“Progettare un futuro globale
senza l’Occidente.” Il direttore dei Servizi esteri russo alla
Conferenza Internazionale di Mosca 2019
Pubblichiamo
una traduzione integrale del discorso tenuto, il 25 aprile 2019 scorso,
dal Direttore del Servizio di intelligence estera della Russia, Sergei
Naryshki, alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Mosca (MCIS)
Cari partecipanti alla conferenza!
Il contesto
internazionale in cui si svolge questo incontro è estremamente
complicato. Si tratta di un periodo qualitativamente diverso da quelli
precedenti della Guerra Fredda e del breve trionfo dell’unipolarità
americana. Il confronto
tra potenze era allora teso, ma generalmente prevedibile, governato da
un chiaro insieme di regole. Nel mondo di oggi, invece, il grado di
confusione ed entropia sta crescendo rapidamente. I vecchi
equilibri vengono infranti, le norme vengono riscritte e distrutte allo
stesso tempo, e ciò non risparmia alcun ambito dei rapporti fra Stati.
La
ragione principale di questo fenomeno è la riluttanza del cosiddetto
Occidente, con a capo gli Stati Uniti, nel riconoscere l’irreversibilità
della formazione di un mondo multipolare. Si vede chiaramente
il desiderio dell’élite euroatlantica di restare aggrappata alla propria
leadership, che fino a poco tempo fa sembrava non avere alternative. Il
filosofo tedesco
Walter Schubart, all’inizio del XX secolo, ha detto a proposito dei britannici che essi, a differenza di altri popoli,
guardano al mondo solo come a una fabbrica, da cui estrarre profitti e vantaggi.
Dal crollo dell’Unione Sovietica, abbiamo avuto l’opportunità di
osservare come gli eredi storici e politici dei britannici — gli
americani — hanno costruito e ampliato la loro fabbrica o, meglio, una
corporation, che ora spreme profitti su scala globale.
Molti paesi, come la Jugoslavia, l’Afghanistan o l’Iraq, hanno sperimentato sulla propria pelle questo “modello di business”.
Ma con l’inizio del nuovo secolo, qualcosa è andato storto per gli atlantisti.
Gli stati e le nazioni hanno cominciato a ricordare a Washington, in
modo via via sempre più brusco, di avere una propria soggettività
geopolitica. Il
cataclisma finanziario globale del 2008 ha messo a nudo le fragili
fondamenta del sistema economico globale messo in piedi dall’Occidente.
Ad oggi, non sono stati trovati nuovi modi di garantire una crescita
economica elevata e stabile. Negli stessi paesi occidentali, la
popolazione non era preparata né per le gravi conseguenze della crisi,
né per gli esperimenti della propria élite nel campo del
multiculturalismo e della sostituzione dell’identità tradizionale. Ne è
prova il forte aumento di popolarità delle forze anti-sistema, nazionali
e populiste. La società
invia un chiaro segnale alle autorità, di sentirsi ingannata. E invece
di ricevere una risposta adeguata, queste ultime borbottano di un
mitologico “intervento esterno” e predispongono “cacce alle streghe”.
Molti dei suddetti
problemi perderebbero la loro rilevanza se l’élite occidentale imparasse
a considerare le relazioni internazionali non come un “gioco a somma
zero”, ma come un modo per risolvere congiuntamente i problemi
accumulati. Tuttavia, una società globale non può smettere di espandersi
e impedire un calo dei profitti. Arriverà, piuttosto, a distruggere
quel sistema legale internazionale e quella struttura di sicurezza che
ritiene non più redditizie e utili a tali fini.
Incoraggiati da tali ragioni egoistiche, gli
americani e i loro obbedienti alleati sempre più spesso ricorrono alla
forza bruta per la promozione dei loro interessi, a scapito di ogni
negoziato multilaterale. Orchestrano, a carte ormai scoperte, tentativi di destabilizzazione nella maggior parte delle regioni del mondo. Inoltre, sempre
più spesso non solo agiscono solo in palese spregio delle norme del
diritto internazionale, ma anche del semplice buon senso.
Ne è un chiaro esempio
la situazione del Venezuela, che oggi è cinicamente sottoposto alle
stesse tecniche di disgregazione già messe in atto in Libia o in Siria.
La Casa Bianca insiste sui pericoli di una immigrazione incontrollata,
spenderà miliardi per rafforzare il confine con il Messico e, allo
stesso tempo, sta per provocare una nuova guerra civile, che causerà
un’altra catastrofe umanitaria, stavolta quasi a casa propria. Una simile arroganza e autoinganno costituisce oggi una delle principali minacce per la sicurezza internazionale.
Ma una politica così
spericolata non si manifesta solo in relazione al Venezuela (che gli
Stati Uniti, a giudicare dal loro comportamento, considerano quasi un
loro dominio). Gli Usa, il Regno Unito e i loro alleati più ligi nella
NATO stanno gradualmente abbandonando ogni regola più elementare e ogni
sistema multilaterale anche in questioni cruciali per la stabilità
strategica, come il controllo degli armamenti e delle armi di
distruzione di massa. Viene fatto strame del principio del libero
scambio, fondamentale per il sistema finanziario ed economico globale da
loro messo in piedi. Il diritto internazionale viene interpretato
arbitrariamente, provocando attacchi militari sul territorio di Stati
sovrani, uccidendo centinaia di migliaia di civili e imponendo sanzioni
sui rivali geopolitici. Anche
il concetto stesso di diritto è stato ridicolizzato, dopo che gli
inglesi hanno cercato di far passare come giuridica la nozione di
“altamente probabile” [“highly likely”, nel caso Salisbury,
ndt], che è stata considerata sufficiente, dalle altre nazioni
occidentali, per procedere all’espulsione di massa dei diplomatici russi
(ottenendo una reazione corrispondente).
