La “finzione” del Referendum e l’illusione dei cittadini di contare qualcosa
Grande soddisfazione in casa leghista, il referendum è andato bene e ciascuno vuole assumersene la vittoria, persino quelli che prima criticavano l’iniziativa presa dai due governatori.
Zaia, governatore del Veneto ha definito il risultato del referendum in maniera entusiasta: “E’ il big bang delle riforme istituzionali”
Il presidente del Veneto: “E’ una chiamata di popolo. Lunedì proposta di legge in giunta per avviare le trattative con Roma. Chiederemo 23 deleghe oltre che i nove decimi delle tasse”
Poco dopo lo stesso Zaia: „”Sono convinto che questa stagione delle riforme diventerà endemica – ha continuato – non si fermerà qui la partita. Chiederemo il federalismo fiscale, domani presenteremo già un progetto di legge molto articolato. Sarà la nostra base negoziale con il governo. Sono 23 le materie che chiediamo, delle quali 3 esclusive dello Stato, ossia Giustizia, Istruzione e Sicurezza. Chiediamo tutto. Chiediamo l’applicazione dei nove decimi delle tasse, come Trento e Bolzano, non solo una partita di giro delle competenze”.“
Senza dubbio il referendum ha segnato un pieno successo per le richieste di autonomia della Lega, in particolare nel Veneto ed un discreto successo anche in Lombardia.
Dai conteggi trasmessi risulta che In Veneto si è epresso a favore il 98.1 % degli elettori. In Lombardia la percentuale dei Si ha superato il 95%. In sostanza: chi è andato alle urne, lo ha fatto per votare sì. Nella Regione di Luca Zaia, anche l’obiettivo quorum è centrato (si è recato ai seggi il 57,2% degli aventi diritto), mentre in Lombardia l’affluenza va poco oltre il 38% (ma il quorum qui non era necessario). Quello che tutti si domandano adesso è quali saranno gli effetti reali della consultazione.
Bisogna fare un passo indietro e considerare che le stesse forze politiche che, contrapposte fra loro, si candidano al governo del paese e che si sono scontrate sulla nuova legge elettorale, sono state invece concordi nel sostenere i referendum per l’autonomia, con l’appoggio decisivo di Berlusconi nel centro destra, mentre anche i 5 stelle da ultimi sono saltati sul carro. Non è quindi esatto che le due consultazioni siano esclusivamente una vittoria leghista, anche se così vengono presentate. In Lombardia il referendum è stato approvato da tutto il centrodestra e dai cinque stelle. Il Partito democratico, inizialmente contrario, ha poi cambiato posizione: il sindaco Sala di Milano, il futuro candidato alla regione ora sindaco di Bergamo, Gori insieme a tanti altri si sono pronunciati per il SI.
Nel Veneto lo stesso PD si era astenuto sul referendum ma ha poi ha dato indicazione per il SI, tutte le altre formazioni politiche hanno la stessa posizione dei loro omologhi lombardi. In sintesi in Lombardia e Veneto Renzi, Berlusconi, Di Maio, salvo la Meloni, almeno tramite i loro referenti locali, sono stati tutti d’accordo con il referendum di Maroni, Zaia e Salvini. Di fatto si è costituita una totale unità regionale . Da varie parti, incluso da frange del PD, si vorrebbe estendere la consultazione anche in altre regioni, in particolare Emilia Romagna ed in Puglia. “Facciamo tutti tanti referendum in ogni regione, l’esortazione di vari esponenti politici che equivale al vecchio detto “todos caballeros” “ningun caballero”.
Poche voci decisamente contrarie si sono sentite in Lombardia e Veneto e queste provenivano da alcune frange della estrema sinistra e da gruppi di estrema destra non rappresentati nei parlamentini regionali, oltre che da movimenti sociali, da sindacati di base , una dissidenza troppo debole e frammentata per incrinare il fronte del Si che era peraltro sostenuto da ingenti finanziamenti delle istituzioni regionali.
Quindi sostanzialmente sono stati tutti d’accordo le principali forze politiche delle due regioni, di conseguenza ci si chiede a cosa effettivamente serviva il referendum. Tralasciamo le solite resposte retoriche del voto che serve a far contare il popolo e andiamo alla sostanza (vamos al grano).
Innanzi tutto consideriamo che altri referendum essenziali (non soltanto consultivi) nella Storia della Repubblica sono stati di frequente disattesi e capovolti, non farebbe meraviglia che anche in questo caso si verificasse una elusione delle richiesta di autonomia che parte dal basso.
