Le
Crociate e gli Aleramici (di Monferrato e Del Vasto),
secondo
gli storici internazionali
(parte
terza e ultima)
di
Claudio Martinotti Doria
Nelle
parti precedenti di questo breve saggio divulgativo abbiamo rilevato,
seppur sommariamente, quanto gli storici francesi e locali (italiani)
abbiano riportato sulla partecipazione degli Aleramici alle Crociate,
in particolare gli Aleramici di Monferrato e Del Vasto, che sono le
due principali dinastie di discendenza aleramica. La prima deriva da
Oddone, figlio del marchese Aleramo, e la seconda dall'altro figlio,
Anselmo.
I Del
Vasto a loro volta si divideranno nel corso dell'XI e XII secolo in
numerose altre casate minori, come abbiamo visto in precedenza.
Abbiamo
avuto riscontro di quanto sia complicato condurre ricerche storiche,
anche solo divulgative come nel mio caso, per via del fatto che gli
storici locali sparsi nella penisola e nelle isole, forse per le
scarse fonti cui attingono, inducono spesso confusione sull'identità
e la provenienza dei personaggi Aleramici coinvolti nelle vicende
locali, attribuendogli denominazioni diverse e commettendo a volte
errori di collocazione, attribuzione e anacronismi.
In
secondo luogo per la faziosità di alcuni storici, come quelli
francesi, che hanno avuto un'eccessiva tendenza a esaltare l'apporto
francese alle Crociate, anche quando francesi non erano affatto
all'epoca designata (La Provenza, la Borgogna, la Lorena, ecc., per
citare qualche esempio, non appartenevano al Regno di Francia
all'epoca della I Crociata, e quindi tutti i loro baroni partecipanti
non potrebbero essere considerati franchi), mentre al contrario hanno
sempre teso a minimizzare l'apporto delle Repubbliche marinare, dei
Lombardi e gli altri abitanti della penisola e delle isole che poi
avrebbero assunto un'unica sovranità sotto i Savoia.
Ancor più
raramente viene riconosciuto il ruolo chiave apportato dagli
Aleramici di Monferrato e molto sottovalutato quello dei normanni di
Sicilia, che erano strettamente imparentati agli Aleramici vastensi,
cioè i marchesi Del Vasto, in particolare coi Busca, feudo che il
grande marchese Bonifacio del Vasto assegnò al figlio
Guglielmo, che divenne pertanto capostipite del ramo Busca-Lancia.
Ramo che, a partire dal 1201 durante il marchesato di suo figlio
Manfredi, inizio a rilevarsi nella documentazione storica reperibile
con la sola cognomazione Lancia, che poi proseguì ininterrottamente
per i secoli successivi fino alla trasformazione finale in Lanza.
Molto
probabilmente i normanni d'Altavilla, durante il percorso per
scendere dalla Normandia nel Meridione d'Italia, devono aver
stabilito rapporti con i marchesi Del Vasto-Busca (poi divenuti
Lancia), che col tempo sono sfociati in legami di parentela e
d'amicizia, al punto tale che re Ruggero II era per metà di
sangue aleramico e uno dei suoi successori al Regno di Sicilia,
nonché imperatore del Sacro Romano Impero, il famoso Federico II
di Svevia, era anche lui un discendente aleramico e non solo
normanno, essendo figlio di Costanza che a sua volta era figlia di re
Ruggero II (che ricorderete era figlio di Adelaide Del
Vasto-Savona), che di conseguenza era il nonno di Federico da
parte materna.
Statua
di Federico II di Svevia situata nel Palazzo Reale di Napoli
Quindi
Federico era nipote di Ruggero II e pronipote di Adelaide del Vasto,
e infatti ebbe a sua volta strettissimi legami coi discendenti
Aleramici vastensi discesi nel Meridione d'Italia, sposandone ben due
principesse.
La prima
principessa di discendenza aleramica da lui sposata è stata Jolanda
di Brienne (anche riportata come Iolanda o come Isabella
di Brienne), che era l'unica figlia di Maria di
Monferrato, regina di Gerusalemme, che a sua volta era stata
figlia di Corrado di Monferrato e di Isabella di
Gerusalemme, sorellastra della famosa Sibilla,
sorella del re lebbroso Baldovino IV, che andò in sposa a
Guglielmo di Monferrato detto Lungaspada).
Jolanda
quando andò in sposa a Federico nel 1225 aveva solo 13 anni e
portava in dote il Regno di Gerusalemme che era un titolo fittizio,
privo di potere e rendite, svuotato di ogni significato politico, ma
attribuiva solo di effimero prestigio. Quando morì, di anni ne aveva
solo 16, cioè la metà di Federico, pertanto tutto considerato, il
destino di Iolanda fu piuttosto triste, desolante, non avendo destato
alcun interesse nel marito e non avendo ricevuto le attenzioni di cui
necessitava e cui forse aspirava, essendo il matrimonio motivato
esclusivamente da motivi politici (come era prassi). Purtroppo
all'epoca le morti in età fanciullesca e adolescenziale dei
principi, principesse e sovrani era assai frequente (soprattutto di
parto), essendo la medicina nel Medioevo a livelli incresciosi,
spesso arrecava più danni che benefici e si basava non su conoscenze
appurate ma perlopiù su superstizioni e pregiudizi.
Le note
sopra riportate dovrebbero già farci rendere conto dell'intreccio
che gli Aleramici di Monferrato e Del Vasto avevano con i sovrani di
Gerusalemme e di come il loro rilievo storiografico non possa essere
sottovalutato.
La
seconda principessa di discendenza aleramica fu Bianca Lancia,
che Federico II sposò in articulo mortis (in punto di morte),
e in proposito alcuni storici insinuano che Bianca abbia simulato di
essere in pericolo di vita per indurre Federico a sposarla, ma
occorre rilevare che effettivamente ella morì di lì a poco, e fino
a quel momento lo stesso figlio di Bianca e Federico, Manfredi, era
ancora indicato come Manfredi Lancia, cioè non era ancora
stato legittimato come erede ufficiale di Federico.
Bianca
Lancia era discendente dei marchesi Aleramici vastensi Busca-Lancia,
poi divenuti Lanza a partire dal XVII secolo (dai quali discende il
nostro attuale prezioso collaboratore e storico dinastico aleramico
Manfredi Lanza), che da generazioni erano fedeli servitori degli
Hohenstaufen, fin dai tempi di Federico Barbarossa.
Bianca
diede tre figli a Federico, tra cui Manfredi (un nome diffusissimo
tra i Lancia, assegnato in ogni generazione successiva), ed era a sua
volta figlia di un altro Manfredi (Lancia), che a sua volta ebbe tra
gli altri figli l'ennesimo Manfredi (quindi fratello di Bianca) che
pare abbia avuto stretti legami con gli Aleramici di Monferrato, alla
cui corte ebbe modo di raffinarsi alle arti poetiche provenzali,
essendo la corte di Monferrato assai rinomata dal punto di vista
culturale, un aspetto questo non trascurabile, in quanto potrebbe
aver influenzato il nipote Manfredi (figlio di Banca e Federico) che
non casualmente seguì assiduamente la scuola poetica siciliana e
divenne a sua volta un suo esponente e compositore.
