Dal punto di vista geografico e storico non sussistono dubbi sul fatto che gli attuali confini dell'Italia siano mutilati, non corrispondenti a quelli "naturali", acquisiti per motivi storiografici consolidati nei secoli, che dovrebbero estendersi come minimo all'Istria e parte della Dalmazia, all'arcipelago maltese, alla Corsica, alla contea di Nizza e alla Savoia. I motivi per cui tali possedimenti storici siano stati persi dall'Italia con grave nocumento politico economico, sono parzialmente riportati nel sottostante articolo dallo storico e filosofo Francesco Lamendola.
Complessivamente sono territori di notevole importanza strategica, storico culturale e turistica che si estendono per quanto riguarda la regione italiana "geografica" per circa 23mila kmq, comprendendo anche quattro piccoli stati indipendenti: la Repubblica di Malta, la Repubblica di San
Marino, il Principato di Monaco e la Città del Vaticano. Uno dei quali, il Principato di Monaco è anche lo stato più densamente popolato al mondo, con 18mila abitanti a kmq. Dal punto di vista storico invece la superficie dei territori che ci sono stati sottratti è ben maggiore, raggiungendo oltre 45mila kmq dove il sentimento delle popolazioni insediate era fortemente filoitaliano (seppur all'epoca non si trattava ancora dell'Italia in senso stretto ma dei possedimenti dei Savoia, Genova, Venezia, Regno di Sicilia), represso duramente dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dalla Jugoslavia, intenzionate a eliminare ogni resistenza e identità culturale italiana. Di queste reminescenze storiche la cultura mainstream ha rimosso ogni traccia, soprattutto dai libri di scuola, omettendo soprattutto di citare i vari personaggi storici italiani che in questi territori hanno lasciato tracce indelebili contribuendo alla loro valorizzazione e gloria imperitura. Non casualmente la letteratura e la lingua italiana in quasi tutti questi territori è ancora parlata e gli italiani trattati con rispetto e simpatia. In questi territori esiste tutt'ora una discreta emigrazione di italiani che si trasferiscono per trascorrervi la pensione o per trasferimenti professionali ed esistenziali, come a Malta, a Nizza, in Corsica e Istria. Claudio
Conosciamo l’irredentismo orientale, ma di Nizza? Non solo Trento e
Trieste, che dire della Savoia e soprattutto di Nizza, che tutti
conoscono come la patria di Garibaldi: quello che gli studenti italiani
non devono conoscere di Francesco Lamendola
Conosciamo l’irredentismo orientale, ma di Nizza?
di
Francesco Lamendola
Oggi
se ne parla assai meno, però agli studenti della nostra generazione è
stato insegnato tutto, e anche di più, sull’irredentismo trentino e
giuliano – quello anteriore alla Prima guerra mondiale, naturalmente,
ossia quello diretto contro l’Austria-Ungheria (di un irredentismo post
1945, contro la Jugoslavia, neanche parlarne); tutti conoscevamo i nomi
di Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa, Fabio Filzi, Cesare Battisti (il
patriota trentino, non certo il terrorista rosso finalmente estradato in
Italia per scontare la pena dei suoi delitti). A tutti noi veniva
detto, dai libri e dagli insegnanti, che Trento e Trieste
erano italiane per volontà di Dio e della natura; anche se veniva
taciuto che Trieste si era data all’Austria in odio a Venezia, e che i
primi provvedimenti di polizia presi dall’esercito italiano
“liberatore”, dopo il 24 maggio 1915, nei paesi conquistati oltre la
frontiera, fu di arrestare, maltrattare e deportare decine di preti e di
cittadini ritenuti austriacanti. Ma che cosa sappiamo delle regioni
italianissime che, nel corso della storia, sono state sottratte
all’Italia dalla Svizzera, come il Canton Ticino, dalla Gran Bretagna, come l’arcipelago di Malta, e dalla Francia, come la Corsica, Nizza e la Savoia (cui si aggiunsero, col Trattato di Parigi del 1947, Briga e Tenda)?
Lasciamo stare il Canton Ticino, la cui perdita risale a cinque secoli
fa, quando fu tolto non all’Italia, che non c’era, ma al Ducato di
Milano.
Cavour come padre della Patria? E il suo cinico mercato di Nizza e della Savoia? Nizza
la città di Giuseppe Garibaldi fu incamerata dalla Francia dopo un
"Referendum truffa" nel 1860, quale premio per l’aiuto di Napoleone III
al Piemonte nella Seconda guerra d’indipendenza.
