Liberland, il sogno libertario di una micronazione
Di Claudio Martinotti
Doria
3 gennaio 2017
Su Liberland, il nuovo microstato libertario sorto nella
primavera del 2015 sulla sponda ovest del Danubio al confine tra Serbia e
Croazia ed a pochi km dall’Ungheria, avevo già fatto cenno in precedenti
newsletter, riportando perlopiù articoli scritti da altri. L’argomento è
talmente ghiotto per un appassionato di storia e geografia come me, che non
posso esimermi dall’occuparmene in prima persona, come al solito da un punto di
vista critico e pragmatico.
Iniziamo con alcuni dati tecnici accennando anche alle
origini.
In primo luogo si tratta di uno stato o meglio
“micronazione” autoproclamata, significa cioè che un gruppo di persone di sono
insediate in loco, hanno delimitato i confini ed hanno reso pubblico al mondo
(grazie alla rete) le loro intenzioni, senza alcun riconoscimento giuridico e
diplomatico, almeno fino ad oggi, da parte di nessuno dei circa 200 stati che
esistono al mondo e tantomeno dell’ONU.
Il gruppo dei fondatori era guidato (lo è tuttora) da un
attivista politico libertario di origini ceche di nome Vít Jedlička.
La superficie attuale rivendicata dal gruppo di fondatori è
di 7 (sette) kmq, un lembo di terra che si insinua perfettamente tra i due
confini statali (in una specie di serpentina geografica), rivendicato dai due
stati confinanti, Serbia e Croazia, e divenuto quindi “terra di nessuno”,
almeno finché la disputa non sarà risolta, e si dubita possa accadere essendo
trascorsi ormai oltre 20 anni dalla fine della guerra dei Balcani.
La scelta quindi è stata particolarmente intelligente, non
essendo molte nel mondo le cosiddette terre di nessuno. Per fare un esempio
efficace, c’è ne una famosa tra la Corea del Sud e del Nord, “leggermente”
militarizzata e pericolosa, dove un simile insediamento non sarebbe stato ne
possibile ne opportuno, da tutti i punti di vista! J
Di solito chi ha simili velleità libertarie di autonomia,
finora aveva scelto o terre assolutamente inospitali, come l’Antartide, o
piattaforme petrolifere abbandonate in acque extraterritoriali, con le
prevedibili difficoltà di riconversione in insediamenti urbani e di
approvvigionamento, o isole acquisibili regolarmente per le quali poi si devono
richiedere particolari concessioni di autonomia agli stati sulla cui
giurisdizione ricadono, oppure, similmente alle isole, si sono limitati a
fondare o rifondare delle città, con particolari statuti di autonomia giuridica
e politica. Cumulativamente tutte queste iniziative nel corso degli ultimi
decenni si possono contare sulle dita delle mani in tutto il mondo. Quasi tutte
sono fallite, rimanendo solo sulla carta o come un vago ricordo, oppure sono
progetti solo in parte realizzati.
Quest’ultima iniziativa, in ordine cronologico, ha maggiori
possibilità di successo rispetto alle precedenti, sia dal punto di vista
strategico che logistico, per una serie di motivi.
In primo luogo è collocata in Europa, continente piuttosto
popolato e connesso alla rete, per cui l’informazione perviene ad ognuno (se
non direttamente, quantomeno col passaparola), e si può senza particolari
difficoltà prendere contatto coi fondatori e loro rappresentanti ed effettuare
sopralluoghi in loco.
Poi è collocata in una terra di nessuno, contesa tra
due stati, quindi, pur non essendo più nell’epoca del far west ci sono maggiori
opportunità che il gruppo che l’ha rivendicata come diritto di insediamento
umano e comunitario (con alle spalle una ormai numerosa comunità
internazionale, ne parleremo in seguito), non venga cacciato con la forza, che
l’area non venga occupata militarmente da uno degli stati che la rivendicano,
anche per evitare che la situazione degeneri, avendo ormai puntati addosso gli
occhi del mondo mediatico, che ne osservano l’evoluzione costantemente, e
nessuno ha interesse a provocare incidenti internazionali, facendo pessime
figure mediatiche e diplomatiche.