Bianca
Lancia e Federico II di Svevia in una miniatura contenuta nel Codex
Manesse compilato
a
Zurigo nei primi anni del '300
Il
Manfredi Lancia fratello di Bianca, divenne intimo
amico di Federico II di Svevia e ricevette incarichi politici e
amministrativi di notevole responsabilità e prestigio, e fu sempre
apprezzato dall'imperatore al punto che negli ultimi anni di vita
trascorse alcuni mesi in una delle dimore dei Lancia a Vercelli.
Tra le
varie mogli di Federico, legittime e/o non riconosciute, Bianca
Lancia era tra quelle che maggiormente hanno influito su di lui (a
differenza della troppo giovane e sfortunata Iolanda-Isabella), come
dimostra il fatto che gli abbia intestato varie terre e possedimenti
tra le quali il significativo titolo di Monte Sant'Angelo (Honor
Montis Sancti Angeli, ex fortezza bizantina), che aveva sempre
fatto parte della dote esclusiva delle regine del Regno di Sicilia.
Siccome
Bianca non era di sangue reale fu sempre e soltanto considerata una
sposa morganatica. Il matrimonio morganatico avveniva tra un sovrano
e una sposa di rango inferiore alla quale era impedito ereditare
titoli e privilegi del marito.
Gli
storici internazionali, prevalentemente anglosassoni, cui ho attinto
le informazioni che compongono questa sezione divulgativa, con mia
sorpresa e meraviglia, hanno spesso puntualizzato gli intrecci tra
gli Aleramici e gli Hohenstaufen, fornendo almeno indirettamente
l'opportunità di cogliere quanto le casate di Monferrato e Del Vasto
abbiano influito sulla storia della dinastia Hohenstaufen, sia in
“Lombardia” che nel Regno di Sicilia (intendendo tutta l'Italia
Meridionale). Ad esempio, in una canzone provenzale sono narrate le
gesta del marchese Bonifacio I di
Monferrato che, probabilmente al seguito di una spedizione
militare organizzata dall'imperatore Enrico VI, sbarcò in
Sicilia nel 1190 per contribuire nell'assumere il controllo
dell'isola. Ma è soprattutto la loro attività in Terra Santa ad
essere generalmente trascurata dalla storiografia internazionale, in
particolare per l'apporto indiretto ma significativo degli Aleramici
vastensi per il tramite dei normanni di Sicilia.
Che gli
Hohenstaufen abbiano fornito un notevole contributo alle crociate non
possono sussistere dubbi, a partire da Federico Barbarossa che
partecipò sia alla fallimentare II Crociata che alla III, e che dopo
l'esperienza precedente cercò di preparare nel migliore dei modi,
predisponendo scrupolosamente ogni processo organizzativo, compreso
il viaggio per terra, portandosi appresso un poderoso esercito per
l'epoca.
Busto
in bronzo di Federico Barbarossa risalente al 1173
Si stima
fossero oltre 20.000 uomini (alcuni cronisti riferiscono addirittura
di 100.000, ma sono indicazioni esagerate per l'epoca, per quanto è
la cifra che prevale nei testi da me consultati), di cui circa il
10-15% erano cavalieri, percentuali queste che sono più o meno
sempre applicabili agli eserciti medievali nella proporzione tra
cavalieri e fanti o arcieri che componevano gli eserciti approntati
per la guerra. Ma il destino aveva in serbo per l'epico personaggio
una fine paradossale e tragica, facendolo affogare in un fiume della
Cilicia (nel sud della Turchia), il Saleph, che anticamente era
conosciuto come Calycadnus e oggi come Göksu, che pare disponesse in
quel periodo di acque poco profonde ma correnti abbastanza impetuose,
per cui si presume sia morto per congestione o infarto, oppure per
essere caduto da cavallo con la pesante armatura senza riuscire a
risollevarsi, forse per l'eccessiva stanchezza accumulata durante lo
stremante viaggio a tappe forzate.
Questo
evento traumatizzò l'esercito germanico, che era stato pure
falcidiato da frequenti epidemie e indusse molti a rinunciare, a tal
punto che solo un quarto degli effettivi arrivò ad Acri. La
consueta rivalità tra i vari sovrani e baroni partecipanti alla
crociata, i cui eserciti seguirono tragitti diversi senza
coordinarsi, fece fallire la Crociata nel suo scopo primario, non
riuscendo a riconquistare Gerusalemme.
Il titolo
di re di Gerusalemme, già in precedenza era poco significativo e
operativo, essendo il sovrano solo un “primus inter paris”,
cioè era alla pari dei baroni dei Regni Crociati in Terra Santa, i
quali come ho già avuto occasione di ribadire, facevano di testa
loro e regnavano nei loro possedimenti come fossero sovrani autonomi
(mi riferisco alla Contea di Edessa e di Tripoli e al Principato di
Antiochia, che solo formalmente erano vassalli del Regno di
Gerusalemme, idem dicasi successivamente per Cipro, che divenne la
base logistica e di supporto militare per ogni spedizione crociata
in Terra Santa).
Dopo la
perdita di Gerusalemme nel 1187 per opera del Saladino il titolo di
re di Gerusalemme divenne fittizio, seppur ancora molto ambito e
conteso tra i baroni latini, e in seguito divenne puramente onorifico
ed effimero.
Federico
II di Svevia, lo “Stupor Mondi”, si impegnò a sua volta a
partecipare all'ennesima crociata, la VI, e siccome si trovò in una
situazione di stallo per oltre un decennio, per una molteplicità e
complessità di altre priorità e gravose responsabilità politiche e
militari (in particolare doveva affrontare la pervicace ostilità
degli agguerriti e potenti comuni lombardi), non riuscì ad avviare
neppure i preparativi per la partenza, sempre rinviata, e si ritrovò
suo malgrado con un paio di scomuniche comminate da Papa Gregorio
IX, la cui pervicace ostilità aveva prevalentemente cause
politico territoriali, non volendo lo Stato Pontificio trovarsi
circondato da due potenze gestite da uno stesso sovrano (il Sacro
Romano Impero e il Regno di Sicilia). Sovrano che oltretutto aveva
fama (fondata) di essere alquanto “eretico” rispetto
all'ortodossia cattolica e poco soggetto all'autorità papale,
essendo un libero e acuto pensatore, cresciuto sotto l'influenza di
culture cosmopolite e tipicamente orientali e dal vissuto quotidiano
assai simile allo stile dei sovrani arabi (disponeva di un proprio
harem e di guardie personali saracene), destando parecchio scandalo
per l'epoca. Sovrani arabi, che ci tengo a precisare, erano molto più
evoluti culturalmente e civilizzati rispetto agli “europei” che
spesso avevano ancora usanze, comportamenti e costumi barbari e un
livello culturale primitivo, da analfabeti. Idem per quanto riguarda
l'Impero bizantino, che in tutti i settori era molto superiore ai
regni occidentali, con la sola eccezione del Regno di Sicilia.
Paradossalmente
quando finalmente Federico riuscì a partire per la VI Crociata, lo
fece da scomunicato, e per l'epoca la cosa costituì uno scandalo
senza eguali, al punto tale che tutti si aspettavano che la
spedizione finisse in un disastro, frutto dell'inevitabile
prevedibile punizione divina.