In definitiva coloro che si sono recati alle urne hanno potuto notare che il quesito posto con il referendum era estremamaente semplice nel Veneto come in Lombardia : volete più autonomia? Nel caso di quello lombardo, probabilmente cautelandosi, accennava anche al rispetto dell’unità nazionale, della Costituzione e esplicita la richiesta di maggiori risorse. Qui’ viene il punto centrale: risorse si ma quali risorse?
Lo Stato centrale non emette una propria moneta ma deve andarla a chiedere, dietro interessi, alla Banca Centrale Europea che la fornisce attraverso le banche private. Lo Stato fa un bilancio pubblico ed accumula ogni anno debito considerando che soltanto per la spesa corrente ed il pagamento degli interessi passivi alle Banche, le entrate tributarie non bastano. Per alimentare la spesa delle regioni, a loro volta indebitate, occorrono risorse, molte risorse.
L’Italia è ingabbiata nella Unione Europea e nei trattati vincolanti come Mastricht, Lisbona e successivi. Le risorse devono essere compatibili con il “fiscal compact“, direttamente inserito nella Costituzione. La modifica dell’articolo 81 è stato un atto devastante , deciso dall’alto e compiuto quasi alla unanimità dal Parlamento precedente a quello attuale. Assieme all’inserimento in Costituzione di questo vincolo che ci condanna all’austerità ci sono poi il patto di stabilità che distrugge l’autonomia di spesa degli enti locali e il controllo diretto e insindacabile della Commissione Europea sul bilancio dello Stato.
Sembra difficile se non impossibile ottenere più autonomia per le regioni quando tutto il meccanismo di governo imposto dagli organismi europei non consente discrezionalità di spesa a tutte le istituzioni della Repubblica. Questa la contraddizione di base su qualsiasi richiesta di autonomia delle regioni che non tenga conto della realtà in cui tutto il paese è ingabbiato.
Si sarebbe potuto Immaginare una iniziativa istituzionale da parte delle due regioni più ricche del paese, quelle dove si è svolto il referendum, visto che Lombardia e Veneto assieme hanno un quarto della popolazione. L’iniziativa avrebbe dovuto puntare ad obbligare il Governo a rivedere i trattati europei , in particolare Mastricht e a richiedere la cancellazione del “fiscal compact” e del patto di stabilità. Una iniziativa di questo genere, ben spiegata, avrebbe ottenuto di certo un consenso maggioritario visto che ormai la maggior parte dell’opinione pubblica ha fiutato l’inganno ed il danno che l’Unione Europea con i suoi trattati vincolanti e con l’euro, ha prodotto per il paese.
Una tale proposta, partita da Milano e Venezia, per il peso che queste regioni hanno nell’economia nazionale, avrebbe obbligato il Governo a rivedere la sua politica economica ed avrebbe suscitato quanto meno un dibattito sulla permanenza o meno nell’euro.
In realtà avviene che tutte le principali forze politiche si sono oggi accodate per necessità ad essere filo UE, incluse le ultime conversioni fatte da 5 Stelle e Lega per non creare strappi con i Poteri dominanti.
Meglio quindi accontentarsi di chiedere una autonomia che in realtà potrà essere permessa soltanto sulla carta, guardandosi bene dal creare fratture con il sistema finanziario e l’ordinamento economico europeo che viene gestito dai potentati finanziari sovranazionali. Preferibile accontentarsi di un referendum finto piuttosto che impegnarsi ad attaccare le centrali del potere sovranazionale da cui dipende il Governo.
Di conseguenza si discute su più risorse alle ragioni e meno risorse allo Stato , più soldi al nord e meno al sud, ma diventa tutta una commedia della finzione poichè viene eluso il punto focale del problema: chi sono coloro che realmente tengono la cassa.
Questa finzione ad uso e consumo elettorale non potrà reggere per molto poichè alla fine le risorse comunque non basteranno, la coperta del bilancio tirata di sopra lascerà gambe e ginocchia scoperte e si dovrà ricorrere, come prescrivono le autorità che davvero comandano, a privatizzare i servizi per realizzare economie e da queste si passa inevitabilmente ai tagli. Tagli ai servizi sociali, alla sanità, ai trasporti, alla previdenza ed ai sussidi, mentre cresceranno i debiti con le banche come risultato dell’autonomia di spesa. Allora si svenderà quello che resta del patrimonio nazionale, le ultime quote delle grandi imprese pubbliche, le concessioni per i porti, le rotte aeree, gli immobili di valore, le tenute presidenziali, ecc…
Non importa molto, quello che conta è dare alla gente l’illusione di contare qualche cosa: a questo servono i referendum.
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