Una repubblica di privati. Rubens, Genova, e la lezione della Storia
Un piccolo messaggio agli indipendentisti, nel sogno della libertà. Non sono nato né indipendente né indipendentista. Ma morirò tale. Perlomeno, indipendentista. Indipendente non so, oramai mi affido alle giovani generazioni. Anche se ovviamente potranno sempre contare su di me. Se non staccano gli occhi dall’i-pad o cellulare o computer, forse è perché se girano la testa si vedono circondati da liquami poco ameni. E in continua crescita, il collo oramai è superato.
Vi sono ancora tre settimane per visitare, a Palazzo Ducale a Genova, la mostra su Rubens e la Superba. La consiglio, vi sono notevoli capolavori. VEDI QUI.
Questa mostra ci insegna (anche) una cosa. Genova dovette la sua immensa grandezza, soprattutto, all’iniziativa dei privati, e alla presenza di due realtà “pubbliche” contrapposte, se non tre se vi includiamo la Chiesa: ovvero il potere politico e quello economico del Banco di San Giorgio.
Un giovane storico italiano, libertario (gli storici libertari sono un po’ come gli squali bianchi nel Mediterraneo, ci sono, ma se ne vede uno ogni venti anni, e non si è neanche sicuri che sia proprio un bianco) Matteo Salonia, ha scritto un libro molto bello su questa “libertà dei genovesi” che li resero signori economici del mondo per un secolo, “Genoa’s Freedom- Entrepreneurship, Republicanism, and the Spanish Atlantic” (2017), da me RECENSITO QUI.
Peraltro, la preponderanza dell’impresa privata a Genova e la limitatezza dello stato per tutta l’età moderna o quasi, ma anche e soprattutto nello splendido Medioevo, è stata oggetto di commenti positivi anche su questo giornale, vd. l’articolo di Petrella del 21 luglio 2018 (con riferimento a Hoppe).
Ora, chi vada a visitare la bella mostra genovese, si dovrebbe armare di qualche nozione storica. In occasione dei 400 anni della pubblicazione del volume di disegni di Rubens dedicato agli splendidi palazzi genovesi, opera sommamente interessante, occorre riflettere che quando Rubens venne a Genova nel 1608, per restarvi abbastanza a lungo, stava finendo quel secolo dei Genovesi iniziato da Andrea Doria con la riforma del 1528. Lo Stato si stava sempre più appropriando dei mezzi di produzione e stava ponendo fine ad una situazione secolare di libero mercato, con conseguente lenta sparizione della vecchia classe dirigente e l’avvento di nuove famiglie legate al nuovo ruolo e peso che (purtroppo) lo Stato stava prendendo nell’economia.
Ovviamente era l’inizio del declino (economico, culturale, sociale). E dunque si consumavano gli ultimi fasti di una libertà precaria, nella sottomissione all’Impero ormai sancita, eppure una libertà ancora grandiosa, fomite di infinite ricchezze, e soprattutto private, che davano vita, tra l’altro, ad un sistema di carità fantastico, con la costruzione, a tacer d’altro, dell’Albergo dei Poveri, ad opera di un privato, Emanuele Brignole (QUI LA MIA RECENSIONE AD UN LIBRO CHE PARLA DELL’INIZIATIVA).
Rubens dunque lavora per diverse famiglie, di nobiltà vecchia e nuova, e mostra tutti gli splendidi bagliori di un crepuscolo fantastico, e che comunque durerà a lungo. Sono i privati, non lo Stato, minimo e spesso impoverito, a fare la Superba. Sono ad esempio i Lomellini, nobile famiglia di imprenditori, che pescano e commerciano il corallo, bene di lusso – e il lusso è al centro di questa mostra –mantenendo a lungo la colonia (privata) di Tabarca, in Tunisia, che non è un’isola come dice erroneamente una didascalia nella mostra, ma una città con un promontorio dotato di fortezza che pare una Portofino rovesciata (esiste un’isola di Tabarca, spagnola, ma non c’entra niente, e poi si chiama TabarcaNuova…). I Lomellini crearono ricchezza a Tabarca dal 1540 al 1738-41, per due secoli. Poi si trasferirono in Sardegna e crearono la colonia di Carloforte ove tuttora si parla genovese. Ecco una splendida dama Lomellini ritratta con collana non di perle, ma per l’appunto di Corallo. Mi piacerebbe ritirarmi a Tabarca e vedere il sole tramontare sulla mia sinistra, per una volta, ove ora e da una vita lo vedo sorgere, invece.
