Di Claudio
Martinotti Doria
E’
inevitabile che il pensiero ogni tanto si focalizzi sulle spaventose
discriminazioni e sperequazioni che sono visibili e rilevabili nel nostro
paese. Soprattutto se si è tra coloro che ne sono penalizzati e non
beneficiati.
Mi riferisco
ad esempio a come si sia abusato dei cosiddetti “diritti acquisiti”, che
sarebbe più corretto definire “privilegi”. Privilegi arbitrari che sono
mantenuti ancora oggi, nonostante le condizioni socioeconomiche gravissime in
cui versa il paese e che giustificherebbe un loro drastico ridimensionamento, ma
che vengono invece disintegrati con cinismo e nonchalance quando fa comodo alla
classe politica asservita all’élite finanziaria speculativa globalista, come
nel caso del trio Napolitano-Monti-Fornero nel 2011, quando hanno massacrato
milioni di famiglie italiane con una riforma previdenziale che non ha
precedenti al mondo per la sua durezza e asprezza penalizzante. E ci hanno pure
raccontato che l’hanno fatto per salvare il paese. Salvare da cosa? Semmai sono
loro che hanno contribuito a distruggerlo e farlo saccheggiare e impoverire.
I privilegi
di cui continuano a godere centinaia di migliaia di persone nel nostro paese
sono il frutto della degenerazione in corso nei decenni scorsi nel nostro
paese, un combinato disposto che derivava dall’eccessivo clientelismo e
partitocrazia corruttiva degli anni del socialismo trionfante, durante il quale
assumevano negli enti pubblici e in quelli misto pubblico privato un esercito
di tesserati del partito, di solito incapaci e parassiti (privi di qualifiche e
competenze), con retribuzioni elevate, molto al di sopra dei propri meriti e
funzioni, consentendo pure loro di andare in pensione dopo pochi anni di lavoro
(si fa per dire), le cosiddette “pensioni baby”, che all’Inps sono costate
finora circa 200 miliardi di euro (ci sono casi di persone andate in pensione attorno
ai 30 anni). Questi privilegi non sono stati neppure sfiorati dalla famigerata
riforma Fornero, che invece si è permessa di devastare le prospettive e i
progetti di vita di milioni di pre-pensionati che si troveranno penalizzati decine
di volte proporzionalmente rispetto ai privilegiati degli anni ’80 e ’90,
creando una situazione di ingiustizia sociale senza precedenti. Per avere un
termine di paragone, un privilegiato pensionato baby versando 10 alla
previdenza riceverà nel corso della sua vita 100, mentre al contrario una
vittima della Fornero avrà versato 100 per prendere 10. Questi sono i fatti. Ed
è avvenuto in appena una trentina di anni, non un secolo.
A queste
ingiustizie, che causano inevitabilmente gravi dissonanze cognitive e relazionali,
si devono aggiungere quelle derivanti dal dominio, ormai irreversibile, del capitalismo neofeudale, prettamente finanziario,
che ha favorito la disoccupazione, perché funzionale all’obiettivo di ridurre
in schiavitù i neo-lavoratori. Quelli assunti negli ultimi anni, costretti a
lavorare con retribuzioni da fame e con orari di lavoro eccessivi e senza
alcuna gratificazione e benefits, siano essi dipendenti a tempo determinato che
lavoratori pseudo-autonomi, mentre in passato al contrario eccedevano in
privilegi.
Un paradosso
tragico che comporta una sperequazione senza precedenti. Ho approssimativamente
calcolato che coloro che lavorano oggi, nelle condizioni sopradescritte,
mediamente hanno un potere di acquisto ridotto a un terzo rispetto a coloro
che hanno lavorato negli anni ’80 e ’90 e prenderanno addirittura meno di un
terzo di pensione quando ci andranno da vecchi, molto vecchi. Ecco perché i
nostri padri riuscivano a comprare casa mentre i figli e i nipoti dovranno
attendere di riceverla in eredità per possederne una, non potendo mai
acquistarla con il loro reddito.
