La guerra e la cieca Europa che vuole Norimberga
di Alberto Figliuzzi - 17/01/2023
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Fonte: Italicum
La Commissione europea, presieduta da Ursula Von del Leyen, ha proposto l’istituzione di un tribunale speciale disposto dall’Assemblea generale dell’Onu, per processare, per “orribili crimini di guerra e contro l’umanità” Putin ed altri governanti del Cremlino. Si tratterebbe di una riproposizione della logica del processo di Norimberga, definito da Hans Kelsen, un obbrobrio dal punto di vista sia giuridico che morale.
A quasi un anno dall’inizio dell’ “operazione militare speciale” della Russia in Ucraina, numerose ipotesi sulle effettive intenzioni tattiche e strategiche sia di Mosca che di Kiev, sull’andamento e sull’esito del conflitto, sono state, una dietro l’altra, smentite dai fatti.
Altrettanto buio è il futuro di una tragica vicenda che per l’ “Occidente” è stato ed è fin troppo facile, tramite la sua “libera” ma orientatissima informazione, presentare, semplicisticamente e mettendo abilmente a tacere ogni considerazione di ordine storico, culturale, geopolitico, come l’immotivata barbara aggressione subita da uno Stato sovrano. Malgrado ciò, non si ha qui, ora, alcuna intenzione di voler ripetere, magari riproponendoli in maniera forte, i tanti noti argomenti che giustificano in parte o totalmente l’iniziativa russa, esposti, sia pure subendo la sordina, da poche audaci teste pensanti ed esposti invece solo a metà, timidamente e a mezza bocca, da un ambiguo “pacifismo” guidato pur sempre da interpreti di “valori” e auto referenti sistemi di pensiero occidentali.
Ci si vuole rapidamente soffermare, invece, per introdurre delle successive considerazioni, su alcune lampanti evidenze.
In primo luogo c’è da dire che quasi tutte le aree interessate (pur con dolorosi “incidenti” e orrendi episodi che, come in tutti i conflitti, non è onesto volere addebitare unicamente, come in maniera martellante si continua a fare, solo ad una parte), le operazioni militari russe sono state condotte per lungo tempo con estrema moderazione, con la palese intenzione di non coinvolgere per quanto possibile la popolazione civile e senza colpire infrastrutture e servizi da questa utilizzati; l’intenzione essendo, presumibilmente, quella di additare all’intero popolo ucraino, quali suoi principali nemici, i suoi stessi governanti (per giunta, niente affatto democratici e pacifici come si usa presentarli, a giudicare da quanto da loro fatto negli anni precedenti), disponibili, per non chiari vantaggi per il Paese, a diventare strumento delle egemoniche strategie americane e atlantiche sino al punto di far vivere alla loro gente il dramma di una crudele guerra tutt’altro che inevitabile.
In secondo luogo, si può osservare che i massicci aiuti militari americani ed europei all’Ucraina (in forme che lasciano supporre, già in epoca anteriore alle attuali vicende, una pronunciata integrazione degli apparati dell’ex paese dell’Unione Sovietica in quelli della Nato) hanno mutato sensibilmente il quadro della situazione, creando condizioni tali da fare sperare, al fronte occidentale, difficoltà di ogni genere per la Russia, grazie anche alle pesanti sanzioni ad essa imposte, e quindi eventuali future trattative condotte da una posizione di forza. In pratica si è assistito, a parte qualche finto proposito affidato a parole di mera propaganda, alla rinuncia o ad un vero e proprio sabotaggio di una seria e realistica azione diplomatica, per puntare invece su un collasso russo, dal campo di battaglia sino alle condizioni economiche ed anche all’assetto politico-istituzionale. Del resto, nemmeno quando il minaccioso dispiegamento di forze militari sembrava solo un drastico mezzo, dopo altre pacifiche strade inutilmente tentate, per fare prendere in seria considerazione, finalmente, legittime e ben conosciute richieste di garanzia, da parte della Russia, relative alla sua sicurezza di Stato non meno indipendente e sovrano di quello che oggi lamenta l’invasione; nemmeno in questa iniziale fase del confronto, suscettibile di essere “raffreddato” con serie trattative, l’Ucraina e l’Occidente hanno mai voluto mettere Putin alla prova. Al contrario, sempre ignorate o liquidate con sufficienza sono state le sue dichiarazioni di volere solo disponibilità verso tutt’altro che assurde rivendicazioni, e sono state esibite contraddittorie condotte nonché provocatori atteggiamenti di sfida, quasi col proposito che l’invasione davvero avvenisse e che il cosiddetto “Zar” cadesse così nella trappola di apparire l’arrogante e aggressivo violatore del diritto internazionale e della civiltà.
