Troppi falsi miti sull’immigrazione. Vogliamo parlarne?
di Marcello Foa - 04/04/2017Fonte: Marcello Foa
A volte, per affrontare temi complessi, non sono necessari grandi studi; la sintesi, se analitica e ben documentata, è più che sufficiente. Anzi è quanto mai auspicabile. L’argomento a cui mi riferisco è quello dell’immigrazione, che, purtroppo, è contaminato da una propaganda martellante, quasi sempre emotiva e illusoria.
Pensateci. Per mesi gli immigrati erano tutti profughi di guerra che scappavano dalla Siria, benché le immagini dei barconi mostrassero una netta predominanza di neri. Non erano arabi ma africani. Ed erano, anzi, sono, profughi economici.
Per mesi ci hanno raccontato di drammatiche fughe sui barconi e oggi veniamo a sapere che ad aiutare gli immigrati sono le navi di Ong che vanno a “salvare” i barconi degli immigrati a pochi chilometri dalla costa libica, rendendosi così di fatto complici dei trafficanti di uomini, di quegli schiavisti che lucrano sulla pelle della povera gente, esigendo il pagamento di cifre altissime per affrontare il viaggio verso un Eldorado che non c’è. Quegli scafisti hanno capito il giochino, diventano ricchi, mentre le Ong (a proposito: chi le finanzia?) soddisfano il loro insaziabile bisogno di bontà, che in realtà è assai sospetto. Mentre il governo italiano lascia scandalosamente fare.
Tre studiosi, tanto competenti quanto estranei al mainstream, come Giuseppe Valditara, Gianandrea Gaiani e Gian Carlo Bongiardo, hanno pubblicato qualche settimana fa un libro di appena 80 pagine che affronta di petto la questione, come si evince dal titolo: “Immigrazione. Tutto quello che dovremmo sapere” (Aracne editore). Un libro che va letto nel suo spirito più autentico, che non è quello di chi si propone irrealisticamente di fermare ogni forma di immigrazione, ma di chi è consapevole che lo sbarco ormai massiccio di irregolari in Europa è fonte di una doppia ingiustizia, nei confronti di chi arriva – destinato a confrontarsi con una realtà ben diversa da quella immaginata e fatta di stenti, di privazioni e, nei casi più drammatici, di sfruttamento da parte della malavita – e nei confronti delle popolazioni locali che non hanno le risorse per assimilare degnamente masse di immigrati e che, nelle fasce sociali più disagiate, vedono nello straniero un concorrente disposto ad accettare paghe da fame.
Le conseguenze le conosciamo: non è solo la mancata integrazione etnica, culturale e religiosa ma è il sorgere di una “guerra” fra poveri, è la creazione di ghetti, è il degrado del tessuto sociale, che poi diventa terreno fertile per l’estremismo religioso islamico, nonché di ogni forma di razzismo.
Blangiardo, Gaiani, Valditara hanno il merito di spiegare cosa distingue l’immigrazione positiva da quella negativa, di denunciare come in certe realtà metropolitane tedesche e italiane, le autorità ricorrano all’omertà per impedire che notizie di crimini particolarmente odiosi, come quelli sessuali, commessi da immigrati non vengano pubblicate dai media. I tre autori spiegano come alcune idee, diventate dei veri propri mantra, secondo cui gli immigrati aiutano a risolvere il “problema delle culle vuote” o a “garantire le pensioni del futuro” o che “servano a far crescere il Pil nazionale” siano illusori o infondati. Statistiche alla mano.
Come quelle, ampiamente sconosciute, secondo cui l’asilo viene concesso solo al 5% di coloro che lo richiedono. Il che significa che il 95% degli immigrati non fugge da una guerra o da un regime totalitario, bensì semplicemente per ragioni economiche.
E’ un saggio che non è solo di denuncia, ma che propone anche misure concrete, ad esempio quella di usare la leva finanziaria nei confronti dei Paesi che di fatto non fanno nulla per fermare la partenza dei barconi o di stabilire nuove linee guida affinchè l’immigrazione diventi davvero virtuosa e qualitativa. Dunque ben diversa da quella che sta portando nei Paesi europei un melting pot, ovvero un amalgama eterogeneo di etnie e religioni, tanto impetuoso quanto profondamente destabilizzante e, in sè, tutt’altro che umanitario.
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