Lasciamo
stare anche il discorso su Malta, che non fece mai parte del Regno di
Napoli, anche se lì un irredentismo recente c’è stato, benché taciuto
intenzionalmente dai nostri libri e dai nostro professori, perché, dopo
il 1945, noi dovevamo essere eternamente grati ai nostri Liberatori di
averci liberati dalla schiavitù (?) e quindi scordare qualsiasi cosa
potesse gettare un’ombra non troppo simpatica su di loro, come la
fucilazione dell’eroe irredentista Carmelo Borg Pisani (vedi il nostro articolo: Ricordare Carmelo Borg Pisani, patriota maltese impiccato dalla democratica Inghilterra,
pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 24/07/12 e poi ripubblicato
su quello dell’Accademia Nuova Italia il 12/12/17); non sia mai che la
sorte di questo sconosciuto venga accostata alla sacra memoria di Cesare
Battisti. Ma che dire della Savoia, culla della dinastia
regnante nell’Italia indipendente nel 1861, e soprattutto di Nizza, che
tutti conoscono solo perché patria di Garibaldi, ma passando
sotto silenzio che si era data ad Amedeo VII di Savoia fin dal 1388, che
vi si parlava italiano e i cui abitanti erano di sentimenti italiani,
incamerata dalla Francia dopo un referendum truffa nel 1860, quale premio per l’aiuto di Napoleone III al Piemonte nella Seconda guerra d’indipendenza?
Pola, non Pula; Zara, non Zadar; e Nizza, non Nice!
Quanti
italiani di oggi sanno che quando la Francia rivoluzionaria e
napoleonica, dal 1792 al 1814, occupò e si annetté la contea di Nizza,
scoppiarono delle rivolte fra la popolazione italiana, esasperata dalle
violenze e dalle vere e proprie atrocità commesse dai gloriosi soldati
che marciavano sotto le bandiere della Liberté, Fraternité ed Egalité; rivolte che sono passate alla storia col nome di movimento dei Barbets o Barbetismo?
E quanti sanno che la Francia, nel 1860 e negli anni seguenti, attuò a
Nizza una durissima politica di snazionalizzazione, arrivando a
sopprimere il giornale italiano La Voce di Nizza e a imporre cognomi francesi agli italiani? Quanti sanno che, nel decennio 1861-1871, vi fu un vero e proprio Esodo Nizzardo,
e che su una popolazione di 44.000 abitanti, ben 11.000, cioè uno su
quattro, scelsero di andarsene e trasferirsi in Italia, per non dover
accettare l’imposizione di una patria che non era la loro, che non
volevano, che non amavano? Quanti sanno che nel 1871 la popolazione
nizzarda, pur dopo l’emorragia dell’esodo, alle elezioni politiche votò
le liste filo-italiane nella misura di 20.500 preferenze su 29.000 voti
validi? E che poco dopo era ancora così innamorata dell’Italia da
scendere in strada inneggiando a Garibaldi, e che la risposta del
governo della Terza Repubblica fu l’invio di 10.000 soldati, con
l’incarico di riportare “l’ordine”? Quanti sanno che dall’8 al 10
febbraio 1871 vi furono i Vespri Nizzardi e che le
truppe francesi repressero nel sangue i moti filo-italiani? E quanti
sanno che fra gli esuli nizzardi, oltre a Garibaldi c’erano uomini
insigni, come lo scrittore Francesco Barberis, lo storico e giornalista
Enrico Sappia e il critico d’arte Giuseppe Bres?
La Contea di Nizza ceduta alla Francia nel 1860
L’unica
cosa che si trova sui libri di testo italiani, oggi, è che il fascismo
pose sul tappeto la questione di Nizza, insieme a quella della Savoia,
della Corsica, di Tunisi e di Gibuti: affastellando rivendicazioni
nazionali e questioni coloniali e dando l’impressione che esso volle
sollevare in maniera artificiale, anacronistica e puramente strumentale,
un problema che, in realtà, non c’era e non c’era mai stato. E tacendo
il fatto che anche Giuseppe Mazzini, non sospettabile
di eccessivo nazionalismo né, meno ancora, di proto-fascismo, aveva
detto e scritto chiaramente che il confine occidentale dell’Italia unita
doveva essere al Varo, e non altrove, quindi Nizza compresa (cfr. il
nostro saggio: 1870: l’Italia incompiuta, pubblicato sul sito
dell’Accademia Nuova Italia il 02/01/18). È evidente che mentre
l’irredentismo trentino, giuliano e dalmata aveva diritto a essere
tramandato e conosciuto, perché il suo nemico era stato l’Austria,
sconfitta e dissolta nel 1918, quello nizzardo si doveva passare sotto
silenzio o, come avrebbe detto Orwell, andava vaporizzato,
perché il suo nemico era stato la Francia, che non solo fu tra i nostri
vincitori nella Seconda guerra mondiale, ma doveva figurare, nella
retorica repubblicana e antifascista, come la sorella latina e
l’indefettibile amica del nostro Paese. Ecco perché gli studenti
italiani dovevano sapere che Garibaldi, nel 1870, era
accorso a combattere a fianco dei francesi contro i prussiani, ma non
che si era dimesso dall’Assemblea Nazionale francese, nella quale era
stato eletto, quando gli fu impedito di prendere la parola contro la repressione dei Vespri nizzardi del febbraio 1871.