Insomma, l’Ucraina, sia quella del tempo di pace (anche se da parte sua tutt’altro che pacifica) anteriore all’“invasione” e già sulla strada di una piena integrazione nell’alleanza atlantica, sia quella dello stato di guerra, è stata comunque concepita dall’Occidente, con modalità diverse, in una funzione di contrasto nei confronti della Russia, quale strumento per mettere questa in serie difficoltà, per provocare la destabilizzazione del suo ruolo di superpotenza in grado di fronteggiare e arginare la volontà egemonica americana. Un palese gioco d’azzardo del mondo occidentale che, scommettendo su una crisi militare e politica della potenza antagonista, la induce ora invece, come si sta vedendo, ad alzare il livello dello scontro, con l’attacco pianificato alle strutture energetiche e il conseguente coinvolgimento dell’intera popolazione ucraina, quasi punita in quanto incapace di dissociare il suo destino dall’avventura del teatrale e narcisista Presidente e del suo seguito.
In qualunque modo evolverà questa pericolosissima partita, viene da interrogarsi su quale ottenebramento abbia colpito la dirigenza politica dell’Unione Europea o, il che è più verosimile, a quali pesanti condizionamenti o ricatti (per non pensare a più gravi e innominabili operazioni) essa sia stata sottoposta, tali da fare ad essa assumere, di fronte allo scontro tra i governanti ucraini (portati al potere nel 2014 dalle pilotate folle di Piazza Maidan) e la Federazione Russa, una posizione tutt’altro che fautrice di pace. Viene da considerare, infatti, che al tempo dell’Unione Sovietica, portatrice di una ideologia e di una politica alternative o fortemente concorrenti rispetto al liberismo e liberalismo occidentali, un qualsiasi paese europeo o la Comunità Economica Europea (così chiamata dal 1957 al 1992) nel suo complesso avrebbero salutato con giubilo una Russia non più comunista e caratterizzata finalmente da istituzioni democratiche e da una libera economia sia pure imperfette, simili anche se non identiche a quelle occidentali. Viene ancora da credere che, con l’implosione della stessa Unione Sovietica e la faticosa nascita di una nuova Russia non così distante da quella anni prima auspicata dall’Occidente, fosse legittimo attendersi che prima la Comunità (CE) e poi l’Unione Europea (tale dal 2007) avrebbero fatto di tutto per avere buoni, anzi ottimi rapporti con la nuova e ancora potente realtà politica del continente. Ciò in quanto, non era difficile supporlo, nessun vantaggio poteva e avrebbe potuto ottenere la nuova Russia mostrandosi ostile o addirittura aggressiva nei confronti dei paesi dell’Europa Occidentale, e nemmeno nei confronti di quelli una volta oltre la “cortina di ferro” e incorporati nel Patto di Varsavia; considerando che questi paesi, tutti riuniti nell’Unione, avrebbero ora potuto svolgere la funzione di forte contrappeso rispetto sia agli Stati Uniti d’America che alla Cina.
Insomma, considerazioni elementari bastavano per consigliare all’Europa, non solo nei suoi immediati interessi, ma in una lucida visione prospettica geopolitica, un atteggiamento comprensivo della legittima domanda di sicurezza della Russia (assediata invece da una Nato sempre più espressione dei soli interessi planetari americani), e quindi della nota richiesta russa della neutralità dell’Ucraina; non schierandosi perciò in maniera esasperata e irrazionale con questo Paese in quella che appare come una guerra civile, in corso non da mesi ma da diversi anni, in seno ad un’area segnata da legami secolari di carattere linguistico, culturale, etnico, politico tra Russi e Ucraini. Invece l’Ucraina viene incredibilmente presentata come se fosse da sempre parte dell’Europa occidentale e la reazione all’iniziativa militare russa (preceduta, si deve ricordare, dalle tante violenze ucraine contro la popolazione russofona del Donbass) è quasi la stessa che se fosse stata attaccata la Germania o la Francia! In linea con questo, la Russia viene presentata, quindi, con sconcertante irresponsabilità che preclude o indebolisce ogni eventuale iniziativa di mediazione, come il Paese guidato da una ottusa e violenta autocrazia che, qualora l’Ucraina si piegasse, sarebbe pronta ad invadere altri paesi occidentali, in una folle e delirante corsa verso l’oppressione del continente!
