Mi permetto
soltanto di apporre alcune integrazioni personali tra parentesi nel corso dell’articolo
postato. Claudio Martinotti Doria
SOVRANITA’ E
IDENTITA’ CONTRO IL TIRANNO GLOBALE
7 maggio
2018 di Ninco Nanco
…Ma se il
pensiero corrompe il linguaggio,
anche il
linguaggio può corrompere il pensiero.
George
Orwell
Finché non
diverranno coscienti della loro forza non si ribelleranno.
E, finché
non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza.
George
Orwell
Centosettant’anni
dopo la celebre definizione di Metternich, l’Italia sembra tornata ad essere
nulla più di “un’espressione geografica”. So che non si tratta di una
valutazione accettata ma quel che io vedo, e che chiedo di confutare a chi vi
riuscisse, è un Paese spogliato d’ogni sovranità e in crisi d’identità, con in
tasca una moneta straniera, Berlino per capitale effettiva, un inglese
impostore eletto a nuova madrelingua ed il relativismo culturale a sovrintender
le menti in vece di religione di Stato.
Mi
perdonerete se salto a pie’ pari il primo punto, ma dell’euro ho già scritto
così tanto da rischiare la pedanteria. Basti ricordare che anche Vincenzo
Visco, ex ministro delle Finanze di Romano Prodi, ha ora dovuto ammettere, in
palese contrasto alla narrazione tuttora egemone a sinistra, che la moneta
unica è “un marco tedesco sottovalutato”.
Per quanto
iperbolica, dubito poi che la pur fastidiosa immagine di Berlino capitale
richieda spiegazioni particolarmente approfondite. Come noto, infatti, la lunga
stagione italiana dei governi tecnici, cominciata nell’estate del 2011 e temo
ancora lontana dall’auspicabile fine, fu conseguenza di una violenta impennata
dello spread, innescata, guarda caso, da una maxi-vendita dei Btp fin lì
gelosamente conservati nelle casseforti di Germania. Fu la Cancelliera Merkel
in persona poi, una volta vinta la campagna d’estate dello spread, a dichiarare
ufficiosamente il “protettorato tedesco”, dettando punto per punto l’agenda
politica di Roma con la famigerata formula – evoluzione delle antiche
condizioni di pace – dei “compiti a casa”. Da allora Berlino dispone, magari
per mezzo dei suoi ventriloqui di Bruxelles, e Roma esegue, vergando con le
lacrime e il sangue degli italiani quaderni su quaderni di “compiti a casa”…
Desidero
tuttavia far notare che alla docile accettazione del giogo tedesco è andato
aggiungendosi, da qualche tempo, uno spettacolo altrettanto mortificante, ma
ancor meno comprensibile: l’oblio organizzato della lingua italiana, ovvero
dell’ultimo retaggio ancora intatto della nostra identità nazionale (cui a sua
volta lo stato italico contribuisce cercando di marginalizzare fino a provocare
l’estinzione delle lingue locali, come il piemontese. ndr.).
Con una
decisione giudicata oltraggiosa persino dall’Accademia della Crusca, il
Ministero dell’Università e della Ricerca guidato da Valeria Fedeli ha infatti
stabilito che i Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin) che ambiscano
al finanziamento pubblico dovranno essere scritti in inglese, tollerando
tuttavia che i candidati che lo desiderino alleghino alla domanda una copia
sussidiaria in italiano. E’ dunque vero, come ha subito protestato il ministero,
che “è scorretto dire che la lingua italiana sia stata bandita”. In effetti è
stata solo degradata, in Italia, al rango di una lingua complementare e
facoltativa.
Sbaglia di
grosso, peraltro, chi tenta di ricondurre la portata della questione ad un
livello settoriale, ricordando che le pubblicazioni scientifiche internazionali
vengono di norma compilate in inglese. Il bando, infatti, ammette anche Prin di
natura umanistica; dunque persino chi volesse presentare un progetto orientato
alla conservazione della poesia vernacolare sarà costretto a spiegarlo …in
inglese. Se non siamo all’assurdo, poco ci manca.
Temo
tuttavia che sia alquanto ingenuo ridurre l’assurdità di una simile decisione
alla scarsa inclinazione personale della signora Fedeli per l’italiano (il
ministro dell’Istruzione Fedeli ricordiamoci è colei che spacciatasi
inizialmente per laureata si scoprì non esserlo e dovette correggere il tiro
millantatorio. Ndr). L’adozione
dell’inglese, che non è solo la lingua della scienza ma è e resta soprattutto
la lingua dei mercati, obbedisce infatti ad un imperativo categorico della globalizzazione
che, attraverso la distruzione programmata degli idiomi nazionali, mira a
costruire un prototipo seriale di homo novus (meglio sarebbe indicarlo, parafrasando
e completando il politologo Sartori, come “homo video demens”. ndr.),
perfettamente identico ai propri simili a prescindere dal luogo di nascita e
dalla cultura di provenienza. Da qui la necessità di procedere per costante
sottrazione delle differenze, cominciando naturalmente dalla lingua, dal
momento che lingue diverse esprimono diversi pensieri. Uniformare il linguaggio
serve perciò a uniformare i pensieri mentre uniformare i pensieri è la condizione
essenziale per uniformare i comportamenti.