Ma a questo
non c’è rimedio individuale, nel senso che il singolo individuo non può farci
nulla, se non cercare di sopravvivere attingendo alle risorse famigliari,
finché non si esauriranno.
Occorrerebbe
che la politica tornasse a essere esercizio nobile al servizio del popolo e non
subordinata alla finanza speculativa e al capitalismo neofeudale, riprendesse
la sua autonomia e sovranità e tornasse al “fordismo, oppure s’ispirasse, per
restare in patria, ad Adriano Olivetti, cioè favorisse il capitalismo
intelligente e lungimirante, quello che premia e motiva adeguatamente i
lavoratori in modo che possano spendere
per acquistare beni e servizi prodotti da loro stessi e non destinati
esclusivamente all’esportazione, perché è inutile produrre beni se poi nessuno
è in grado di acquistarli, se non i ricchi che diverranno sempre più ricchi e
saranno sempre e solo loro a poter acquistare la maggioranza dei beni, ma non
potranno certo acquistarli tutti.
Lo stesso
discorso del fordismo andrebbe applicato anche alle pensioni erogate. Infatti non
ha alcun senso continuare a pagare pensioni elevate, privilegiate, a persone
che non hanno versato adeguati contributi, mantenendo tali diritti acquisiti, e
continuare a penalizzare milioni di pensionati al minimo, con erogazioni che
non consentono neppure una vita dignitosa. Se si vuole che l’economia riprenda
occorre ridistribuire la ricchezza prodotta in base a criteri di equità e non
discriminazione politico clientelare come è stato in passato e in parte tutt’ora
(vedasi ad esempio gli stipendi e le pensioni erogate ai dipendenti dell’UE
rispetto al settore privato o anche pubblico nazionale, che sono mediamente in
un rapporto di 1 a 10). 10 milioni di pensionati al minimo o quasi se
ricevessero un aumento anche leggero delle loro erogazioni, è certo che sarebbe
messo in circolazione nel cosiddetto “libero mercato” (che libero non è mai
stato), mentre invece il surplus ricevuto da un pensionato privilegiato con un
appannaggio elevato è facile che lo accantoni e non lo metta in circolazione,
lasciandolo in eredità, non lo investirebbe neppure parzialmente in azioni
(sono balle che il benestante e privilegiato “investa” il suo denaro favorendo
l’economia, semmai lo potrebbe fare un imprenditore ma non un pensionato o uno
che viva di rendita).
Pertanto non
vi sono altre soluzioni per il nostro paese che affrontare definitivamente il
nodo dei cosiddetti “diritti acquisiti” con criteri di maggiore equità e
giustizia sociale, per porre rimedio alle sperequazioni del passato: si tratta
pertanto inevitabilmente di togliere a coloro che hanno ricevuto troppo
rispetto ai loro versamenti contributivi, per distribuire a chi ha ricevuto
meno. Arroccarsi in queste posizioni da status quo è solo egoismo e
menefreghismo nei confronti degli altri, e non mi sembra che sia legittimo e
moralmente tollerabile, soprattutto in quest’epoca di tribolazione diffusa. Contare
sulla solidarietà sarebbe un’ingenuità, chi ha parassitato a lungo non avrà mai
alcuna manifestazione di solidarietà se non vi sarà obbligato. E tergiversare
su questi argomenti condurrà solo a un aggravamento della conflittualità
sociale e della ricerca di capri espiatori, che in questo contesto potrebbero
essere gli immigrati, sui quali non mi soffermo, avendone già parlato
lungamente.
Siccome
abbiamo un governo populista, nel senso nobile del termine, speriamo metta
finalmente mano a questi problemi e li risolva con determinazione, otterrebbe
il consenso del popolo, mentre non farà che aggravare l’opposizione delle
élite, che comunque sono già ostili a prescindere, con tutto il loro apparato propagandistico
di prostituti mediatici.
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