Il
Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici Ermanno di Salza, amico di
Federico II di Svevia
Al
contrario fu l'unica crociata, dopo la prima, ad avere successo,
senza spargimento di sangue, ma ricorrendo solo all'intelligenza del
protagonista e alle sue efficaci arti diplomatiche, alle affinità
culturali con il suo primario interlocutore arabo, ai ricchi doni e
agli ottimi diplomatici da lui ben istruiti (tra cui l'immancabile e
affidabile amico Ermanno di Salsa, Gran Maestro dei Cavalieri
Teutonici), riuscì a strappare un accordo prodigioso col sultano
d'Egitto e Siria Muhammad ibn Muhammad b. al-ʿĀdil b. Ayyūb
(che era nipote di Saladino), per cui la cristianità per oltre
dieci anni avrebbe ricevuto Gerusalemme (ad eccezione della spianata
del Tempio e della moschea al-Aqsà), Betlemme, Nazareth, Lidda,
Sidone e Toron (oggi Tibnin). Ai musulmani era permesso di accedervi
in quanto considerato luogo santo anche da loro. Gerusalemme doveva
essere consegnata smantellata e indifendibile, quella che oggi
definiremmo “città aperta” e multiculturale e multietnica.
L'accordo
era talmente favorevole a Federico II che il sultano ebbe notevoli
problemi a giustificare tali numerose concessioni coi suoi alti
dignitari (Emiri, Visir, Sceicchi, ecc.) che erano nettamente ostili,
e ancor più difficoltà ebbe Federico che fece infuriare tutti gli
alti prelati filopapalini, il Papa in primis. Sia perché Federico da
scomunicato non avrebbe dovuto agire per conto della cristianità e
in secondo luogo ritenevano un'infamia stabilire accordi con i
mussulmani, che secondo loro avrebbero dovuto essere sconfitti e
cacciati solo con il ricorso alla forza delle armi, dimostrando con
questo atteggiamento di disprezzo tutta la loro protervia, faziosità
e ottusità, in quanto tale obiettivo, cioè la prevaricazione
militare, era assolutamente impossibile da conseguire, per la
differenza numerica delle forze in campo e la conflittualità interna
alle compagini latine, comprese le rivalità reciproche dei famosi
Ordini monastico militari cavallereschi, come i Teutonici, gli
Ospitalieri e i Templari.
In
proposito è interessante constatare l'enorme differenza
nell'atteggiamento e comportamento dei vari Ordini monastico militari
nei confronti di Federico.
Mentre i
Teutonici (Ordine dei Fratelli della Casa di Santa Maria in
Gerusalemme, l'ultimo Ordine dei tre nato in Terra Santa) erano molto
favorevoli a Federico II di Svevia, al punto tale che il loro Gran
Maestro dell'epoca, Ermanno di Salza, era un suo intimo e fedelissimo
amico, spesso utilizzato da Federico come ambasciatore e delegato
imperiale, soprattutto nei confronti del Papa e della Curia Romana,
gli Ospitalieri (Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San
Giovanni di Gerusalemme, poi divenuti Cavalieri di Rodi e di Malta)
erano collocabili tra il non collaborativo e l'ostile, mentre i
Templari (Poveri Compagni d'Armi di Cristo e del Tempio di
Salomone) erano inequivocabilmente ostili, ed è il motivo per cui
Federico li ha sempre considerati come avversari di cui diffidare se
non addirittura nemici.
Cavaliere
Teutonico nella classica uniforme bianca con croce nera
Se
l'obiettivo della Chiesa fosse stato veramente la “liberazione”
di Gerusalemme per renderla nuovamente meta di pellegrinaggio (mentre
nella realtà l'intento ecclesiastico era fin dalle origini delle
crociate quello di creare uno stato teocratico, se non addirittura
ierocratico, nel Vicino Oriente, quindi dominato dalla Chiesa), la
Crociata di Federico II avrebbe dovuto essere considerata un pieno
successo, ma evidentemente per il papato gli scopi erano altri e non
certamente trasparenti e nobili, intimamente connessi con la lotta
del Papato contro l'Impero per la supremazia politico temporale,
ergendosi il Papa a capo indiscusso della cristianità, arrogandosi
il potere di incoronare i re e gli imperatori e deporli a suo
piacimento.
L'astio
del papato verso gli Hohenstaufen era travalicato a tal punto che i
papi a lui ostili, il quasi centenario e agguerrito Gregorio IX
e il suo successore Celestino IV, giunsero a ordire continui
complotti per provocare la ribellione dei baroni vassalli di Federico
II, fino a congiurare per provocare la morte sua e dei suoi
famigliari, con l'intento più o meno manifesto di estinguere
l'intera dinastia degli Hohenstaufen, considerata un flagello per gli
interessi materiali della Chiesa Cattolica Romana.
Questo
protratto comportamento delle alte gerarchie ecclesiastiche provocò
a volte anche ribellioni presso i loro stessi sudditi romani e dello
stato pontificio, al corrente di tali manovre e almeno parzialmente
simpatizzanti per l'imperatore, il quale nonostante ripetuti
tentativi di raggiungere compromessi riappacificatori, nonostante
fosse disposto a concessioni generose verso la Chiesa, fu alla lunga
costretto a ricorrere alla forza delle armi (non limitandosi più
alla sola minaccia), per non essere sopraffatto dall'avidità e dalla
sete di potere dei papi a lui ostili.
Per
capire la gravità della situazione venutasi a creare, a causa della
volontà delirante di dominio e all'avidità dei papi, persino gli
altri sovrani cristiani, come il re di Francia (ad. esempio Luigi
IX il Santo) e i re d'Ungheria Andrea II il Gerosolimitano
e il suo successore Béla IV (i sovrani d'Ungheria sono sempre
stati considerati tra i più cristiani e devoti alla Chiesa),
scrivevano spesso al Papa perché cessasse questa ostilità,
deleteria per non dire infamante per l'intera cristianità, che
impediva tra l'altro l'unione delle forze cristiane per approntare
una crociata, degna di questo nome, che potesse avere qualche chance
di successo.
Esaurita
la breve disamina sull'apporto alle crociate degli Hohenstaufen in
correlazione con gli Aleramici Del Vasto, forniamo ora qualche
accenno ai nostri marchesi Aleramici di Monferrato e la loro
partecipazione alle Crociate.
In primo
luogo, non possono sussistere dubbi sul fatto che i marchesi di
Monferrato fossero da considerarsi a tutti gli effetti alla pari dei
ben più noti e importanti “baroni” latini europei, siano essi
franchi, germanici, provenzali, borgognoni, normanni, ecc., che
vengono spesso citati dalla storiografia, alcuni dei quali con
successo e fortuna sono pure riusciti a crearsi un loro regno o feudo
in Terra Santa, solo nominalmente vassalli del re di Gerusalemme.
Quella
degli Aleramici di Monferrato era una famiglia di alto lignaggio,
dotata di prestigio riconosciuto a livello internazionale, basti
ricordare in proposito che il marchese Guglielmo V detto il
Vecchio, che diede l'avvio all'epopea aleramica in Terra Santa,
era talmente riverito e stimato per le sue doti militari e politico
diplomatiche (soprattutto nel creare alleanze), che era riuscito a
imparentarsi con le maggiori case regnanti delle potenze contigue
alla penisola.