La
sostituzione strisciante dell’italiano con l’inglese non riguarda solo
l’istruzione universitaria. Da quest’anno, infatti, gli studenti di tutte le
scuole secondarie dovranno assistere, oltre alle consuete (e, intendiamoci,
sacrosante) lezioni “di” inglese, anche a lezioni “in” inglese delle principali
materie scientifiche. Materie scientifiche, forse non lo sapete, come la
storia. Ma non c’è un cortocircuito logico nel pretendere che la storia d’Italia
venga insegnata in inglese? In quella storia, quantomeno, sembrerebbe mancare
qualcosa. Qualcosa di enorme.
Si dice che
il frutto non cada mai troppo distante dall’albero. Ed è vero. A spacciare
tutte queste innovazioni legislative per progresso, in effetti, è una classe
politica rampante che ormai da anni, sfoggiando il classico cosmopolitismo del
provinciale, ha preso a giustificare ogni porcheria dell’agenda mondialista in
un inglesorum subdolo che tanto ricorda il viscido latinorum usato da Don Abbondio
per far fessi i villani. Chiamandolo esoticamente Jobs Act, Matteo Renzi è
riuscito a conferire un’accecante veste di modernità alla cancellazione delle
tutele dei lavoratori, evitando così che la base popolare del Pd, operaista e
post-comunista, interpretasse immediatamente quella legge per ciò che era: una
contro-riforma reazionaria e padronale. D’altro canto oggi è facile per il
popolo cadere nel tranello dei dotti. Politici e giornalisti non fanno che
ripeterci che bisogna fare la spending-review perché altrimenti sale lo spread
e rischiamo il default, esponendo anche i nostri risparmi al rischio di un bail
in. E chi sostiene il contrario, ovviamente, sta solo raccontando fake-news …
(è sempre più facile per i parassiti ignoranti, ciarlatani e millantatori al
potere ingannare una popolazione più ignorante di loro. Ndr)
Dovendo
pagare il mio tributo alla cultura anglosassone, consentitemi di parafrasare un
micidiale fustigatore dei “modernisti” d’ogni tempo quale fu, e continua ad
essere, George Bernard Shaw. Anche io, come lui, non credo sia necessario
essere stupidi per parlare inglese tra italiani, ma certamente aiuta.
Per il gusto
dell’ironia, che anche nel delirio del mondo globale resta la spada più adatta
ad infilzar le idiozie, dimenticavo di dirvi che persino la Rai, malgrado i
noti problemi di bilancio, ha voluto contribuire all’internazionalizzazione
linguistica del Paese lanciando un nuovo canale della Radio-televisione
Italiana totalmente in inglese.
Cambiare la
lingua, come detto, serve a riprogrammare le menti. Ma le menti, per conservare
l’illusione di funzionare in autonomia, necessitano di un “software” filosofico
capace di restituire un senso anche al non-senso. Questa filosofia-guida, a mio
avviso, è chiaramente rintracciabile nel Relativismo Culturale, una piattaforma
di pensiero ispirata alla negazione d’ogni pensiero che predica
l’iper-tolleranza per meglio praticare la tirannia. Esagero? Giudicate voi. Con
la surreale giustificazione del rispetto delle diversità (ma a nulla di
effettivamente diverso, in realtà, è più concesso di esistere), questa corrente
di non-pensiero chiama padri e madri “genitore 1” e “genitore 2”, mette al
bando i sostantivi maschili, corregge la trama delle opere liriche, infila
mutandoni di legno alle statue ed offre riparo culturale a chi trasforma Gesù
in Perù, arrivando persino ad invocare, ora, l’abbattimento sistematico di quei
monumenti che darebbero equivoca testimonianza delle “epoche buie” del nostro
passato.
Il buio di
ieri contro la luce del domani che stiamo costruendo oggi… Non so voi ma io, se
mi fermo a considerare il presente, fatico ad immaginare qualcosa di più buio
di questo Oscurantismo Illuminista e di questa mefistofelica promessa di
consegnarci Tutto, ma solo se, prima, avremo accettato di prostrarci al Nulla.
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