Smart city o città della sorveglianza? L’esemplare caso di Trento
L’etichetta di “smart city” – città intelligente – appare sempre più spesso nei discorsi dei sindaci delle città all’avanguardia, che vedono nella tecnologia uno strumento chiave per delineare l’urbanistica del futuro. Sebbene il concetto di smart city sia emerso all’inizio del 2010, la sua definizione resta ancora oggi sfuggente e generica, priva di riferimenti univoci che ne fissino chiaramente il significato. In linea generale, la città intelligente punta a ottimizzare l’efficienza e la sostenibilità delle infrastrutture e dei servizi urbani, creando un ambiente in cui l’innovazione tecnologica migliori la qualità della vita e riduca l’impatto ambientale. A differenza degli approcci tradizionali, però, questa nuova direzione manageriale basa le sue fondamenta nella raccolta e nell’analisi dei dati in tempo reale. Nell’immaginario comune, le smart city evocano scenari faraonici e futuristici; in realtà, il processo è spesso più discreto e invisibile. In Italia, la digitalizzazione urbana avanza a ritmo moderato, con progetti frammentati e generalmente sostenuti da fondi locali o europei. Città come Milano, Firenze, Bologna e Venezia stanno sperimentando diverse forme di integrazione tecnologica, tuttavia il caso italiano più rappresentativo e trasparente resta forse quello di Trento, città riconosciuta nel 2013 come la «prima smart city italiana».
Questo modello urbano consente di analizzare successi e controversie associati alle smart city, tra opportunità, promesse a lungo termine e aspetti critici che i cittadini dovrebbero monitorare con attenzione. Complice una regolamentazione frammentata e l’assenza di un quadro giuridico stabile, infatti, questi progetti rischiano non solo di risultare inefficaci, ma anche di essere percepiti come invasivi e potenzialmente dannosi.
Il caso di studio: Trento
La Provincia autonoma di Trento è spesso vista come una forza trainante nel percorso verso la realizzazione delle smart city, un’attitudine propositiva che viene influenzata dalla storica presenza in loco dell’Istituto trentino di cultura, poi divenuto Fondazione Bruno Kessler. Pur trattandosi di un ente privato, la fondazione, presieduta da Ferruccio Resta, è marcatamente presente sul territorio, coltivando e attraendo competenze locali nei campi della tecnologia, dell’innovazione e delle scienze umane. Questo incubatore di talenti ha conferito un vantaggio tecnologico strategico alla città, la quale ha saputo anche sfruttare i finanziamenti elargiti dalla Commissione europea.
Stando quanto riportato dal Comune stesso, i fondi europei hanno supportato direttamente o indirettamente lo sviluppo di app per il bike sharing, la calendarizzazione della pulizia stradale e gli orari del trasporto pubblico, oltre a strumenti che semplificano la compilazione dei moduli burocratici e migliorano l’accessibilità dei servizi di mobilità urbana. Si tratta di un processo di rapida digitalizzazione, il quale viene sostenuto e assecondato anche da un servizio di volontariato che mira ad assistere i cittadini meno esperti in campo tecnologico. Questi sviluppi, sebbene utili e interessanti, restano però distanti da quella rivoluzione radicale e hi-tech che dovrebbe spingere a pensare a nuovi modi di vivere l’urbanizzazione.
Più audace è stato nel 2020 il progetto Smart city Lab a Vela, il quale ha concentrato risorse ed energie su un unico rione per testare soluzioni tecnologiche integrate nel tessuto urbano tramite infrastrutture ICT (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Fiore all’occhiello dell’iniziativa è stato il collaudo del progetto europeo Decenter, un’architettura di calcolo che impiega infrastrutture blockchain per automatizzare i processi informatici in tempo reale. Nei fatti, lo sforzo ha assunto la dimensione di un monitoraggio dello stato del quartiere in cui sono stati installati sensori e telecamere per monitorare i movimenti di pedoni, ciclisti e automobili. Tuttavia, iniziano a spuntare i primi segnali d’allarme: nel momento in cui vengono introdotte delle telecamere in un luogo pubblico, vengono irrimediabilmente tirate in ballo tutta una serie di preoccupazioni legate alla privacy. Un dilemma in cui Trento è rimasta coinvolta.
Quando la sicurezza lascia spazio alla sorveglianza
Consultando la lista dei «progetti d’innovazione conclusi» del Comune di Trento, non si può fare a meno di notare che i tre progetti presentati in posizione di rilievo sono tutti legati in qualche forma a iniziative che puntano a incrementare la sicurezza dei cittadini: PreCrisis, Protector e Marvel, ognuno dei quali utilizza simbioticamente tecnologie d’intelligenza artificiale e reti di sensori per raccogliere informazioni in tempo reale e migliorare la gestione dei pericoli «senza violare l’etica e la privacy».