Ora, se le lampanti cose evidenziate e le ovvietà finora espresse non vengono prese (di certo non in forma manifesta) in alcuna considerazione negli ambienti politici maggioritari sia di destra che di sinistra, se ne può spiegare il motivo solo con la totale subalternità dell’Unione Europea all’America e con l’abile capacità di questa nel giocare ancora una carta vincente, per la terza volta nell’arco di solo un secolo. A cosa ci si riferisce? Ma alla perspicacia, alla lungimiranza e alla spregiudicatezza con cui gli Stati Uniti, dall’inizio del Novecento, si sono saputi costantemente intromettere al momento giusto nelle vicende europee, partecipando sia alla prima che alla seconda guerra mondiale, non certo per portare nel vecchio continente l’ambiguo irenismo di Wilson o le non originali ricette economico-sociali di Roosevelt, bensì per impedire sul nascere non già burocratiche istituzioni sovranazionali senza alcun vero respiro politico quali quelle in cui ventisette paesi si sono via via collocati e di cui si può avere facilmente ragione, bensì un effettivo progetto europeo (quale quello che sarebbe stato forse imposto con la vittoria dei Paesi dell’Asse poi sconfitti, o quello, suggestivo, concepito insieme da vincitori e vinti nel dopoguerra). Quale straordinaria occasione oggi, quindi, per gli Stati Uniti, partecipare di fatto alla guerra in Ucraina (ma senza contare propri morti), per dare nuova baldanzosa vita ad una Alleanza Atlantica già in seria crisi ed oscurare così, di conseguenza, il progetto di una integrazione militare europea, per costringere una prona Europa a rinunziare ad una sua originale linea politica e ad una produttiva azione diplomatica, per renderla dipendente sul piano energetico ed economico.
Il completo appiattimento europeo sulle posizioni americane, perseguito con particolare zelo dall’attuale Commissione che guida l’Unione, presieduta dall’apparentemente dimessa Ursula Von del Leyen, ha raggiunto forse il suo apice con la dura e aggressiva proposta di questa (che si mostra persino, come si suol dire, molto più realista del re) di un tribunale speciale disposto dall’Assemblea generale dell’Onu, da istituire col compito, a guerra finita, di processare, per “orribili crimini di guerra e contro l’umanità” Putin ed altri governanti del Cremlino.
Ora, a parte la prematura e forse azzardata ipotesi di vedere all’orizzonte, causato dalla guerra, un tale collasso della Russia da esporla al completo arbitrio di una vittoriosa Ucraina e dei suoi sostenitori occidentali, a parte anche i seri problemi di carattere giuridico e politico che la pesante idea del tribunale speciale solleverebbe (andando anche a depotenziare, di fatto, il ruolo della Corte Penale Internazionale dell’Aja), essa è oltremodo indicativa di una linea politica, rispetto a questa guerra, confusa, fantasiosa, provocatoria, non in grado di configurare scenari diversi da quelli imposti dagli interessi americani ed anche suggeriti dal vile e immorale modo in cui gli Stati Uniti sono abituati a porsi di fronte agli eventi storici in cui siano coinvolti: quello di processare e condannare, da vincitori, i perdenti.
In effetti si tratterebbe di una riproposizione della logica del processo di Norimberga, com’è noto molto problematico sotto il profilo della legittimità persino nel giudizio di grandi studiosi e giuristi come Hans Kelsen, tutt’altro che amico del nazionalsocialismo: in termini semplici, un obbrobrio dal punto di vista sia giuridico che morale.
Un’ultima osservazione in merito: dal momento che gli equilibrati ed imparziali ideatori del processo di Norimberga avevano, qualche mese prima del suo inizio, sganciato le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, potrebbe forse accadere che la solerte Ursula, prendendoli, a quanto sembra, come modello, proponga anche lei un attacco simile in territorio russo? O, così temendo, le manchiamo di rispetto, considerandola più ingenua e più pericolosa di quanto ella sia?…
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