Mentre in Italia ci si deprime di fronte al suo inesorabile declino e l'irrilevanza politica internazionale, rinunciando anche a fare figli per l'impossibilità di mantenerli e garantire loro un futuro, in Russia si torna alla fierezza della propria identità ed alla coesione sociale, ad aver fiducia nel futuro e nel ruolo di assoluto rilievo che la Russia potrà giocare negli equilibri mondiali.
Claudio Martinotti Doria
Il 9 maggio in Russia e l’Italia...
(di Giorgio Bianchi)
12/05/18
Scrivere della festa del 9 maggio in Russia è una
di quelle cose che non può essere fatta a caldo; ti devi fermare un
attimo e aspettare che le emozioni sedimentino altrimenti il rischio è
quello di comporre un pezzo retorico nel quale i superlativi abbondano
più del necessario.
Essere lì e marciare assieme a oltre un milione di
persone è un’esperienza che non può lasciare indifferenti, vuoi per il
colpo d’occhio offerto da quella massa di persone colorate e gioiose,
vuoi per i canti popolari che rendono piacevoli anche le lunghe attese e
vuoi per la fantastica giornata primaverile.
Per chi viene da un Paese anestetizzato e depresso come l’Italia quell’ondata di vitalità ha l’effetto di un elettroshock.
Nel caleidoscopio di colori che hanno composto la
tavolozza della parata il rosso l’ha fatta sicuramente da padrone così
come le falci e martello che comparivano un po’ ovunque. Sì perché in
Russia il passato sovietico, da tempo, non è più un tabù: depurato delle
accezioni più negative è stato riutilizzato come collante tra un
passato glorioso e un presente in divenire. Sovietici sono i drappi
rossi esposti lungo il percorso della “marcia del reggimento degli
immortali”, sovietica è la gigantesca stella rossa che campeggia nella
piazza, sovietico è il contegno dei veterani seduti nel palco d’onore,
sovietici sono i volti di molti dei partecipanti, ma soprattutto
sovietica è la liturgia generale dell’evento.
Quello
che si è capito in Russia è che non ci può essere un rilancio senza la
riscoperta delle proprie radici e senza offrire alla propria gente un
orizzonte verso il quale marciare.
Ecco in quella marea umana c’erano tutti questi elementi. Mi ha molto
colpito vedere una donna accarezzare l’immagine in bianco e nero dei
propri avi nel momento della loro acclamazione, così come mi ha colpito
la quantità di divise militari e i tributi di riconoscenza nei loro
confronti.
Questo aspetto infatti non è in sintonia con la cultura europea di oggi.
L'Europa è un mondo dove non si ha tanta voglia di sventolare bandiere e
ricordare le guerre; ma soprattutto quando un veterano ha il petto
coperto di medaglie e le esibisce con orgoglio da noi non è percepito
come una cosa piacevole.
Il Paese emerso dalle macerie della caduta del muro
era una nazione allo sbando. L’economia era crollata, gli oligarchi e le
compagnie occidentali avevano appena iniziato il “sacco” delle immense
ricchezze naturali del Paese, il peso geopolitico si era ridotto
praticamente a zero, la natalità era drasticamente diminuita, il tasso
di disoccupazione era spaventoso per non parlare di quello dei suicidi.
Si può conteggiare l'effetto delle ricette economiche dettate negli “eltsiniani” (e clintoniani) anni Novanta?
Il conto è stato fatto. Pubblicato su una delle più prestigiose riviste di medicina internazionali, l'inglese Lancet (basandosi sui dati del'Unicef dal 1989 al 2002).
Le politiche di privatizzazione di massa nei Paesi dell'ex Unione
Sovietica e nell'Europa dell'Est hanno aumentarono la mortalità del
12,8%. Ovvero, hanno causato la morte prematura di 1 milione di
persone. Il legame disoccupazione-mortalità nell'ex Unione sovietica è
evidente in quanto erano le fabbriche che spesso garantivano gli screening medici. Con la loro chiusura nell'ex URSS è crollato anche il sistema sociale.
Capire
come da una situazione di sbando totale si sia potuti tornare ai
livelli attuali è compito degli storici e degli economisti. Un cronista
può solo sottolineare che dopo meno di 30 anni la Russia è risorta dalle
proprie ceneri: l’economia (nonostante le sanzioni dell’Occidente) è
stabile, il tasso di natalità in risalita, quello dei suicidi è
rientrato nella media ma soprattutto il Paese ha occupato di nuovo il
posto che era stato lasciato vacante dall’URSS nello scacchiere
geopolitico.
Sono in molti oggi a ricondurre i meriti di questo rilancio all’abilità politica del presidente Putin.
Certamente la sua guida ha dei meriti in questo processo e i dati delle
ultime elezioni gliene rendono atto: tre russi su 4 hanno votato per
lui. Il restante 25% dei votanti, con buona pace per Vittorio Zucconi,
ha scelto tra gli ultranazionalisti e i comunisti.
Ma secondo il mio modesto parere la vera ragione di questa rinascita la
si deve a quel popolo in marcia per le strade di Mosca: un popolo che
nella migliore tradizione slava ha saputo soffrire in silenzio nel
momento di maggior difficoltà, ma che nel contempo ha reagito come un
sol uomo.
Quanto detto finora mi porta ad una riflessione sulla
situazione italiana. Da anni il bel Paese sta vivendo un lento ma
inesorabile declino. Con un apparato industriale in progressivo
smantellamento, la perdita di sovranità certificata dal sovrapporsi
continuo di governi tecnici (tanto odiosi quanto inutili), una
irrilevanza in politica estera inferiore soltanto a quella di qualche
Paese africano, un tasso di disoccupazione (soprattutto giovanile) da
allarme rosso, un debito pubblico fuori controllo, da anni l’Italia
appare come un malato cronico incapace di guarire.
Andare a ricercare le cause che hanno portato il
Paese sull’orlo del baratro è un esercizio di stile che lascio ad altri.
Quello che mi interessa capire a questo punto è come se ne possa
uscire.
La
popolazione italiana oggi come oggi oltre a non avere una guida non ha
neanche un orizzonte dinnanzi a se. Uno dei sintomi più chiari della
totale perdita di fiducia nel futuro è il fatto che in Italia per 30
anni non si sono fatti più figli. Una generazione intera (la mia) ha di
fatto mancato l’appuntamento con il ricambio delle energie vitali del
Paese, con grande felicità delle cliniche della fertilità che oggi
lucrano sulle scelte sbagliate di una generazione.
Edonismo, giovanilismo, deresponsabilizzazione... Alla mia generazione e
a quelle successive è stato offerto un immaginario fatto di eterno
presente senza futuro.
Per fare figli e per far evolvere un Paese bisogna avere in mente un futuro, immaginarlo.
La generazione precedente alla mia un futuro lo ha immaginato (e lo ha
mancato, n.d.a.) e ha riversato la frustrazione del fallimento sulle
generazioni a venire sostituendo i sogni con i beni di consumo, o peggio
ancora con il sogno dei beni di consumo.
La Russia di oggi ci insegna che i processi storici
sono reversibili. Pertanto se proprio non vogliamo tributarle il nostro
riconoscimento per l’immane perdita di vite umane subito durante la
liberazione dell’Europa nella Seconda Guerra Mondiale almeno sappiamo
riconoscerle il merito di essere riuscita dove noi non abbiamo nemmeno
provato. Riprendersi la propria dignità è possibile.
(foto: Giorgio Bianchi)
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