PreCrisis è stato pensato per «prevenire la minaccia di attacchi terroristici e crimini violenti (es. rivolte di massa) e mitigarne le conseguenze», agevolando la raccolta e la condivisione dei dati con i soggetti che operano nell’ambito della sicurezza «in modalità sicura e rispettosa della privacy». Il progetto consolida la Smart city control room di Trento e intavola un sistema di videosorveglianza in near real time (tempo quasi reale) e asincrono, per stabilire in tempi rapidi la presenza di situazioni considerate anomale o sospette. Marvel e Protector sono ancor più focalizzati sulla sorveglianza urbana e si basano su reti di telecamere, microfoni intelligenti e analisi dei social media per «riconoscere automaticamente la presenza/assenza di persone e discriminare situazioni potenzialmente problematiche» in spazi pubblici come parchi, stazioni e luoghi di culto, così da consentire un’eventuale reazione tempestiva delle forze dell’ordine.
Nonostante le rassicurazioni del Comune riguardanti la legittimità dei progetti, due di questi tre strumenti – Marvel e Protector – sono stati bocciati da un provvedimento del Garante della privacy datato 11 gennaio 2024.Pur riconoscendo la buona volontà del Comune, il Garante ha sottolineato le molteplici illiceità, tra cui insufficiente trasparenza nel trattamento dei dati, mancanza di misure necessarie a proteggere le informazioni raccolte e l’assenza di una base giuridica per la liceità del trattamento. L’opinione del Garante ha inoltre considerato come aggravanti il fatto che il sistema di sorveglianza fosse applicato ai luoghi di culto e che i dati raccolti venissero condivisi all’estero – più nello specifico, con la Polizia di Anversa e con il Ministero dell’Interno della Bulgaria. In tal senso, l’autorità ha imposto a Trento di non usare i dati personali già raccolti, anzi di cancellarli del tutto, nonché una sanzione da 50.000 euro.
PreCrisis è stato invece esentato dal provvedimento, in quanto «allo stato non viene posto in essere alcun trattamento di dati personali, “essendo lo stesso ancora in fase di programmazione e analisi di contesto”». Pochi giorni dopo la sanzione, il 30 gennaio, il sindaco di Trento Franco Ianeselli – indipendente di centro-sinistra – ha parlato della situazione a La Repubblica, dando a intendere di non condividere il punto di vista del Garante della privacy. Secondo la testata, «per il sindaco la questione non è solo trovare un equilibrio tra il rispetto della privacy e la garanzia di sicurezza, ma anche “realizzare degli strumenti per conto nostro o rimanere indietro e dover utilizzare quelli degli altri, che magari li progetteranno con minore cura”». Quattro consiglieri comunali di Fratelli d’Italia – Daniele Demattè, Andrea Merler, Giuseppe Urbani e Cristian Zanetti – hanno colto prontamente l’occasione per avviare un esposto per «mala gestio del denaro pubblico», tenendo poco in considerazione il fatto che il loro partito vorrebbe concretizzare altrove dei piani di videosorveglianza molto affini a quelli contestati.
Risultati e benefici
Dal 2021, il Governo ha stanziato 17,1 miliardi di euro attraverso il PNRR per finanziare iniziative legate alle città intelligenti. Si stima che circa l’82% dei comuni italiani abbia già avviato progetti mirati a promuovere digitalizzazione, sostenibilità e inclusione. Questa corsa agli investimenti rende tuttavia difficile valutare oggettivamente i risultati dei progetti avviati a Trento e in altre parti d’Italia. Molte ricerche di riferimento, infatti, sono condotte da accademie e istituzioni direttamente coinvolte nei progetti stessi, sollevando qualche dubbio sull’imparzialità delle loro valutazioni. Risulta difficile, per esempio, chiarire se i benefici derivanti dalle app messe a disposizione dei cittadini giustifichino i costi di gestione, un aspetto che può potenzialmente ottenere riscontri estremamente diversi a seconda del punto di vista adottato.
Parallelamente, esistono casi studio che attestano come la raccolta di dati in tempo reale possa rendere le città e le infrastrutture più efficienti, sicure e sostenibili, con benefici che possono essere poco evidenti, ma che sviluppano risultati concreti. Ridurre i tempi di percorrenza e l’inquinamento atmosferico, ottimizzare l’illuminazione pubblica e il consumo energetico degli edifici pubblici: le possibilità sono numerose. Il caso di Trento evidenzia però che è importante definire quali informazioni vengono raccolte e come queste siano poi trattate. Per garantire che i progetti di smart city non compromettano i diritti dei cittadini, è essenziale che vi sia una supervisione continua e trasparente delle tecnologie utilizzate. Inoltre, sarebbe forse opportuno resistere alla tentazione di applicare immediatamente la tecnologia ai fini polizieschi, privilegiando piuttosto aree d’intervento che sono meno controverse o problematiche.
[di Walter Ferri]
Nessun commento:
Posta un commento