La morte di Amri è la notizia meno importante, c’è in atto uno scontro di potere. A livelli molto alti
La questione è di una serietà enorme e non mi riferisco minimamente alla morte di Amis Amri nel corso di una sparatoria con la polizia a Sesto San Giovanni. La cosa inquietante è la discordanza enorme tra le versione dei fatti data dal Viminale nella persona del ministro dell’Interno, Marco Minniti e quella del questore di Milano, Antonio De Iesu. Il tutto, a distanza di nemmeno due ore l’uno dall’altro. Il questore di Milano è stato impeccabile, un poliziotto vecchio stile: ha subito perimetrato le informazioni che poteva dare ai giornalisti e quelle che dovevano restare segrete, perché oggetto di indagini della Digos e della procura di Monza (per la sparatoria) e di Milano (per terrorismo internazionale).
Due cose però ha detto molto chiaramente il questore del capoluogo lombardo: primo, non vi diamo i nomi degli agenti coinvolti nella sparatoria, quasi a voler sottolineare e prendere le distanze da quanto fatto invece da Minniti e Gentiloni un paio di ore prima. Due, quanto accaduto è frutto di una normale operazione di controllo del territorio, nell’ambito di un rafforzamento dello stesso operato in questo periodo. Addirittura, ha scomodato anche la parola “fortuna” per giustificare in parte l’esito favorevole dell’operazione. E’ stato onesto, onestissimo e non si è spinto oltre i limiti che la sua funzione impone.
Diversa e di parecchio la conferenza stampa di Marco Minniti al Viminale, precedente a quella di Marangoni. Anche in questo caso per due motivi. Primo, con un atto che ha dell’irrituale a livello fantascientifico, il ministro dell’Interno ha dato i nomi dei due agenti, qualcosa di incredibile se si pensa che stiamo parlando di chi ha ucciso un pericoloso terrorista salafita, responsabile di una strage a Berlino e con ottimi contatti nell’estremismo islamico, almeno stando all’intelligence e alla stampa tedesca. Avete mai sentito il nome di agenti coinvolti in operazioni anti-terrorismo spiattellati in conferenza stampa? Addirittura non ne si vede il volto, oscurato dai passamontagna o comunque totalmente omesso dalle informazioni che si offrono alla stampa. Il fatto che siano due agenti di pattuglia li mette al riparo da ritorsioni?
Perché la ragione è semplice: il rischio di vendetta, visto che stiamo parlando – formalmente e per quanto ci hanno detto finora – di un terrorista islamico “pericolosissimo e che poteva colpire ancora”. Capisco l’entusiasmo del neo-ministro per l’accaduto ma non si tratta di un politico giovane e inesperto: Marco Minniti è stato vice-ministro dell’Interno con Romano Prodi, responsabile sicurezza del PD guidato da Walter Veltroni, di fatto ministro dell’Interno ombra e poi tra i promotori, nel 2009, della nascita della Fondazione Icsa, che si occupa di sicurezza, difesa e intelligence: ne divenne presidente con Francesco Cossiga presidente onorario. Infine, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo guidato da Enrico Letta aveva la delega ai servizi segreti, ruolo che ha mantenuto anche con Matteo Renzi. Insomma, uno che certe dinamiche le conosce bene. Molto bene. E quindi non dovrebbe incorrere in errori madornali come quello di rendere note le generalità. Nel video di Repubblica.it qui sotto, vengono messe a confronto gli atteggiamenti in merito di Minniti, Gentiloni e De Iesu: a voi un parere a riguardo.
Ma, in effetti, la personalizzazione serve, quasi un effetto G8 al contrario: all’epoca Mario Placanica fu caricato dell’intera responsabilità dell’accaduto, tramutandolo in mostro assassino, mentre qui abbiamo serviti su un piatto d’argento gli eroi in divisa, i superman quotidiani e silenziosi delle volanti che ci fanno dormire tranquilli. E nessuno, a quel punto, si fa più domande su cosa sia successo o come sia successo. E un normale processo di normalizzazione dell’emergenza.