La decisione Usa di
riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e le alture del Golan
come territorio dello stato ebraico, in contrasto con le risoluzioni
ONU, così come il ritiro unilaterale di Washington dall’accordo sul
programma nucleare iraniano, minano gli sforzi collettivi per
stabilizzare il Medio Oriente. Inoltre, risulta compromesso il principio
stesso della risoluzione delle crisi attraverso i negoziati
multilaterali. L’enfasi posta sull’uso della forza, senza riguardo
alcuno ai principi di sovranità, integrità territoriale e non ingerenza
negli affari di altri stati, è l’elemento base dei documenti
programmatici dell’amministrazione Trump, che includono la strategia di
sicurezza nazionale e la strategia antiterrorismo Usa
In
un simile contesto, molte potenze regionali iniziano a comportarsi in
modo più aggressivo, per esempio, per risolvere vecchie contese di
confine o per rafforzare le proprie posizioni politico-militari. Si verifica una reazione a catena, in cui vengono ancora più erosi i meccanismi di risposta collettiva alle crisi.
Al posto di un processo decisionale equilibrato domina l’impulsività e
prende il sopravvento un approccio egoistico. Aumenta il rischio di
“conflitti casuali”, che possono insorgere a causa di azioni unilaterali
e non pianificate dei singoli attori e sono molto difficili da
prevedere. Sempre più persone in tutto il mondo si trovano intrappolate in conflitti a vario grado di intensità. Di conseguenza, anche una piccola provocazione potrebbe essere sufficiente per innescare un conflitto globale.
Ricordate
la prima guerra mondiale. Chi avrebbe mai pensato che le grandi potenze
avrebbero mai voluto far partire una cosa del genere? Eppure
vi caddero, letteralmente, tutte, pagando un prezzo di decine di milioni
di vite e, alcune, scomparendo dalla mappa geopolitica del mondo. Cento
anni fa, i leader di stato potevano giustificarsi con la mancanza di
meccanismi legali per risolvere i conflitti fra nazioni nelle loro fasi
iniziali. Oggi tali strumenti esistono, ma il cosiddetto Occidente, e
soprattutto gli Stati Uniti, li distruggono costantemente, non offrendo
nulla per sostituirli, se non bullismo o vuoti proclami sul
rafforzamento dell’ordine liberale (in cui non crede più nessuno,
nemmeno chi li lancia).
Una
tale incoscienza è probabilmente spiegata dal fatto che gli Stati Uniti
non hanno il trauma storico associato alla guerra che hanno altre
nazioni, in primo luogo la Russia e i paesi europei. Ma il
mondo moderno (a proposito, proprio in seguito agli sforzi degli stessi
Stati Uniti) è diventato così interdipendente, piccolo e connesso, che
persino l’Oceano Atlantico e Pacifico non possono più essere
considerati una protezione certa dalle conseguenze di un possibile
conflitto globale.
La Russia, che ha
vissuto tre guerre devastanti negli ultimi cento anni, non si stancherà
di insistere con gli altri membri della comunità internazionale affinché
vengano cercate insieme le soluzioni ai problemi accumulatisi.
Sfortunatamente, anche nelle aree in cui sono in corso tali negoziati,
come la lotta al terrorismo o alla sicurezza delle informazioni, i
partner occidentali continuano a tirarsi indietro. Ciò non significa,
naturalmente, che dobbiamo interrompere ogni contatto, isolarci o
isolarli. È necessario proseguire il dialogo, se non altro per impedire
il crollo definitivo dell’attuale sistema internazionale, che tuttavia
garantisce una stabilità strategica. Nella
situazione attuale, è necessario prendere la via non della distruzione
ma, piuttosto, del rafforzamento delle cornici globali e regionali.
Se
l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, non ha abbastanza maturità e
coraggio per muoversi nella direzione indicata, gli altri centri di
potere dovranno progettare un futuro globale senza di esso. Per rimpiazzare l’antiquato universalismo liberale, deve sorgere un nuovo ordine mondiale, giusto e sostenibile.
Deve essere definito in quelle condizioni e in quelle forme che possano
garantire una duratura coesistenza di stati e associazioni regionali,
pur mantenendo il diritto, per ciascuno di essi, al proprio sviluppo. Sono
certo che quelle forze ragionevoli, presenti nei paesi occidentali, che
sono consapevoli dei rischi per la comunità mondiale e che hanno un
interesse elementare per l’autoconservazione, saranno sempre più parte
attiva in questo processo.
I contorni del sistema
del mondo che verrà sono ancora coperti da una nebbia di incertezza. Che
si arrivi ad una vera unità nella diversità o che si tratti di una mera
copertura per il potere di uno stretto club di paesi eletti dipende in
gran parte dal nostro operato. La Conferenza di Mosca è un’eccellente
piattaforma per questo tipo di lavoro, per approfondire la cooperazione
nel campo della sicurezza globale e regionale.
Grazie per l’attenzione!
*****
Traduzione a cura di GogMagog
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