Le Forze Armate Italiane hanno alcuni reparti d'eccellenza, superspecializzati, e altri ordinari dotati di mezzi vetusti e inadeguati, che andrebbero sostituiti, ma non ci sono le risorse. Circa il 75% della spesa militare è destinata a pagare gli stipendi, perlopiù a un numero elevatissimo (superiore in proporzione a qualsiasi altro esercito) di ufficiali generali e superiori, rispetto ad un esiguo numero di soldati e sottufficiali, Modesta è anche la percentuale di spesa per la formazione e l'aggiornamento del personale. L'impostazione gestionale delle Forze Armate è ancorata a deleteri e obsoleti criteri politico clientelari, spartizioni partitiche e carriere neofeudali derivanti da camarille, conventicole, appartenenze massoniche, ecc.. Andrebbero totalmente riformate e rese veramente autonome e autosufficienti, ma non ci sono neppure le condizioni minime per farlo. In effetti non è una boutade quanto propone provocatoriamente l'autore di delegare la difesa a terzi. Claudio
Il generale Enzo Vecciarelli è il nuovo capo di Stato Maggiore del
nostro esercito: la sua nomina è coincisa con il centenario della
vittoria nella I guerra mondiale silenziato dai media e celebrato in
forma pressoché clandestina di Roberto Pecchioli
L’ESERCITO DI VECCIARIELLO
di
Roberto Pecchioli
Conoscete
l’espressione popolare “l’esercito di Franceschiello” per rappresentare
in maniera caricaturale un’armata pronta alla resa più ingloriosa o
un’impresa di personaggi ridicoli, destinata al più clamoroso
insuccesso? Da qualche giorno, la definizione va aggiornata; le forze
armate della Repubblica Italiana sono a tutti gli effetti l’esercito di
Vecciariello.
Il
generale Enzo Vecciarelli è il nuovo capo di Stato Maggiore del nostro
esercito. La sua nomina è coincisa con il centenario della vittoria
italiana nella prima guerra mondiale silenziato dai media e celebrato in
forma pressoché clandestina. La carriera di Vecciarelli, secondo alcuni
organi di stampa, sarebbe stata favorita dal precedente ministro della
Difesa, Roberta Pinotti, le cui competenze in materia sono dimostrate
dalla militanza adolescenziale nei giovani esploratori (era una girl scout).
Nulla di strano, tenuto conto delle strane relazioni del capo del
governo cui apparteneva, Matteo Renzi, con alti ufficiali dei
Carabinieri, che avrebbero fornito al mangiafuoco fiorentino notizie
riservate su indagini a carico di familiari. Abbiamo uso di mondo,
sappiamo come funzionano le cose, dentro e fuori le istituzioni
militari.
Quello
che turba del generale Vecciarelli non sono gli eventuali padrini
politici, ma le idee. Ha infatti dichiarato, in occasione del suo
insediamento, che compito dell’esercito non è più la difesa dei confini.
Quella che va tutelata, secondo l’altissimo ufficiale, “è la libertà di
tutti i cittadini, di muoversi e fare impresa”. Perbacco, sono due
delle quattro libertà liberali: circolazione di persone, capitali, merci
e servizi. Dunque è questa l’autentica “ratio” per la quale il
contribuente mantiene un apparato che costa alcuni punti di PIL annuo e
alimenta prestigiose e ben remunerate carriere.
Franceschiello,
che dette suo malgrado il nome al detto popolare sull’esercito imbelle e
privo di dignità, era il Re Francesco II di Borbone, sovrano di Napoli e
delle Due Sicilie, deposto nel 1861 a seguito dell’impresa di
Garibaldi, delle manovre franco inglesi e dell’intervento del regno
sabaudo. Nonostante tradimenti giganteschi, l’esercito duosiciliano
merita ben più onore di quello disegnato da Vecciarelli. Lo attestano la
difesa di Messina, la resistenza disperata di Gaeta, con alla testa il
re e la coraggiosa moglie Maria Sofia di Baviera, la dura battaglia di
Civitella del Tronto, la fedeltà morale dei militari che non cambiarono
giuramento e finirono rinchiusi al freddo e alla fame del forte alpino
di Fenestrelle. Se avessero seguito le indicazioni del democratico
generale, Francesco II avrebbe dovuto permettere bonariamente il libero
transito di Garibaldi, tanto più che l’unificazione italiana allargava i
mercati dell’epoca ed era vista di buon occhio dalle potenze economiche
e finanziarie.