Per
motivi genealogici e matrimoniali, che non riporto per non farvi
andare in corto circuito il sistema neuronale (rischio che corro
spesso anch'io quando cerco di districarmi tra questi grovigli di
intrecci parentali), Guglielmo V era fratellastro di Amedeo III
conte di Moriana (i Savoia inizialmente erano conosciuti come
Moriana, dalla località del loro primo feudo, ed erano inizialmente
alleati dei Monferrato e antagonisti dei Del Vasto), ed era pure zio
del re di Francia Luigi VII e da giovane aveva sposato
Giulitta d'Austria (o Giuditta Babenberg), sorellastra
dell'imperatore del Sacro Romano Impero Corrado III Hohenstaufen.
Baldovino
IV il re lebbroso di Gerusalemme portato in lettiga comanda la
vittoriosa battaglia di Montgisard del 1177, in un dipinto di di
Charles Philippe Auguste de Larivière
Dalla
moglie Giulitta, Guglielmo ebbe diversi figli, tra i quali (gli altri
li elencherò successivamente) il famoso Guglielmo Lungaspada (o
Spadalunga) che andò in sposa a Sibilla, sorella del re
di Gerusalemme Baldovino IV il Lebbroso, abile condottiero e
stratega (soprattutto quando la salute glielo consentiva, ma anche da
infermo non si sottraeva alle sue responsabilità), forse il re più
saggio e lungimirante della breve storia dei regni crociati nel
Vicino Oriente, che il fato ha fatto soffrire lungamente e perire
troppo prematuramente. Fu Baldovino stesso che invitò nel suo regno
Guglielmo Lungaspada per assegnargli l'onore di fornirgli una
discendenza, assegnandogli le signorie di Giaffa e Ascalona (feudi
del suo regno), possiamo pertanto immaginarci il prestigio di cui
godevano i nostri marchesi in tutto il Mediterraneo e nel continente.
Secondo
il cronista dell'epoca Guglielmo
di Tiro (di cui era
arcivescovo) nella sua opera in latino Historia rerum in
partibus transmarinis gestarum, una cronistoria che percorre
quasi un secolo di vicende delle prime crociate e dei regni latini
d'Oriente, Guglielmo Lungaspada viene descritto in maniera
estremamente lusinghiera, oltre all'aspetto virile bello e biondo e
le sue virtù guerriere, mette in risalto l'alto lignaggio e la fama
acquisita che ben pochi principi e baroni latini potevano essere a
lui equiparati.
Anche
Guglielmo Lungaspada morì troppo prematuramente per malattia (i
cronisti accennano ad atroci sofferenze nella sua agonia), prima
ancora di poter vedere nascere il figlio. Sibilla infatti poco dopo
essere rimasta vedova partorì Baldovino V, che però perì a soli
nove anni, nel 1186, pochi mesi dopo essere stato incoronato re di
Gerusalemme.
Corrado
di Monferrato, secondogenito di Guglielmo il Vecchio, cui ho già
accennato nelle sezioni precedenti, sposò nientemeno che Teodora,
sorella dell'imperatore bizantino Isacco II Angelo, ma
rendendosi conto di quanto fosse insidiosa e pericolosa la situazione
presso la corte dell'Impero Romano d'Oriente, con continue congiure e
attentati, considerandosi in pericolo di vita abbandona la corte e si
reca in Terra Santa.
Sul
prestigio e la disponibilità finanziaria di Corrado basterebbe
citare il fatto che si recò in Oriente dopo la disfatta della
battaglia di Hattin e la perdita di Gerusalemme, noleggiando una
flottiglia di vascelli carichi di approvvigionamenti e truppe con
l'intenzione di sbarcare a San Giovanni d'Acri, ma non fu possibile
perché era già conquistata dagli infedeli (la stessa potente
flottiglia composta da una cinquantina di vascelli venne poi dallo
stesso Corrado riutilizzata mesi dopo per l'assedio e la riconquista
di San Giovanni d'Acri dopo l'arrivo di possenti rinforzi dal
continente), per cui optò per l'unico possedimento cristiano
rimasto, Tiro, che era sotto assedio e si stava predisponendo ad
arrendersi.
Corrado
venne accolto a Tiro come un salvatore e prese in mano la situazione
assumendo il comando, rimotivando la guarnigione e gli assedianti
convincendoli a resistere ad oltranza, nonostante che il Saladino,
resosi conto del mutamento della situazione causato dall'arrivo
di Corrado, gli proponesse la liberazione del padre Guglielmo il
Vecchio, che era suo prigioniero dalla battaglia di Hattin, se si
fosse arreso. Si fece talmente onore nella strenua difesa di Tiro che
Saladino libererà ugualmente Guglielmo in segno di ammirazione per
Corrado, ennesimo atto di generosità del cosiddetto “feroce”
Saladino. Guglielmo, peraltro provato dalle stremanti esperienze
subite, fiaccato nello spirito e nel corpo, morirà poco dopo.
Statua
di Saladino situata nel Museo Militare Egiziano del Cairo
Pochi
mesi dopo l'arrivo di Corrado a Tiro giunsero massicci rinforzi da
tutto il continente, perché la grave sconfitta di Hattin e la
perdita di Gerusalemme avevano destato molto turbamento nel mondo
cristiano, provocando una gigantesca mobilitazione bellica, come mai
se ne erano viste in precedenza: oltre 50 navi pisane (alcuni
cronisti dell'epoca riportano addirittura la cifra di 120), una
flottiglia genovese e una veneziana di poco inferiore e oltre 500
navi dai paesi del nord Europa, trasportarono truppe scandinave,
danesi, fiamminghe e inglesi (il potente esercito inglese era
comandato da Riccardo Cuor di Leone), oltre a cospicui contingenti
italiani, germanici e franchi trasportati dalle Repubbliche Marinare
(che incameravano lauti profitti e concessioni).
Sbarcarono
a Tiro complessivamente parecchie decine di migliaia di fanti e
diverse migliaia di cavalieri e iniziarono la riconquista del regni
latini d'Oltremare. Ma avevano un avversario temibile, di assoluto
valore, il curdo Ṣalāḥ ad-Dīn Yūsuf ibn Ayyūb, conosciuto
come Saladino, che disponeva del più potente esercito
dell'epoca, avendo riunificato l'Egitto con la Siria. Ma nonostante
questo degno avversario l'esercito crociato era talmente numeroso e
potente che avrebbe potuto riconquistare tutti i territori e le città
perdute, compresa Gerusalemme, se solo avesse avuto migliori
comandanti, meglio coordinati tra loro, meno gelosi e ostili
reciprocamente, se come suggerito da diversi storici internazionali,
avessero scelto fin da subito Corrado di Monferrato come loro capo e
se avesse potuto veramente assumere operativamente la reggenza del
Regno di Gerusalemme, anziché essere assassinato pochi giorni dopo
la designazione come sovrano.
