Botanici e zoologi di tutte le Università contro le nuove norme sui tagli dei boschi.
Contro lo schema di Decreto Legislativo in materia di Foreste e filiere forestali (nuovo Testo Unico delle Foreste), che il Governo sembra avere intenzione di approvare “in extremis” a pochissimi giorni dalle elezioni, insorgono più di 200 professori universitari di botanica e zoologia, alla cui iniziativa si sono rapidamente aggiunti docenti di selvicoltura, geologia, difesa del suolo, idraulica forestale e diritto ambientale.
Da Bolzano a Catania, i ricercatori italiani che studiano gli ecosistemi forestali hanno sottoscritto un appello che – ci tengono a rimarcare – “è strettamente scientifico ed estraneo ad ogni riferimento elettorale“, con cui chiederanno al Governo di non approvare il Decreto e al Presidente della Repubblica di non firmarlo, perché non fondato su basi scientifiche e dannoso per le foreste.
I principi ispiratori del Decreto lasciano basiti i docenti universitari: “Il testo parte dalla premessa, paradossale e contraria all’evidenza scientifica, che le foreste abbiano necessariamente bisogno di una “manutenzione”, ossia di essere soggette a tagli, all’apertura di strade e ad altri interventi, per prevenire il dissesto idrogeologico e gli incendi” sottolinea l’ecologo forestale Gianluca Piovesan (professore ordinario di selvicoltura e uno degli artefici del riconoscimento delle faggete secolari italiane come Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO). “Si torna indietro di secoli con principi gravissimi – continua Piovesan –, come l’articolo che consente alle Regioni di procedere al taglio forzoso di boschi privati se il proprietario li lascia invecchiare“.
“Una norma sconcertante” concorda il botanico ed ecologo Alessandro Chiarucci (professore ordinario a Bologna, noto a livello internazionale per i suoi studi sulla biodiversità): “sembra davvero grave, oltre che infondato dal punto di vista scientifico, equiparare i boschi che hanno “superato il turno” ai terreni agricoli abbandonati“. I boschi, infatti, a differenza delle colture agrarie, sono sistemi autosufficienti, che se lasciati indisturbati progrediscono verso una struttura più complessa e producono benefici ambientali crescenti.
“Tra l’altro, con gli attuali prezzi irrisori della legna, dove si prenderebbero i soldi per sostenere questa strana “economia forestale sovietica”?” si stupisce Fabio Clauser, decano dei forestali italiani.
Fra i firmatari dell’appello numerose le firme di scienziati di grande esperienza e riconosciuta autorevolezza: lo zoologo Luigi Boitani, fra i maggiori esperti di conservazione della fauna in Italia; il botanico Franco Pedrotti, uno dei “padri” dei criteri scientifici per la conservazione della natura in Italia; l’ecologo forestale Marco Carrer, fra i massimi esperti italiani di effetti del cambiamento climatico sulle foreste; e numerosi italiani che lavorano in istituzioni di ricerca estera di grande prestigio, come Marco Ferretti, capo dell’unità di ricerca sulla gestione forestale dell’istituto federale WSL della Svizzera.
“La produzione di legna e legname dai boschi è un’attività economica fondamentale: non vogliamo certo eliminarla dal territorio. Ma se si vogliono rendere i tagli molto più facili per ragioni economiche, allora si abbia il coraggio di dirlo e si lascino perdere ragioni pseudo-scientifiche” concludono i promotori dell’appello, che chiedono l’apertura di un tavolo interdisciplinare.
Ecco il testo integrale dell’Appello tecnico-scientifico sul nuovo Testo Unico Forestale
Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
I sottoscritti docenti universitari e ricercatori di enti pubblici in scienze botaniche, zoologiche, ecologiche, geologiche, ambientali e forestali esprimono sconcerto e preoccupazione per lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali in attuazione dell’articolo 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154”.
Siamo infatti costretti a sottolineare con forza il nostro stupore per i gravi errori scientifici che informano sia alcuni principi generali, sia numerosi aspetti tecnici, del proposto Decreto, che potranno condurre a effetti deleteri sugli ecosistemi, sul suolo, sulla biodiversità e sul paesaggio.
1. Il Decreto assume, contro ogni evidenza scientifica, la necessità di una gestione selvicolturale del patrimonio forestale per la prevenzione del dissesto e degli incendi e la tutela del paesaggio. Se è innegabile che la selvicoltura è un’attività economica di enorme importanza, che non può certamente essere esclusa da tutti i nostri boschi, dobbiamo con forza sottolineare come sia infondato e paradossale attribuirle aprioristicamente, in modo generalizzato, capacità di tutela contro eventi come le frane o l’erosione. Numerosi studi, condotti proprio in Italia, hanno mostrato ad esempio la forte erosione dei suoli che consegue alla gestione a ceduo dei boschi.
2. Appare gravissimo, e infondato sotto il profilo scientifico, equiparare i boschi che abbiano “superato il turno” ai terreni agricoli abbandonati (art.3, c. 2, lett. g). Infatti i boschi, anche se gestiti, sono ecosistemi auto-sostenuti e, in assenza di attività selvicolturali, evolvono in modo autonomo con caratteri che ne aumentano i servizi ecosistemici associati (p.e. qualità delle acque, conservazione del suolo e difesa dal dissesto, habitat per la fauna selvatica). I terreni agricoli, invece, sono ambienti creati artificialmente dall’uomo che richiedono un apporto continuo di energia per rimanere tali. Le conseguenze di tale confusione sulla gestione del territorio e sulla biodiversità e le funzioni degli ecosistemi sono potenzialmente irreparabili.