Mattarella,
l’ex comandante del disciolto Esercito Italiano, farà in modo di
abolire l’articolo 52 della Costituzione, che definisce la difesa della
Patria “sacro dovere del cittadino”?
Mezzo
secolo dopo, i fanti italiani passavano il Piave per “raggiunger la
frontiera e far contro il nemico una barriera”. Erano i nipoti di quelli
che si erano battuti pro o contro l’unità nazionale e nel sangue delle
trincee l’Italia fu finalmente una. Morirono, soffrirono, persero la
faccia a Caporetto per colpa di certi generali dello Stato maggiore, si
rialzarono e vinsero. La città di Vittorio Veneto, unione dei due borghi
vicini di Ceneda e Serravalle si chiama così in onore della battaglia
finale. Capitava giusto un secolo fa, ma agli italiani di oggi
pochissimo importa, tanto più che un silenzio terribile e molto
ufficiale è calato sull’anniversario. Giusto, l’esercito non serve a
difendere la cosiddetta Patria, o il paese, ma a regolare il traffico
dalle parti di zone obsolete, impervie e del tutto inutili come i
confini. L’esercito di Vecciariello sarà formato da vigili, o come si
chiamano in Francia i cantonieri, gardiens de la paix, guardiani della pace. Un bel progresso.
Peccato
che gli orgogliosi transalpini abbiano adeguatamente ricordato con
sfilate, esibizioni militari e inni la loro, di vittoria, in quel 1918
che sancì il termine di un massacro, le tremende tempeste d’acciaio, e
anche, riconosciamolo, l’inizio della fine dell’Europa. In Italia, dove
il 4 novembre non è festa nazionale da decenni, ma solo la modesta
giornata delle Forze Armate – rimandata peraltro alla domenica più
vicina – abbiamo dimenticato, anzi rimosso. Il silenzio dell’Italia che
comanda, di cui il generale Vecciarelli è esponente di rilievo, resta
tuttavia preferibile alle stanche cerimonie istituzionali con politici,
alti burocrati e militari annoiati con straordinario pagato che
depongono corone e pronunciano vuoti pistolotti scritti da subalterni
distratti. Il manifesto ufficiale di quest’anno, cento anni dalla
vittoria, per fortuna rimosso quasi dappertutto, è una foto in bianco e
nero in cui un soldato – forse uomo, forse donna, una strizzata d’occhio
al gender? – tende la mano a una vecchina sofferente.
I
militari hanno il dovere di aiutare le popolazioni, e vanno ringraziati
per l’oscuro lavoro “civile” che svolgono dopo sciagure e disastri, ma
non è quello il compito delle Forze Armate, la “mission”, come
direbbe il generale Vecciarelli, formato nelle scuole militari anglofone
della Nato. Strano ma vero, l’esercito ha il dovere patriottico e
l’onore di presidiare i confini, difendere il territorio nazionale dalle
minacce esterne. E’ il caso di renderlo noto anche al Presidente della
Repubblica, la cui indifferenza alla Nazione (pardon, alla Repubblica)
di cui è Capo e comandante delle forze armate traspare da ogni discorso
istituzionale, da ogni presa di posizione, persino dalla postura fisica.