Corrado
si farà talmente onore anche durante le fasi della successiva
riconquista di San Giovanni d'Acri e nelle operazioni di
approvvigionamento via nave, da lui organizzate e condotte per
sostenere le truppe crociate nella riconquista delle città costiere,
che ottenne, obtorto collo, dal re di Gerusalemme Guido di
Lusignano (che aveva ottenuto il titolo regio jure uxoris, cioè
per diritto di sua moglie, avendo sposato Sibilla, vedova di Corrado
Lungaspada) il riconoscimento delle signorie di Tiro e di Beirut,
essendo tutti i baroni del regno favorevoli a Corrado.
Successivamente
Corrado sposò Isabella di Courtenay, sorella di Sibilla di
Gerusalemme, legittima erede al trono di Gerusalemme dopo la morte di
Sibilla, inimicandosi Riccardo Cuor di Leone, frustrato
nei suoi piani ambiziosi e messo in ombra dall'ascesa del principe
“lombardo” (ricordatevi sempre che tutta l'Italia del Nord Ovest
era all'epoca designata come “Lombardia”).
Solo
l'intervento di suo cugino re Luigi II di Francia consentì a
Corrado di non subire immediate ripercussioni, tra le quali la
perdita dei suoi possedimenti, sui quali Riccardo aveva delle mire.
Ma oltre a re Riccardo d'Inghilterra un altro personaggio già citato
(Guido di Lusignano) gli divenne ostile quando, dopo la morte della
moglie Sibilla, i baroni latini manifestarono l'intenzione di
scegliere Corrado e incoronarlo come re di Gerusalemme per i suoi
meriti e talenti, disponendo i baroni del diritto di eleggere il
sovrano, mentre il Lusignano, non essendo all'altezza del
concorrente, fondava le sue pretese, sia sulla precedente esperienza
di reggente del regno al tempo di Baldovino V quando era ancora un
fanciullo, e sia sul diritto legale matrimoniale (che gli derivava
dalla moglie Sibilla), che poi era lo stesso che poteva vantare
Corrado avendo sposato la sorella Isabella, sopravvissuta a Sibilla.
Lusignano
era inoltre da tempo inviso ai baroni del regno, soprattutto per
essere ritenuto il maggiore responsabile della sconfitta di Hattin.
Corrado
venne pertanto scelto dai baroni come re di Gerusalemme e la notizia
gli pervenne il 21 aprile 1192, una settimana dopo cadde in
un'imboscata da parte di ignoti sicari, che gli storici identificano
con elevata probabilità nella setta degli Assassini del
Vecchio della Montagna, tecnicamente e storiograficamente la setta
era denominata degli Hashishiyya (etimologicamente deriverebbe
dal fatto che fossero consumatori hashish oppure seguaci di Hassan,
loro capo carismatico e spirituale), erano un gruppo numeroso e
potente di eretici ismailiti sciiti, una sorta di ninja ante
litteram, mercenari specializzati in omicidi, ingaggiati ovviamente
da qualche committente, nel caso di Corrado i sospetti furono i due
già citati, Riccardo I d'Inghilterra o Guido di Lusignano (il più
probabile). La loro sede principale del vasto territorio da loro
controllato era la rocca di Alamut in Persia, ma erano dislocati in
quasi tutti i paesi del vicino Oriente, soprattutto in Siria, ed
erano temutissimi, essere presi di mira da loro significa morte certa
e l'unica salvezza era la fuga.
Ritratto
del re franco Guido di Lusignano, olio su tela, di
François-Édouard Picot, realizzato nel 1845 e situato nella Reggia
di Versailles in Francia
Guido di
Lusignano per compensare la perdita del Regno di Gerusalemme
acquistò, secondo alcuni storici, dall'Ordine dei Cavalieri del
Tempio (Templari) l'isola di Cipro, sulla quale la sua dinastia
avrebbe governato per quasi tre secoli. Ma è probabilmente
un'informazione non esaustiva, in quanto i Cavalieri Templari avevano
solo alcune roccaforti sull'isola, il cui territorio non riuscirono
mai a controllare interamente e a sopprimere le numerose e capillari
rivolte degli isolani nei loro confronti per l'esosità delle tasse
da loro applicate, dopo averla comprata dallo stesso Riccardo nel
1192, e che quindi finirono per detenere per pochi mesi.
Altri
storici infatti ritengono che l'iniziativa di vendere l'isola di
Cipro a Guido di Lusignano fu presa da Riccardo Cuor di Leone, che la
sottrasse ai bizantini l'anno prima. Infatti nel 1191, Isacco
Comneno, governatore bizantino di Cipro, che detestava i latini,
aveva cercato di prendere in ostaggio alcuni famigliari di Riccardo
che richiedevano ospitalità sull'isola per ripararsi dalle tempeste
che infuriavano in mare.
A quel
punto la reazione di Riccardo fu risolutiva, sbarcò con l'esercito
al seguito e prese possesso dell'intera isola cacciando il
governatore bizantino, dopo di ché la vendette ai Templari per
ripagarsi delle esorbitanti spese che aveva dovuto sostenere per
partecipare alla crociata (rammentiamoci sempre che le truppe
dovevano essere pagate con monete d'argento o d'oro e solo in parte
erano motivate dal bottino conseguente ai saccheggi).
Egli era
indiscutibilmente il personaggio di maggior rango e potere in quel
contesto, avendo condotto con notevoli capacità strategiche e
belliche l'esercito crociato durante la riconquista delle terre
d'Oltremare, sapendo tener testa a Saladino con intelligenza e
abilità tattiche non comuni.
Riccardo
d'Inghilterra, probabilmente per porre fine ai conflitti dinastici
per la successione al trono di Gerusalemme, decise di consentire a
Corrado di divenire sovrano e di cedere per compensazione a Guido di
Lusignano l'isola di Cipro, liberando in tal modo gli isolani
dall'assillo delle tasse imposte dai Templari. In tal caso decadrebbe
ogni sospetto che possa essere lui il committente dell'omicidio di
Corrado.
Non si sa
con certezza, stando alle poche fonti disponibili, dal punto di vista
economico, tra i Templari, Riccardo e Guido, chi ci abbia guadagnato
e chi ci abbia rimesso nei repentini passaggi di possesso dell'isola
di Cipro, in questo cronologicamente rapido giro di cassa, ma ho
l'impressione che il vero beneficiario sia stato Riccardo, essendo
stato il deus ex machina dell'intera operazione. I Templari
temo non abbiano recuperato l'intera somma versata inizialmente a
Riccardo, perché la loro forza negoziale era debole, essendo invisi
alla popolazione insulare, e Guido di Lusignano è certo che abbia
sborsato una somma significativa, che con ogni probabilità non è
stata interamente incassata dai Templari, perché parzialmente
pervenuta a Riccardo per la negoziazione. L'unico che non deve aver
mai sborsato nulla ma aver solo incassato è Riccardo Cuor di Leone.
I
Lusignano erano a tutti gli effetti dei Franchi, originari della
località omonima nella regione francese di Poitau, divennero conti
di La Marche e Angoulême, come vassalli dei potenti duchi di
Aquitania, ma Guido fu un pessimo sovrano, stratega e condottiero
militare, fin dai tempi nei quali, approfittando dell'infermità di
Baldovino IV il Lebbroso, gestiva il potere al posto del cognato re
di Gerusalemme e si era talmente inimicato i baroni del Regno di
Gerusalemme, che Baldovino dovette allontanarlo da poter e assumere
come co-regnante il piccolo Baldovino V, figlio di Sibilla e
Lungaspada.
