reazione matura, dalla presa di distanza,
premessa dell’equilibrio personale.
I nati dopo il 1982 mostrano
tassi di suicidio via via più elevati in base all’anno di nascita.
Troppi cervelli in formazione sono occupati solo dai social network, il
cui rumore in cui tutti cercano approvazione manca di profondità
oltreché di motivazioni personali: così fan tutti. Sono scomparsi i
giochi esterni, fisici, c’è meno tempo per uscire, socializzare, presi
dalla febbre degli schermi, dalla dipendenza da ciò che gli altri dicono
attraverso lo schermo. Tutti giudicano tutto in una babilonia
superficiale intrisa di perfidia. Non ci sono idee proprie, ma si trema
dinanzi alla disapprovazione o al temuto “non mi piace”, il pollice
verso nel nuovo Colosseo.
L’osservazione dei più giovani, privi di
filtri culturali ed esperienze consolidate, convince che la società
occidentale vive in tempo sospeso, irreale, dove il presente è un attimo
inerziale, freddo, entropico. Il mondo che offriamo a chi sta entrando
nella vita è un falso paradiso farmaco-pornografico di individui
incomunicabili che trascinano esistenze fantasmatiche. Lo sguardo sulle
generazioni degli evanescenti, precocemente estenuati fiocchi di neve,
ci porta a un sentimento autunnale, la malinconia. Cadono le foglie, non
solo sul capo della generazione “fiocchi di neve “.
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