Il
vice presidente della Regione Piemonte ha inaugurato una mostra sulla
Grande Guerra tenendo a ricordare che non si trattava di esaltare il
conflitto, ma fare memoria dei suoi orrori. D’accordo, ma per le classi
dirigenti dell’Italia contemporanea nulla conta il sacrificio di molti,
l’eroismo di alcuni, nessuna importanza ha l’impresa “nazionale” che ha
restituito alla nazione Trento e Trieste. Sono italiani per caso,
probabilmente loro malgrado, fingono un blando patriottismo paludato di
omaggi alla democrazia, alla pace, al dialogo in un paio di occasioni
all’anno, poi tornano ai loro affari. Business, as usual.
Vale
anche per i militari, che fastidio aggiornare piani per pattugliare
settemila chilometri di coste, le Alpi e quel fastidioso luogo chiamato
frontiera, dove “noi e “loro “si incontrano e l’obbligo è l’accoglienza.
Nuovi bandi di arruolamento prevedranno forse figure professionali come
hostess, steward, agenti turistici, mediatori
culturali poliglotti, e in omaggio alla libertà d’impresa e al Mercato
ci saranno ufficiali e marescialli addetti a illustrare investimenti,
muniti di depliants, brochure e piani d’accumulo privilegiati per i più lesti a varcare la frontiera.
Tra
le eccellenze italiane c’è la cucina; Antonino Cannavacciuolo sia
nominato generale e Carlo Cracco commodoro. Le stelle ce l’hanno già,
quelle della guida Michelin, meglio delle “greche” sulle uniformi degli
ufficiali superiori. Al tempo delle visite militari di massa, qualche
decennio fa, i vecchi sottufficiali di servizio ripetevano un detto di
epoche precedenti: chi non è buono per il Re, non è buono neanche per la
Regina. Orribile sessismo militarista, che sottintende che la virilità
sia un valore ed esistano virtù maschili. Meglio, molto meglio, un
esercito di gentili accompagnatori/trici, animatori turistici e
promotori finanziari. Le uniche regine ammesse siano le Drag Queens en travesti.
In
fondo, Vecciarelli ha ragione. L’esercito costa caro. Miliardi di euro
per i materiali – acquistati in gran parte dai nostri patroni
d’oltreoceano – altri miliardi per gli stipendi di una casta di
ufficiali e di volontari in fuga dalla disoccupazione, caserme da
mantenere, le residue servitù militari a carico di lembi di territorio,
eccetera. Non ha tutti i torti Donald Trump, il cui brutale imperialismo
dell’America First ci ricorda che dobbiamo pagare noi il conto
della Nato in Europa. Già, abbiamo appaltato a un esercito straniero
quel che resta della nostra difesa. Custodiscono sul territorio italiano
settanta, forse novanta bombe atomiche che sfuggono al nostro
controllo, ci utilizzano come comoda portaerei naturale verso Sud e
Oriente, hanno stabilito in Sicilia il sistema radar più importante del
Mediterraneo il Muos. Cosa loro. Paghiamo a piè di lista il costo di
cento basi sul nostro accogliente territorio, su cui ognuno ha il
diritto di muoversi liberamente e fare impresa. Meglio concordare un
canone fisso e abolire l’esercito. Ammainiamo con voluttà il tricolore
dei bisnonni e decidiamo se sventolare la bandiera a stelle e strisce o
adottare l’insegna del dollaro e dell’euro, le amate patrie delle
oligarchie al potere.
L‘amarezza
oggi è grande, ma, ancora una volta, non possiamo prendercela altro che
con noi stessi. Chi, se non la nostra generazione ha accettato e
praticato il disprezzo per l’identità nazionale, l’odio per gli uomini
in divisa, la ridicolizzazione dei loro valori e comportamenti?