Quando un privato dà invece vita ad una Signoria, e siamo a Mantova, le cose spesso non vanno per il verso giusto, ed ecco che Mantegna lavora per i Gonzaga, ma Vincenzo I è indebitato, ma ancor più lo sarà l’ultimo dei Gonzaga originari, Vincenzo II, che dovrà vendere, o svendere a Carlo I d’Inghilterra, nel 1625, gran parte delle collezioni artistiche, che erano le maggiori d’Italia. Genova non è una signoria, è una repubblica basata sulla ricchezza privata, ancor più di Venezia. Non deve ricorrere a svendite pubbliche delle proprie opere d’arte. Se mai, lo fanno i privati, che sono raccolti in gruppi di famiglie, in “alberghi”, senza che una sola abbia una conclamata egemonia, anche se molte ci proveranno (come nel caso infelice di Mantova, che tra 1628 e 1630 andrà incontro ad una crisi che Genova non esperimenterà mai, stato “debole” e per questo “repubblica”, ovvero comunità, estremamente forte).
In questo modo si può leggere la mostra. Come esaltazione di un lusso estremo, ma non ostentato, frutto di legittimi guadagni in contesto di libero mercato e competizione internazionale. Diverso da quello gonzaghesco, legato ad una sola famiglia, ad una dinastia, ad uno Stato per certi aspetti assai più moderno di quello genovese, signorile.
Poi quando lo Stato trionferà, abbiamo la soldataglia napoleonica che fa a pezzi proprio un immenso dipinto di Rubens, sezionandolo. E questo viene documentato proprio da questa mostra, che ci dice che lo Stato “debole” di Genova non solo sopravanza quello mantovano, poi finito tragicamente e rinato per breve periodo con i Gonzaga-Nevers (che regnano su rovine), ma supera ampiamente il rapace impero napoleonico, solo capace, in termini d’arte, di tagliare le tele e scempiare i capolavori, quando non si limitava a rubarli (meglio in fondo rubarli senza però farli a pezzi).
In ultimo, per chi ami sensazioni vagamente erotiche, e stuzzicanti, ecco molte variazioni sul tema biblico, nel Libro di Daniele, di Susanna e i “vecchioni”, libidinosi vecchiazzi che ricattano l’innocente Susanna, come è noto, attribuendole una fuga extraconiugale mai avvenuta, per ottenerne in cambio favori sessuali. Daniele, giudice impietoso, li punirà adeguatamente, dopo che l’integerrima Susanna non aveva ceduta all’oscena profferta. Orbene, qual è il significato della rappresentazione? Che Susanna sia il libero mercato e i vecchioni lo Stato o i suoi funzionari o le famiglie “nuove” legate ad esso, che vogliono porre fino a tale mercato, alla sua (selvaggia, ma salvifica) innocenza? Ora, lo sostengo iperbolicamente. Non credo sia così. Ma potrebbe esserlo. Susanna, giglio in ebraico antico, rosa in ebraico moderno, è qualcosa di puro, ma anche qualcosa che ha grande valore. Si legga il breve, intenso episodio nel libro di Daniele (XIII-1-64), e si rifletta, vi è qualcosa di più in questo episodio che non la semplice “pruderie”, la nudità eccitante e la vecchiaia libidinosa.
Buon 2023, che ci riporti se non la libertà dei genovesi, almeno il pieno ricordo di essa. Susanna, il libero mercato, ovvero la ricchezza che esso produce, ha sempre occhi di interessati spudorati e ingannatori, che cercano di prenderne possesso. Poi, ma non sempre, arriva Daniele, e li condanna a morte (sentenza eseguita dal popolo, peraltro).
Rubens, uomo di infinito sapere oltre che d’arte somma, tutto questo ben conosceva. Credo.
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