Insomma c’erano irredentisti presentabili, come i trentini Cesare
Battisti e Damiano Chiesa, e irredentisti invisibili, che dovevano
restare dei fantasmi, come il nizzardo Luciano Mereu e
come il maltese Carmelo Borg Pisani, perché la loro memoria avrebbe
disturbato la narrazione storica posticcia che si volle servire agli
italiani dopo il 1945. Questa, infatti, aveva lo scopo sia di preservare
l’immagine degli anglo-francesi come amici e liberatori dell’Italia,
sia di tutelare l’immagine di Cavour come padre della Patria, tacendo il suo cinico mercato di Nizza e della Savoia in cambio dell’intervento di Napoleone III contro l’Austria nel 1859.
Anche
Giuseppe Mazzini, non sospettabile di eccessivo nazionalismo aveva
detto e scritto chiaramente che il confine occidentale dell’Italia unita
doveva essere al Varo, e non altrove, quindi Nizza compresa!
Ma
c’è un’altra cosa che non viene insegnata nelle scuole italiane e tanto
meno in quelle francesi. La smania francese di metter le mani sulla
Contea di Nizza era così antica e così meschina che, pur di realizzare
un simile obiettivo, Francesco I non esitò ad allearsi al sultano
Solimano il Magnifico, nel 1543, il quale inviò il suo ammiraglio Khayr
al-Din, detto Barbarossa, e le forze riunite franco-ottomane assediarono
la città e la conquistarono, senza però espugnare la cittadella, che
resistette vittoriosamente, benché le forze contrapposte fossero di
1.000 sabaudi e cittadini di Nizza contro 30.000 nemici e 150 galere. In
quella eroica e sanguinosa pagina della storia di Nizza spicca una
eccezionale figura femminile, quella di un’umile lavandaia, Caterina Segurana, la quale gettò giù dagli spalti il primo soldato turco che era riuscito a salirvi e gli strappò dalle mani la bandiera ottomana,
sfidando gli altri che tentavano di salire a loro volta, gesto che
galvanizzò la resistenza dei difensori e che diede la spinta decisiva in
loro favore, quando le sorti della battaglia erano drammaticamente in
bilico. Questa impresa e altri fatti interessanti sono riportati in un
vecchio articolo, Nizza Italiana, apparso sulla Domenica del Corriere
di ben sette decenni fa, uscito dalla penna feconda ed entusiasta di un
giornalista e scrittore eclettico, dai vasti interessi, Ottorino Cerquiglini,
nato a Trevi nel 1883, del quale si perdono le tracce dopo la Seconda
guerra mondiale: caso non raro, come già abbiamo visto a proposito di un
altro scrittore e giornalista di quegli anni “compromesso” col
fascismo, il trevigiano Mario Franchini (cfr. il nostro articolo Dobbiamo riprenderci il nostro passato rimosso,
pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 02/05/19). Oggi,
poi, Cerquiglini è del tutto dimenticato, benché a suo tempo sia stato
assai noto, avendo firmato articoli di argomento vario, anche di storia
coloniale, e pubblicato un certo numero di libri di saggistica che
riscossero un buon successo di pubblico (cit. in: Falcidia-Salomone, In cammino, antologia per la Scuola media, Torino, S.E.I., 1940, pp. 736-738):
Nizza, la perla della Costa Azzurra, è italiana per mille e una ragione.
Nizza
era, infatti, sorta da circa due secoli, per opera d’una colonia
fenicia, quando fu presa in suo dominio dai Romani, i quali ne fecero un
importante arsenale marittimo e, sotto l’Impero, la compresero nelle
prefetture d’Italia.
Per Nizza Augusto fece passare la grande via Julia Augusta, da lui voluta.
Nelle
epoche successive la città passò sotto varie dominazioni e la prima
volta che poté disporre di se stessa, liberamente, nel 1388, si mise
sotto le insegne del conte di Savoia Amedeo VII, detto il Conte Rosso,
come quello che fra tutti i Principi vicini, si distingueva per valore e
per saggia amministrazione. Con Nizza la Casa Sabauda acquistava il
primo sbocco sul mare, e Nizza, legando la sua sorte con quella del
Ducato, ebbe un periodo di prosperità. Ricominciarono poi i triboli di
successive conquiste, e finalmente Nizza poté rigodere felici tregue
quando la ambita perla tornò a brillare nella Corona dei Savoia…
Cattedrale di Santa Reparata, gioiello dell'arte italiana
L’aspetto
della città nel suo nucleo originale, cioè nella parte più antica, è
caratteristicamente italiano; le straduzze strette e piene d’ombra e
l’andamento delle case richiamano il tipo genovese, Anche spiccatamente
italiana è l’arte dove questa, - non molto spesso, invero, - ha impresso
il suo suggello, come, per esempio, nella cattedrale di Santa Reparata.