3. Fuori da ogni logica scientifica e dal buon senso è quanto risulta dal combinato fra l’art.12 (in base al quale le Regioni possono sostituirsi al legittimo proprietario dei terreni agricoli “incolti” per promuovere il recupero produttivo della proprietà fondiaria o per imporlo nei casi in cui non sia possibile raggiungere un accordo) e l’art.3 (che equipara i boschi che abbiano superato il turno ai terreni agricoli incolti): in pratica, le Regioni potrebbero procedere al taglio coatto di boschi il cui proprietario abbia lasciato decorrere il turno. Le conseguenze sono sconcertanti: un bosco che evolve naturalmente verso più complessi stadi ecologici e fornisce maggiori servizi ecosistemici è da considerarsi abbandonato (e quindi va tagliato). Tale risultato è completamente all’opposto del principio della incentivazione dei servizi ecosistemici che il Decreto dice a parole di voler promuovere.
4. Il Decreto fa un uso molto distorto del pagamento per i servizi ecosistemici (PES), utilizzando risorse pubbliche, che sarebbero destinate alla tutela ambientale, per sostenere alcune filiere produttive. In particolare, (art. 7, c. 10), appare molto discutibile sotto il profilo scientifico-ecologico ritenere buone pratiche forestali e assoggettabili ai PES qualunque tipo di utilizzazione forestale purché si abbia rinnovazione. Manca nella legge una prospettiva di indirizzo tecnico-scientifico finalizzata ad innovare tecniche selvicolturali a basso impatto ambientale. Di conseguenza, verrebbero pagate con i PSE anche normali pratiche selvicolturali che non implementano o mantengono i servizi ecosistemici, anzi in alcuni casi potrebbero essere causa di degrado.
5. Le opere di compensazione per eventuali eliminazioni di aree boscate secondo il Decreto non devono essere necessariamente vicine all’area sacrificata e (in base all’art.8, c.4, lett. c,d,e) potrebbero, incredibilmente, anche non essere rimboschimenti ma addirittura consistere nell’apertura di strade e simili a servizio e profitto dell’azienda stessa che ha effettuato la trasformazione. Va sottolineato che la viabilità forestale ha spesso dimostrato di avere notevoli impatti negativi sull’erosione del suolo, sul rischio di frane e sulla biodiversità floristica e faunistica (per il fenomeno noto in ecologia come effetto margine).
6. Il decreto contempla l’eliminazione del bosco al fine di conservare paesaggi agrari in abbandono, azione scientificamente discutibile, che contrasta le naturali tendenze dinamiche degli ecosistemi, utili alla mitigazione dei cambiamenti climatici e alla tutela idrogeologica. Solo in situazioni di paesaggi storici di particolare rilievo o di comunità secondarie di elevata importanza ecologica (e a seguito di approfondite ricerche) si può pensare di contrastare la naturale evoluzione a bosco.
7. La “gestione forestale sostenibile” non può comprendere solo le attività selvicolturali, ma deve prevedere anche l’individuazione delle riserve integrali o il rilascio di isole ad invecchiamento indefinito nelle particelle utilizzate. In tutto il testo manca invece un chiaro riferimento alla zonizzazione del territorio forestale, ossia una distinzione tra boschi da destinare alla produzione e boschi che devono restare indisturbati.
Infine, dobbiamo purtroppo rilevare che molte raccomandazioni approvate dalle Commissioni parlamentari competenti, se applicate, porterebbero ad un ulteriore peggioramento della fondatezza scientifica della norma e delle sue conseguenze sull’ambiente. Infatti, rispetto allo schema originariamente trasmesso dal Governo:
– viene aggiunta una definizione di gestione attiva che rende pericolosamente confusa la distinzione rispetto alla gestione sostenibile;
– viene tolto l’obbligo di utilizzo dell’ingegneria naturalistica per poter considerare le sistemazioni idraulico-forestali come attività di gestione forestale;
– viene considerata “buona pratica forestale”, meritevole di pagamento dei servizi ecosistemici (PSE), qualunque forma di selvicoltura inclusa l’ordinaria gestione del bosco governato a ceduo (un’attività che, pur legittima e tradizionale su vaste superfici, appare scorretto poter considerare fornitrice di servizi ecosistemici di importanza tale da essere sussidiata economicamente, in quanto non necessariamente porta ad un incremento del capitale naturale e dei suoi servizi, ma può portare anzi a costi ambientali come ad es. perdita di suolo, a bassi livelli di potenzialità per gli habitat faunistici e ad emissione di CO2; in tal modo inoltre non si incentiva in alcun modo il passaggio a forme di selvicoltura più sostenibili, come la conversione ad alto fusto, diversamente da quanto nello spirito dei PSE);
– vengono incluse tra le compensazioni ambientali per eventuali disboscamenti le piantagioni di alberi in ambiente urbano, che nulla hanno a che vedere con gli ecosistemi naturali.
Per tutti questi motivi, riteniamo che il governo si assuma una gravissima responsabilità ad approvare il D.Lgs. in chiusura di legislatura, in assenza di un ampio e ponderato dibattito scientifico; chiediamo pertanto la sospensione dell’iter del decreto, e l’apertura di un tavolo interdisciplinare di approfondimento, o in subordine che esso venga riveduto tenendo conto di quanto espresso sopra.
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