Quindi, non solo ripete l’errore di Minniti di rivelare i nomi degli agenti ma ammette che l’accaduto è frutto di un’operazione che ha coinvolto tutte le forze di sicurezza, fino ai massimi livelli dell’intelligence: ma non era un qualcosa accaduto nell’ambito di un normale controllo del territorio? Chi dice una bugia, il governo o il Questore di Milano? Tanto più che le parole di Gentiloni – “Questo governo c’è, voglio ricordarlo a tutti i cittadini… Se il Paese è lacerato, siamo meno sicuri” – suonano con un messaggio nemmeno troppo in codice a chi, come Matteo Renzi, preme per archiviare in fretta questo esecutivo e tornare alle urne in primavera. Inoltre, alla conferenza stampa di Marco Minniti erano presenti tutti i vertici delle forze di sicurezza italiane, un chiaro segnale di unità d’intenti ma anche di collaborazione tra i vari corpi, quasi questa fosse stata un’operazione di intelligence congiunta, come di fatto rivendicato da Gentiloni con le sue parole.
C’era anche il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, lo stesso che ieri si è scoperto essere indagato dalla Procura di Napoli per l’inchiesta relativa alla corruzione alla Consip, la stessa indagine che a detta del “Fatto quotidiano” vedrebbe ora indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento anche Luca Lotti, ministro dello Sport con delega al CIPE e all’editoria, nonché ex sottosegratario alla Presidenza del Consiglio e braccio destro di Matteo Renzi. Del Sette, stando alle accuse della procura napoletana, avrebbe messo in guardia i vertici della Consip sui rapporti da tenere con alcuni imprenditori, fra i quali il top manager napoletano, Alfredo Romeo, attualmente indagato per corruzione con il dirigente della Consip, Marco Gasparri. Una photo opportunity non male per togliere un po’ di fango dalla divisa, a voler pensar male.
E poi, c’è un’ultima cosa, ovvero le foto degli agenti (che io ometto volontariamente di pubblicare qui), sparate praticamente da tutti i giornali italiani nelle loro edizioni on-line o social. Di fatto, nell’arco di poche ore, tutta la stampa le aveva spiattellate in Rete, quasi parlassimo di Belen e del primo bacio con la nuova fiamma. Quanta velocità nel reperire queste foto, trattandosi di poliziotti, non vi pare? E chi ha fatto uscire le fotografie in ospedale per farle avere a Repubblica? Dove siamo, nel post di un’operazione che ha portato all’uccisione di un pericoloso terrorista o a una recita di Natale in parrocchia? In quale universo parallelo l’agente ferito in uno scontro a fuoco con un terrorista salafita si fa fare la foto nel letto di ospedale e la pubblica come fosse un selfie a Santa Margherita Ligure durante le vacanze? E da quando si pubblicano foto di un poliziotto in divisa o in servizio, espressamente vietato dal regolamento?
Questa è la vera notizia, questa è la cosa gravissima che deve farci preoccupare, tutto il resto può passare in secondo piano, anche paradossalmente il fatto che Amis Amri fosse a Sesto San Giovanni dopo la strage di Berlino. Chissenefrega se un pericolosissimo terrorista armato spara da un metro e centra la spalla del poliziotto invece che ammazzarlo (meno male, ovviamente), chissenefrega se l’agente in prova si dimostra meglio dell’ispettore Callaghan e lo fa secco con un colpo al petto, chissenefrega se non si capisce cosa facesse un pericoloso terrorista con contatti di alto livello nell’estremismo islamico in giro per Sesto San Giovanni alle 3 del mattino come un senzatetto qualunque (se c’è una cosa su cui i fanatici islamici ci hanno dimostrato di non difettare, è proprio la logistica e la rete di appoggi), chissenefrega se questo signore ha bucato – stando alla versione ufficiale – le reti di intelligence di tre Paesi (Germania, Francia e Italia), armato e con il suo viso stampato su un mandato di cattura europeo in possesso di tutte le polizie del Continente.