Guido di
Lusignano è da considerarsi tra i principali responsabili della
gravissima e assurda disfatta subita dall'esercito crociato ad Hattin
nel luglio del 1187, che diede l'avvio al declino inesorabile della
presenza latina in Terra Santa e alla perdita di tutti i regni e
signorie d'Oltremare. Anche gli altri due responsabili della
sconfitta di Hattin erano franchi: in quella tragica battaglia
l'intero esercito latino in Terra Santa, composto da 20.000 tra
cavalieri e fanti, fu sbaragliato con perdite che sfiorarono l'80%
degli effettivi. Una catacombe, una disfatta irreparabile.
Gli
stati crociati residuali dopo la sconfitta di Hattin e la perdita di
Gerusalemme.
I due
personaggi responsabili della sconfitta, di cui la Francia non può
certo andar fiera sono stati: Rinaldo di Châtillon (o
Reginaldo di Chastillon), che commise nefandezze inenarrabili ed
errori imperdonabili in Terra Santa, infrangendo tregue e causando
guerre evitabili (al punto che fu poi giustiziato dallo stesso
Saladino, che di solito i baroni cristiani li rispettava, liberandoli
spesso senza neppure un riscatto), e Gérard de Ridefort,
originario della Contea di Fiandra, che faceva parte del Regno di
Francia, che era all'epoca il Maestro dei Templari (il
predicato di Gran Maestro è prevalso nell'uso ma è improprio, in
quanto solo negli ultimi anni dell'Ordine, ai tempi di Jacques De
Molay si iniziò a utilizzarlo), forse il peggiore della storia
dell'Ordine. Entrambi insistettero con Guido di Lusignano per
affrontare in campo aperto l'esercito di Saladino, anziché attendere
il nemico da una posizione favorevole e dotata di approvvigionamenti
e soprattutto della preziosa acqua. Pertanto si avventurarono in
territorio arido, arsi dalla sete e senza alcuna possibilità di
bere, sotto una calura micidiale, costretti poi a combattere in
condizioni di sfinimento. Una sconfitta, quella di Hattin, dovuta
indubbiamente all'ottusità, spavalderia, sottovalutazione del
nemico, sopravvalutazione del valore della cavalleria, assenza di
capacità tattiche, logistiche e strategiche, megalomania, ecc. dei
comandanti franchi.
Gli unici
comandanti contrari alle scelte belliche dei tre personaggi
sopracitati che condussero allo sbaraglio l'esercito crociato,
furono: Raimondo III, conte di Tripoli e principe di Galilea e
Tiberiade, che discendeva dai marchesi di Provenza e quindi non era
un franco, e Baliano (o Barisano) di Ibelin "il Giovane",
che discendeva da una nobile famiglia italiana (probabilmente
pugliese). Entrambi, Raimondo e Baliano, insistettero per rimanere in
posizione di vantaggio attendendo le mosse del nemico, ma dovettero
adeguarsi alle decisioni degli altri tre per non essere tacciati di
codardia, che era l'accusa solitamente rinfacciata a tutti coloro che
manifestavano prudenza, previdenza e buon senso, doti essenziali
quando si è in guerra.
Entrambi
furono tra i pochi cavalieri superstiti alla fine della battaglia e
si rifugiarono a Tiro. Raimondo morì poco dopo probabilmente di
pleurite. Baliano si distinse alcuni mesi dopo nella difesa di
Gerusalemme, che fu inevitabilmente conquistata dal Saladino a causa
della sconfitta di Hattin, ma le capacità di comando e diplomatiche
di Baliano riuscirono ad evitare un bagno di sangue, convincendo
Saladino a salvare la vita a tutti gli abitanti, per i quali non
richiese neppure riscatto (per coloro non in grado di pagarlo).
Infatti
nel concentrare quasi tutte le forze presenti in Terra Santa nella
costituzione del potente esercito che fu poi sconfitto ad Hattin, i
comandanti franchi ridussero ai minimi termini le guarnigioni delle
piazzeforti militari ma soprattutto quelle a difesa delle città, che
erano perlopiù costiere, oltre alla capitale Gerusalemme, che era
talmente indebolita che quando arrivò Baliano per difenderla era
totalmente priva di cavalieri, Baliano essendo l'unico nobile
presente dovette nominarne dei nuovi cui delegare responsabilità di
comando.
In
pratica i franchi al comando in Terra Santa sguarnirono i capisaldi
strategici del regno e ne provocarono la sua dissoluzione. I
risultati incredibili ottenuti con la I Crociata furono vanificati da
pochi stolti, ignoranti e arroganti baroni franchi che si ritenevano
superiori e invincibili, che non accettavano consigli e critiche al
loro operato e che conoscevano solo la spavalderia e la violenza come
mezzi per imporsi.
La
tremenda sconfitta di Hattin fu il culmine nefasto, l'esito
inevitabile, delle continue rivalità e conflittualità tra i baroni
latini d'Oltremare (soprattutto franchi), che pur trovandosi in Terra
Santa si comportavano esattamente come avrebbero fatto nel continente
ben prima delle Crociate: aggredirsi a vicenda, derubare,
saccheggiare, ricattare, invadere, sabotare e boicottare, sopraffare,
complottare e uccidere a tradimento, ecc., che era uno dei motivi per
cui Papa Urbano II aveva indetto la I Crociata, per indirizzare le
energie distruttive dei cavalieri e baroni contro gli infedeli e al
servizio della Chiesa, anziché nel vessare la povera gente o nel
danneggiarsi tra di loro (lo spirito della Cavalleria era ancora
assai effimero, la realtà è ben diversa dal mito costruito a
posteriori, secoli dopo).
Su questi
aspetti negativi e lesivi della loro grandeur, come abbiamo visto
nella prima parte del mio saggio, gli storici francesi tendono a
sorvolare con nonchalance.
Infine
accenno anche al terzogenito di Guglielmo il Vecchio, Bonifacio I
di Monferrato, il quale divenne titolare del marchesato dinastico
alla morte del fratello Corrado nel 1192, ma salì agli onori della
storiografia per aver comandato la IV Crociata, che non pervenne mai
in Terra Santa come era nelle intenzioni del pontefice ma prese di
mira l'Impero bizantino per volontà di Venezia.
La IV
Crociata inizialmente doveva essere comandata dal franco Tebaldo
III conte di Champagne, ma proprio nel periodo in cui doveva
essere incaricato di tale missione, il conte era gravemente malato,
in fin di vita nel suo palazzo di Troyes.
Venne
allora sostituito nell'estate del 1201 da Bonifacio il quale accettò
solo dopo essersi consultato con il re di Francia Filippo II
Augusto (anche Filippo il Conquistatore o Filippo il Guercio)
figlio di Luigi VII con cui gli Aleramici erano imparentati.
La
partecipazione ad una crociata può portare gloria e onori ma l'unica
cosa certa ancor prima di partire è che porterà soprattutto oneri,
essendo molto dispendiosa. Infatti Bonifacio dovette indebitarsi
oltremisura ponendo a garanzia cospicue e significative parti
territoriali del marchesato di Monferrato, tra cui importanti città.
