Gli ultimi due Paesi che in ordine di tempo sono diventati membri della Nato sono i primi a diffondere manuali di sopravvivenza in caso di guerra con la Russia. Del resto, le truppe svedesi e quelle finlandesi si addestrano da anni insieme, e i vicini nordici sono entrati nell’Alleanza Atlantica a passo unito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Si poteva sperare che questa nuova appartenenza avrebbe allontanato, anziché avvicinato, uno scenario apocalittico, ma evidentemente così non è andata. E così a ufficializzare il clima di escalation in Europa ci pensano degli opuscoli.
Quello svedese si intitola Informazioni importanti per i residenti in Svezia in caso di crisi o guerra, è stato stampato in cinque milioni di copie e la sua distribuzione porta a porta è iniziata qualche giorno fa. È un nuovo aggiornamento di una pubblicazione risalente al 1943 e distribuita dalla nazione neutrale durante tutta la Guerra Fredda, rivista significativamente nel 2018 dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Sebbene il presidente Vladimir Putin non sia menzionato, funzionari governativi hanno confermato che un’apocalisse globale innescata dal Cremlino è il principale fattore che ha portato il testo all’upgrade.
La nuova versione include una lista di controllo per i rifornimenti, tra cui cibo per animali, compresse di iodio e nastro adesivo per sigillare finestre e prese d’aria. L’opuscolo sarà distribuito a cinque milioni di famiglie. L’ultima versione è stata aggiornata per riflettere le lezioni apprese dalla guerra moderna in Ucraina, ha dichiarato il ministro della Difesa Civile, Carl-Oskar Bohlin.In particolare, l’opuscolo si concentra sulla costruzione di una “difesa psicologica” contro la disinformazione e la propaganda. “Se la Svezia viene attaccata, non ci arrenderemo mai. Qualsiasi suggerimento contrario è falso”, si legge. Altri consigli includono come cercare riparo durante un
Il ministro svedese della Difesa Carl-Oskar Bohlin ha detto che la situazione della sicurezza è “peggiorata rispetto alla pubblicazione dell’ultimo opuscolo nel 2018” e che le circostanze esterne, così come si presentano in questo preciso momento storico, hanno richiesto un aggiornamento delle informazioni fornite alle famiglie: “Il nuovo opuscolo è uno strumento importante per chiarire il ruolo dell’individuo nella difesa complessiva”.
Lunedì, la Finlandia ha a sua volta pubblicato online la versione aggiornata di una guida sulla preparazione in caso di guerra, intitolata Prepararsi a incidenti e crisi. Ai cittadini finlandesi è stato chiesto di considerare come affrontare condizioni di -20°C in caso di interruzione delle forniture di gas e di assicurarsi una “lista di rifornimenti” che includa cibo per animali, compresse di iodio e nastro adesivo per sigillare finestre e prese d’aria.
Sono eventi che seguono un trend regionale piuttosto evidente. A giugno, il Servizio di Gestione delle Emergenze della Danimarca ha esortato la popolazione a fare scorte di beni essenziali, mentre il governo norvegese ha distribuito una guida a oltre due milioni di famiglie. “Dobbiamo essere consapevoli che eventi meteorologici estremi, pandemie, incidenti, sabotaggi – e nel peggiore dei casi atti di guerra – possono colpirci”, si legge nei consigli norvegesi.
Ma l’ombrello NATO non doveva fungere da deterrente definitivo per la minaccia putiniana? Siamo sempre alla solita contraddizione: da un lato la retorica atlantista spiega che ammettendo nuovi membri gli garantisce sicurezza tramite il patto di mutuo intervento, dall’altro però l’andazzo sembra smentirla, raccontandoci di una maggiore instabilità collettiva. Oppure, capovolgendo il discorso, se la solidarietà collettiva di un’alleanza militare rafforzata potrebbe rivelarsi un bluff, o quantomeno inefficace rispetto alla minaccia russa, e ci viene chiesto di crede che i Paesi nordici stiano affrontando oggi rischi maggiori rispetto alle due guerre mondiali, allora non è vero che la Russia è in difficoltà contro un avversario molto più debole in Ucraina – incapace di sostenere la guerra, con un’economia in difficoltà, con gravi perdite di truppe e rifornimenti? Insomma, che segnale vogliono lanciare quegli opuscoli?
Forse il punto principale da chiarire è che il portentoso allargamento dell’Alleanza andava letto con meno trionfalismo di come è stato raccontato. Del resto già lo scorso summit a Washington per i 75 anni della NATO ha evidenziato un contrasto tra grandiosità e incertezze. Il vertice è stato presentato come un evento storico per il “più grande successo militare della storia”, con il presidente Biden che ha descritto l’impegno americano come un “obbligo sacro”. Tuttavia, l’attenzione si è presto spostata sull’idoneità cognitiva del capo della Casa Bianca, che da lì ha poco è stato spinto a lasciare il posto (perdente) a Kamala Harris. La destra populista più scettica, con a capo Donald Trump, ha vinto senza appello le elezioni di novembre, conquistando anche il voto popolare, mentre la piena adesione dell’Ucraina alla Nato è continuamente rimandata e di fatto affossata dalle paure di Francia e Germania, seguite a ruota da quasi tutta l’Europa occidentale.
La fanfara che ha accompagnato l’ingresso di Svezia e Finlandia riflette un cambiamento ideologico: la sinistra europea, un tempo critica della NATO, sembra ora la parte politica più appiattita sull’Alleanza. E ora questa sinistra in crisi chiede agli Stati di unirsi di un’alleanza delle democrazie contro le tirannie e il terrorismo con slogan contraddittori, insostenibili, facendo passare la destra come l’adulto nella stanza. Come scrive Lily Lynch, persino in Svezia alcuni media hanno descritto l’adesione al club atlantico come un ingresso nella modernità, e questo riflette un processo già in atto da decenni, legato al progressivo allineamento dei partiti socialdemocratici nordici ai dogmi liberisti e a una nozione manichea di occidentalismo.
L’abbandono della neutralità come opzione morale non sembra però una risposta efficace alla “minaccia russa”. Gli ultimi eventi, riflessi in quei manuali di sopravvivenza, ci parlando di una NATO che cerca di adattarsi, ma che resta più fragile di quanto appaia. Sta agli europei, magari liberi dall’egemonia statunitense, interrogarsi sul futuro della sicurezza transatlantica.
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