Per
quanto città di confine e cosmopolita, l’elemento italiano vi è
preponderante: alla presenza di quello immigrato si unisce quello, assai
numeroso, di antiche famiglie liguri. All’uno e all’altro si deve se
anche la lingua italiana ha l’assoluta prevalenza in città, specie nei
quartieri centrali.
Il confine di Ventimiglia
* * *
Di nome schiettamente italiano sono alcune grandi figure nizzarde. Tutti sappiamo di Garibaldi, il nizzardo per eccellenza,
che fu italiano anche nell’anima quant’altri mai. A Nizza ebbero i
natali anche il maresciallo Andrea Massena, ritenuto il più prode trai
luogotenenti di Napoleone e considerato come il “beniamino della
Vittoria” e l’astronomo Cassini (1625-1712).
Ma forse è men noto che Nizza ha dato al mondo una fulgida figura di donna: Caterina Segurana.
La gesta di questa eroina risale al lontano 1543, quando le flotte
francese e turca, ignobilmente alleate, attaccarono Nizza. Già gli
infedeli s’erano impadroniti della città e stavamo per assalire
l’estremo suo baluardo, il castello, quando Caterina Segurana, donna del
popolo, corse alla testa di alcuni impavidi cittadini, e, riunendo i
fuggitivi con la voce e col gesto, poté ristabilire il combattimento.
Profittando del primo stupore del nemico, si lanciò sino ai margini del
parapetto, rovesciò con un colpo di scure l‘alfiere, afferrò lo
stendardo da lui impugnato e gridando: “Vittoria! Vittoria!”, ricondusse
fra tutti i suoi l’ardire e la confidenza. A tale vista gli aggressori
terrorizzati si ritirarono. Caterina Segurana, quando la città dovette
finalmente capitolare malgrado tale successo, si rinchiuse nel castello,
dove diede altre prove del suo mirabile valore. A perpetuarne la
memoria, nel 1544 fu innalzata una statua in suo onore.
Caterina Segurana alla difesa di Nizza nel 1543
Ma
non sono solo la storia e la geografia a illuminare l’italianità di
Nizza; è anche la sua popolazione in gran parte italiana, è il fatto che
essa è sempre aumentata e che anche negli anni del dopoguerra - scrive Amicucci nel suo libro “Nizza e l’Italia”
– oltre centomila italiani del Regno si stabilirono fra la Roia e il
Varo e di essi ottantamila soltanto nel dipartimento nizzardo,
industriali, commercianti, opera, che divennero la spina dorsale di
Nizza, cui dettero ricchezza di braccia e di ingegno, nonché di
capitali. Per quanto sforzi abbia fatto la Francia per distruggere i
segni dell’italianità, per cinque secoli legata ai destini di Casa
Savoia, Nizza è rimasta ed è appassionatamente e tenacemente italiana. E
la storia fa le sue giustizie.
È tempo di sfatare la leggenda della “pugnalata alla schiena” di Mussolini alla Francia?
L’ultima
frase allude alla dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e
all’Inghilterra il 10 giugno del 1940, atto che la propaganda fascista
volle presentare come una prosecuzione dell’opera incompiuta, non solo
in senso territoriale, ma soprattutto in senso morale, del nostro
Risorgimento; una tesi che, a ben guardare, non ha minore dignità
storiografica di quella opposta e oggi totalmente dominante, secondo la
quale fu solo un’azione da sciacalli, una vile coltellata alla schiena della Francia, come disse il presidente americano Roosevelt (cfr. il nostro articolo: È tempo di sfatare la leggenda della “pugnalata alla schiena” di Mussolini alla Francia,
pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/06/09 e ripubblicato sul
sito dell’Accademia Nuova Italia il 21/11/17). Nel giugno del 1940
l’esercito italiano arrivò solo fino a Mentone, ma nel 1942-43 occupò,
con Nizza, l’intera Provenza e la Savoia; e un nipote di Garibaldi,
Ezio, diresse il ripristinato giornale Il Nizzardo, voce storica dell’irredentismo. Ma, anche questo, gli studenti italiani di oggi non devono venire a saperlo.
Nizza, la settima città della Francia, è... italiana?
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