Incoronazione
di Bonifacio I di Monferrato come re di Tessalonica, in un olio su
tela di Henri Decaisne, realizzato nel 1840, situato nella Reggia di
Versailles in Francia
L'unico
tra i comandanti delle forze cristiane per il quale la IV Crociata
non era un onere ma un affare dai giganteschi profitti e benefici,
era il quasi centenario doge di Venezia Enrico Dandolo, il
quale colse tutte le opportunità che le circostanze gli fornivano
per trarre il massimo vantaggio economico e politico, sia nel porre a
disposizione dei crociati la flotta veneziana, ovviamente dietro
lauti compensi e sia nel pretendere da loro alcuni “servizi
accessori e complementari”, come la conquista di Zara e la
concessione di terre, isole, porti, quartieri, miniere, esenzioni
fiscali, ecc. lungo il tragitto della crociata, ponendo così le basi
dell'espansione della potenza di Venezia come principale Repubblica
Marinara del Mediterraneo e Mar Nero.
Dandolo
riuscì con la IV Crociata a creare i presupposti per fare di Venezia
il più potente impero economico commerciale del Tardo Medioevo.
Infatti a
differenza delle precedenti, questa crociata non avvenne via terra ma
esclusivamente via mare. Peccato che non arrivò mai in Terra Santa
per liberare Gerusalemme, come era nelle intenzioni del Papa
Innocenzo III, ma aggredì e dissolse l'Impero bizantino,
assediando e saccheggiando Costantinopoli (è in uso prevalente tra
gli storici definire la città con il nome antico di Bisanzio, prima
che l'imperatore Costantino decidesse di trasformarla nella nuova
capitale dandogli il suo nome).
Il
pretesto fu fornito dall'opportunità di partecipare all'ennesimo
conflitto successorio al trono imperiale di Bisanzio tra vari
contendenti più o meno legittimi (rammentate che Corrado di
Monferrato preferì filarsela da quell'ambiente?), nel loro caso
presero le difese di Angelo Alessio figlio dell'imperatore da
poco deposto.
La
scomunica pervenuta loro dal Papa, che comminò appena fu informato
delle loro intenzioni, non li fermò minimamente dai loro propositi.
La prima
volta assediarono Costantinopoli e deposero l'usurpatore Alessio
III sostituendolo con Angelo Alessio (che assunse il titolo
imperiale di IV, per brevissimo tempo), ma i bizantini si ribellarono
cacciandolo e nominarono imperatore Alessio V detto il Murzuflo,
che regnò anche lui per poche settimane, finché i crociati istigati
dai veneziani decisero di impossessarsi dell'Impero per spartirselo
tra loro, attratti dall'enorme bottino che li attendeva, essendo
risaputo essere Costantinopoli la città più grande, popolosa e
ricca di tutto il Mediterraneo, e che i suoi tesori e magnificenza
superavano qualsiasi immaginazione.
Busto
del vecchio doge di Venezia Enrico Dandolo, opera di Antonio Bianchi
precedente al 1847
La
capitale dell'Impero bizantino fu pertanto occupata e saccheggiata
dai crociati e in cospicua parte fu pure massacrata la popolazione
(ennesima aggressione tra cristiani), in modo tale da far inorridire
tutti i cronisti dell'epoca, non solo bizantini: si trattò di una
vera e propria barbarie, in quanto non solo sottrassero ogni bene
prezioso e soprattutto le reliquie di cui Costantinopoli abbondava
(che finirono in quasi tutti i santuari, conventi, abbazie, monasteri
e chiese d'Europa), ma distrussero buona parte del ricchissimo
patrimonio culturale della città, chiese e biblioteche comprese,
provocando anche diversi incendi che distrussero interi quartieri
cittadini.
Per
comprendere quanto fosse ricca la capitale dell'Impero bizantino,
alcuni cronisti latini al seguito della crociata, che erano testimoni
oculari dei fatti, descrissero il palazzo Bucoleon (Bucoleone,
ex residenza imperiale), che fu occupato da Bonifacio di
Monferrato e da sua moglie Margherita, come loro residenza in città,
composto da 500 stanze rifinite a mosaico d'oro, la sala dei
banchetti era in grado di ospitare 300 commensali. All'interno erano
dislocate una trentina di cappelle, ognuna dotata di serramenti
d'argento e di qualche preziosa reliquia (Bonifacio ovviamente se ne
impossessò), la principale delle quali era rivestita di marmo bianco
talmente lucido da sembrare cristallo, vi erano inoltre splendidi
giardini con fontane e acqua corrente che imitava i corsi d'acqua e
le cascate, ecc.. Ed era solo uno dei numerosissimi palazzi di
Costantinopoli.
Cartina
degli Stati Latini d'Oriente costituitisi dopo la IV Crociata e la
dissoluzione dell'Impero bizantino. Da ovest: il Principato d'Acaia;
il Ducato di Atene; il Ducato di Nasso (le isole centrali
dell'arcipelago); il Regno di Tessalonica; l'Impero Latino di
Costantinopoli. A est: l'Impero di Nicea e l'Impero di Trebisonda,
che insieme al Despotato di Epiro a ovest erano costituiti da greci.
In verde i territori concessi a Venezia.
I baroni
crociati dopo aver conquistato e saccheggiato Costantinopoli volevano
eleggere come imperatore Bonifacio di Monferrato, ma incontrarono
l'ostilità dei veneziani, che avevano altre mire e vedevano con
sospetto un aleramico amico e alleato di Genova sul principale trono
d'Oriente, per cui essendo i veneziani la componente più influente e
determinante della spedizione crociata, imposero come imperatore il
franco Baldovino di Fiandra.
A quel
punto Bonifacio, vistosi sottrarre l'opportunità di trarre vantaggio
dall'onerosa crociata, per la quale si era indebitato gravemente,
continuò per conto suo le conquiste di città e località bizantine
sul suolo greco, finché i veneziani per fermarlo ed evitare una
guerra interna, gli concessero la Macedonia meridionale, creando il
Regno di Tessalonica (vasto territorio corrispondente alla
Grecia settentrionale, la cui capitale Tessalonica, attuale
Salonicco, era la seconda e più ricca città dell'Impero bizantino),
di cui Bonifacio fu il primo sovrano.
Bonifacio
che pretendeva anche l'isola di Creta (forse memore degli splendori
delle antiche civiltà minoica e micenea che l'abitarono), almeno
nominalmente pretese e si assegnò anche il titolo di re di Creta.
Irrefrenabile
nelle sue intenzioni di conquista, Bonifacio continuò con il proprio
esercito a invadere territori bizantini, penetrò in Tessaglia e
prese Atene, Tebe, Corinto, ecc., catturando anche l'ex imperatore
bizantino Alessio III e deportandolo come prigioniero in Monferrato
presso l'Abbazia di Lucedio.
Nel
settembre del 1207, tre anni dopo aver creato il più grande regno
crociato latino d'Oriente dopo l'Impero Latino di Costantinopoli,
morì in combattimento sui monti Rodopi contro i Bulgari, il cui
vasto regno (definito dalla storiografia Secondo Impero Bulgaro, che
comprendeva anche la Macedonia, la Valacchia, la Transilvania) da
tempo minacciava le terre bizantine.