E chissenefrega se le autorità tedesche hanno garantito ad Amri 24 ore di vantaggio (prima fermando il pachistano, poi rinvenendo i documenti nella cabina del camion e poi ancora trovando le impronte digitali sulla portiera, quando anche i bambini sanno che la rilevazione di eventuali impronte o tracce di dna è la prima cosa da fare su una scena del crimine) e questo ha vagabondato per arrivare a Sesto San Giovanni da solo e farsi ammazzare durante un controllo di routine, chissenefrega se – magicamente – dopo la sua morte, spunta fuori un video-messaggio in cui Amri giura fedeltà all’Isis, chissenefrega se per raggiungere in treno Torino, Amri sia partito da Chambery, in Savoia, proprio nel giorno in cui nella cittadina era ospite il presidente Francois Hollande ed erano presenti più poliziotti e agenti dei servizi che a un raduno di Donald Trump, chissenefrega se lunedì 19, proprio il giorno della strage di Berlino, il tg di La7 mandava in onda l’ultimo filmato dell’Isis, stranamente sottotitolato in italiano, cosa mai successa prima e che sembrava invece mandare un messaggio di morte alla Francia: non era forse un messaggio all’Italia, per l’Italia o a qualcuno in Italia?
Chissenefrega se Amri aveva una calibro 22, arma non esattamente adatta a un terrorista, visto che per uccidere qualcuno con quel tipo di pistola serve più fortuna che mira. Ma chissenefrega. Ovviamente, questo mio ragionamento è paradossale, come il titolo che ho scelto per il post, perché è ovvio che il terrorismo di matrice jihadista sia un pericolo ma, proprio per questo, le tante contraddizioni nel caso che ho appena elencato ci fanno capire che c’è poco da stare tranquilli. Perché chi deve prevenire e vigilare, si fa cogliere completamente in contropiede come le autorità tedesche. Ammesso che di contropiede si tratti.
E ci mancherebbe altro, dopo anni di petulante buonismo. Ma più verrà percepita la minaccia, più la gente chiederà piombo e repressione: solo per i terroristi islamici o anche per chi, a detta del manovratore, mette a repentaglio la sicurezza e la stabilità del Paese, anche solo con l’attività politica o la libertà di espressione? E’ passato il concetto che siamo in pericolo e quindi ogni mezzo è lecito: siamo di fronte ai prodromi di una Legge Reale 2.0, quella che negli anni Settanta – in ossequio alla lotta agli opposti estremismi – permetteva alle forze di sicurezza di operare in maniera decisamente disinvolta? Perché guardate che il rischio di una crisi sociale che sfoci in disordini, sia per la questione immigrati che per quella economica, in primavera si farà fortissimo, lo ha ammesso candidamente lo scorso luglio il capo dei servizi segreti francesi, Patrick Calvar. Unite alla possibile pressione della piazza, lo spalleggiamento dei movimenti cosiddetti “populisti” dentro e fuori il Parlamento (i quali verranno demonizzati come irresponsabili e colpiti con le nuove armi dell’hate speech e della fake news) e l’effetto moltiplicatore delle tensioni che eserciteranno le elezioni in Olanda, Francia e Germania (e, magari, anche in Italia) e vedrete che lo scenario non pare così fantascientifico.
D’altronde, lo stato di emergenza in Francia c’è già dall’attacco al Bataclan e lo scorso 14 dicembre è stato prorogato fino al 15 luglio 2017, senza che nessuno abbia detto nulla, per “coprire” il periodo elettorale. C’è il terrorismo, c’è il pericolo salafita: quindi, il potere faccia ciò che è necessario per difenderci, la gente chiede protezione, non il modo in cui gliela si garantisce: se poi la lotta al terrorismo si amplierà anche alla dissidenza dall’establishment, poco male. Non a caso, al Viminale hanno messo un uomo con grande dimestichezza con l’intelligence come Marco Minniti. Tanto più che quanto accaduto sicuramente porterà a una richiesta di rafforzamento della collaborazione a livello europeo, magari alla nascita di un ministero dell’Interno Ue che sovraintenda l’intelligence e superi le barriere che ora limitano l’Europol. Sono paranoico? Sicuramente, insultatemi pure a piacimento e finché volete. Io aspetto lungo la riva del fiume che arrivino marzo o aprile, poi ne riparliamo su questo blog. Nel frattempo, c’è un’unica certezza: l’ennesimo jihadista che ha seminato morte e terrore in Europa è morto. E non può parlare.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli
Nessun commento:
Posta un commento