Mattarella,
l’ex comandante del disciolto Esercito Italiano, farà in modo di
abolire l’articolo 52 della Costituzione, che definisce la difesa della
Patria “sacro dovere del cittadino”. Sacro e dovere, del resto, sono
vocaboli politicamente scorretti, residuo clericale il primo,
antidemocratico il secondo, vestigia entrambi di un passato oscuro che
ripugna, grazie al cielo, anche ai generali. Il Capo di Stato maggiore è
stato netto: si è scagliato contro “il ritorno sulla scena dei
nazionalismi e il rafforzamento di potenze nucleari. Un mondo alla
rovescia rispetto a quanto immaginato dopo la seconda guerra mondiale
con la nascita dell’ONU.” Non sia mai che gli tocchi partire alla testa
dell’esercito per difendere i confini. Tutt’al più sarà lieto di
partecipare a operazioni umanitarie di ripristino della pace (peacekeeping,
nel linguaggio delle Orsoline armate sino ai denti) sotto il comando
del benevolo alleato d’oltreoceano, o di generosa esportazione per conto
dei good fellows della democrazia di mercato senza confini, libero movimento di merci, capitali, servizi e naturalmente persone.
L‘amarezza
è grande, ma, ancora una volta, non possiamo prendercela altro che con
noi stessi. Chi, se non la nostra generazione ha accettato e praticato
il disprezzo per l’identità nazionale, l’odio per gli uomini in divisa,
la ridicolizzazione dei loro valori e comportamenti? Chi trascina la
vita in una bolla virtuale apolide, individualista, nell’adesione
acritica ai valori mercantili, irridendo e rigettando i valori della
propria gente? Ridevamo della macchietta, diventata un filone
cinematografico, dell’inetto colonnello Buttiglione, simbolo di un
militarismo farsesco, o delle Sturmtruppen, i fumetti di Bonvi sulle
avventure di soldati da operetta para nazisti, ma siamo finiti a
rifiutare la legge naturale per cui si difende ciò che è proprio: la
terra nativa, i figli, la cultura.
Contrordine.
E’ obbligatorio dissolverci in una poltiglia senza identità, vivere
nella neutralità disarmata come Don Abbondio, alla mercé di un Don
Rodrigo armato di indici di borsa, i cui bravi difendono la circolazione
dei capitali a scopo di speculazione. In caso di conflitto basta
attenersi alla regola del Circolo Pickwick di Charles Dickens:
schierarsi con il più forte.
Avremo
almeno un vantaggio: chiuderemo definitivamente con l’ipocrisia di una
casta in divisa impegnata a organizzare carriere, lucidare galloni e
inventare manifesti in cui le forze armate appaiono come ausiliari del
traffico o boy scouts occupati a compiere la buona azione
quotidiana. Aprendo bocca, questi signori attestano la loro inutilità.
Delocalizziamo l’esercito, esternalizziamo le sue funzioni, togliamoci
anche la sgradevole responsabilità di difendere dei confini che non
sentiamo tali. Passa, deve passare lo straniero: lo impongono le
meraviglie della società aperta, avanti marsch. Ha vinto il
mercante, perdono tutti gli altri. Nel loro mondo di diagrammi e modelli
matematici, non esiste il nemico, solo il concorrente. L’esercito è
inutile, le frontiere crollano al passaggio del ciclone, non c’è nulla
da difendere.
Capì
tutto José Ortega y Gasset, uno che si credeva liberale: il
patriottismo non consiste tanto nel proteggere la terra dei nostri
padri, quanto nel tutelare la terra dei nostri figli. I padri sono stati
aboliti, i figli non li mettiamo più al mondo. A che servono dunque
divise, fucili, gradi, stellette e capi di stato maggiore? Consoliamoci:
non manterremo più generali e ammiragli, eserciti e caserme. Per
dirigere il traffico frontaliero, basteranno pochi mercenari privati
tipo Blackwater, indifferenti a ogni bandiera, guidati da capitani di
ventura a contratto, attenti a proteggere l’investimento degli
azionisti. It’s a brave new world, friend, è il mondo nuovo,
amico. Onore all’esercito di Franceschiello che se non altro ci provò,
stretto tra felloni, voltagabbana, camorristi e mafiosi. L’Italia che
nel tempo avrebbe trionfato.
Del 13 Novembre 2018
Nessun commento:
Posta un commento