La morte
avvenne poco dopo che sua moglie, Margherita figlia del re
d'Ungheria ed ex basilissa (imperatrice di Bisanzio), aveva
partorito suo figlio Demetrio, che successe al Regno di
Tessalonica fino alla sua dissoluzione, che avvenne per opera del
Despotato d'Epiro che nel 1224 lo annesse definitivamente. Il
Despotato d'Epiro (di costituzione bizantina) insieme con il Secondo
Impero Bulgaro avevano sempre minacciato il Regno di Tessalonica con
frequenti incursioni, razzie e tentativi di conquista.
Furono
Michele I Ducas despota d'Epiro e lo zar Kalojan
dell'Impero Bulgaro ad aver sconfitto varie volte i latini dopo la IV
Crociata limitandone notevolmente l'espansione nei Balcani, fino a
sottrarre loro parecchi territori greci, minacciando il Regno di
Tessalonica.
L'anno
successivo alla fagocitazione del suo regno da parte dell'Epiro,
Demetrio, re ormai solo nominale di Tessalonica, con l'aiuto del
fratello Guglielmo VI marchese di Monferrato, organizza un
esercito di monferrini, che subisce parecchi mesi di ritardo prima di
riuscire a imbarcarsi a Brindisi, anche a causa di malesseri cui era
soggetto Guglielmo. Partirono infatti solo nella tarda primavera del
1226 e sbarcarono nei pressi del porto greco di Almyros, dove a fine
estate una devastante epidemia di dissenteria decimò l'esercito
monferrino provocando la morte anche del marchese Guglielmo.
A quel
punto Demetrio dovette rinunciare definitivamente al Regno di
Tessalonica e decise di rifugiarsi alla corte di Federico II di
Svevia in Sicilia, al quale cedette i diritti di successione al Regno
di Tessalonica.
Espansione
del Despotato
d'Epiro dopo l'annessione del Regno
di Tessalonica
Di solito
i testi di storia raramente si soffermano su questi aspetti
particolari e poco gloriosi, preferendo narrare la dinamica delle
battaglie, ma la primaria causa di morte durante le spedizioni
militari nel Medioevo erano le epidemie e le malattie, dalla malaria
al tifo alla dissenteria, per le pessime qualità delle acque con cui
si dissetavano (spesso anche appositamente avvelenate dai nemici),
dai cibi avariati, dalla siccità, dalle carestie, dal clima rovente,
dall'ambiente ostile, ecc.. A volte interi eserciti venivano
devastati da tali eventi, oppure se navigavano per mare intere flotte
venivano affondate dalle tempeste, oppure i soldati soffrendo per il
mar di mare o per la qualità della vita a bordo durante i lunghi
viaggi, finivano per indebolirsi e ammalarsi, prima ancora di
arrivare a destinazione.
Probabilmente
la maggioranza dei morti tra i soldati e cavalieri avveniva per
queste circostanze avverse, anziché sul campo di battaglia e in
diversi casi le guerre venivano perse prima ancora di cominciare,
proprio in seguito a questi eventi.
La
situazione dopo il 1230, il Regno di Tessalonica era stato assorbito
dal Despotato d'Epiro e l'Impero di Nicea, costituito anch'esso da
bizantini, era in fase di recupero dei territori perduti con la IV
Crociata.
Concludo
in maniera telegrafica riportando un paio di riflessioni.
La prima
è che potremmo riconoscere, senza timore di venire smentiti, che la
partecipazione alle Crociate degli Aleramici di Monferrato ha loro
portato sicuramente gloria imperitura ma ben poca fortuna e
ricchezza, ma quel che è peggio è che pose fine prematuramente alle
loro vite, contribuendo ad accelerare l'estinzione della dinastia,
impedendo sia a loro che ai loro potenziali eredi di poter trarre
vantaggio dalle conquiste territoriali e dai titoli nobiliari, regni
e feudi, che furono loro concessi durante le Crociate e che furono di
durata effimera e di nessun beneficio.
La
seconda, oltre ad essere una riflessione è soprattutto una curiosità
informativa di cui pochi sono a conoscenza.
Quando
nel 1291 cadde la città portuale di Acri, ultimo baluardo crociato
d'Oltremare, si riteneva che ormai la Terra Santa fosse
definitivamente perduta e nessuno più credeva veramente fosse
possibile riconquistarla, e anche ai giorni nostri è quello
l'episodio e l'anno cronologicamente assunto come quello definitivo
della fine dei regni crociati d'Oltremare, fatto salvo il Regno di
Cipro, ancora in mano ai Lusignano.
Ed è
vero, tranne che per un particolare: i Templari non avevano
abbandonato del tutto le speranze e neppure la loro presenza nel
Vicino Oriente. Alcune centinaia di Templari erano andati a
insediarsi nell'isolotto di Ruad, arido, roccioso, privo di
fonti d'acqua, a sole tre miglia nautiche dal porto di Tortosa in
Siria, ma sul quale sorgeva l'antica città portuale di origini
fenice di Arados, interamente costruita sull'isolotto, che i Templari
fortificarono trasformandola per oltre dieci anni nel loro ultimo
presidio in Terra Santa. Una vera e propria spina nel fianco dei
mussulmani, in quanto base di partenza per numerose incursioni e
scorrerie sulla costa ai danni delle città costiere mussulmane.
L'isolotto
di Ruad con la città portuale di Arados a 3 miglia dalle coste
siriane, ultimo
presidio Templare in Terra Santa fino al 1303.
Alla
fine, per la soverchiante superiorità numerica e bellica delle forze
avversarie, decise ad espugnare tale presidio ad ogni costo, nel 1303
i Templari furono sconfitti e i pochi superstiti si rifugiarono
sull'isola di Cipro, presso la loro principale magione di Limassol,
un grandissimo insediamento templare dove fin dal 1291 fuggendo da
Acri portarono tutte le ricchezze dell'Ordine e le macchine belliche,
le armi e tutto quello che avesse valore e meritasse di essere
salvato.
Pertanto
gli ultimi guerrieri cristiani a resistere ad oltranza e ad
abbandonare la Terra Santa furono i Templari, 11 anni dopo la data
ufficiale della perdita della Terra Santa.
Quando i
Templari abbandonarono l'isolotto di Ruad, stava ormai calando sul
loro Ordine la fine ingiusta e ignobile, infima e impietosa
(soprattutto alla luce di quanto appena sopra riportato), pianificata
da anni dal re dei franchi Filippo IV il Bello, sempre per
stare nell'ambito dei franchi e delle loro proditorie gesta.
L'avidità
del re di Francia Filippo il Bello ma soprattutto l'ignavia e la
pusillanimità del Papa franco Clemente V posero fine
all'Ordine del Tempio, “rendendo merito” in tal modo ai sacrifici
forniti dai Templari, i quali nel corso dei loro poco meno di due
secoli di storia, si stima abbiano perso in servizio (prevalentemente
bellico e a favore delle Crociate e della Terra Santa) circa 12.000
cavalieri e 50.000 tra sergenti, scudieri e truppe ausiliarie come i
Turcopoli.
Gli
ultimi cavalieri Templari a morire furono alcune decine, torturati a
morte e arsi vivi sui roghi tra il 1307 e il 1314 ad opera dei
franchi, sempre loro.
(Fine
terza parte di tre)
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