Dal punto di vista geografico, il nuovo microstato si
collocherebbe come dimensioni appena dopo la Città del Vaticano ed il
Principato di Monaco e prima di Nauru (Micronesia, 21 kmq), anche quest’ultima
è una repubblica, seppur insulare, per cui Liberland diverrebbe la repubblica
più piccola del mondo, nel momento in cui dovesse essere riconosciuta.
Affrontiamo ora questi aspetti politico diplomatici ed anche
anagrafici, che sono ovviamente correlati alle probabilità di riconoscimento.
Allo stato attuale, in seguito ad interviste rilasciate
dalla sua leadership e dalla documentazione che il sottoscritto ha ricercato in
rete, pare che in poco più di due anni la risposta della comunità
internazionale popolare (non le diplomazie, i governi, le istituzioni, ma la
popolazione di internauti) sia stata molto positiva, potremmo definirlo un
successo senza precedenti.
Le adesioni pervenute al sito ufficiale
https://liberland.org/en/main/ con
richiesta di cittadinanza sono state finora ben 440.000
(quattrocentoquarantamila) di cui circa 300 sono state accettate. Pare che la
selezione sia piuttosto severa, anche se non so con quali criteri oggettivi
essa avvenga, essendo una selezione che si limita a valutare i contenuti di
quanto gli stessi candidati compilano soggettivamente (che potrebbero essere in
parte o in toto falsi e fuorvianti), senza contare il tempo che richiederebbe
analizzare centinaia di migliaia di candidature, senza uno staff di proporzioni
adeguate e molto qualificato. Di questi 300 già accettati, alcune decine sono
stati incaricati di rappresentare Liberland nei propri paesi di residenza e
provenienza (è assente l’Italia, presumendo che di italiani
ce ne siano tra i 440mila candidati,
significa che nessuno finora è risultato “degno” di essere accettato … possiamo
anche capirli
J).
Alcuni di questi 300 si sono già recati in loco, cioè a Liberland, per
sopralluoghi, per “trattare” un eventuale trasferimento residenziale, a tempo
debito, quando cioè verrà approvato uno delle decine di progetti architettonici
urbanistici che sono stati finora presentati, per trasformare quel lembo di
terra non ancora antropizzato in una città autonoma o micronazione libertaria
moderna e produttiva.
In proposito al posto loro, non mi fiderei molto degli
architetti e delle loro visioni e proiezioni avveniristiche ed utopiche (pare
che siano una settantina i progetti pervenuti finora da studi associati ed
agenzie da tutto il mondo) e terrei ben presente i dati storici del bacino
idrografico del Danubio, per evitare di trovarsi con l’acqua alla gola, in
tutti i sensi. Per ora è comprensibile che abbiano come priorità la ricerca di
finanziamenti, che pare affluiscano copiosi, quasi come i progetti urbanistici,
date un’occhiata ai disegni sotto riportati.
Pare che dispongano già di documenti rilasciati in proprio
(quindi “autoreferenziali”) e che esibiscono alle dogane quando transitano, ma
le guardie di confine li trattano con derisione ed un certo disprezzo, come
fossero degli sprovveduti, fantasiosi, illusi. Ma la situazione si potrebbe ribaltare,
perché a ben guardare sono in molti che potrebbero riporre fiducia ed interessi
in una simile iniziativa, e non mi riferisco solo a singoli individui, anche
facoltosi, ma anche a centri di interesse e potere. Nel mondo c’è bisogno di
libertà, soprattutto dalle tasse eccessive, quando diventano vessazione,
estorsione, ricatto, perfino schiavitù, come in Italia, ma non solo. E
Liberland in proposito è stata chiara fin dai primordi, non ci saranno tasse di
alcun genere, ognuno godrà in toto del frutto del proprio lavoro, gli oneri
saranno solo volontari, ognuno contribuirà liberamente e volontariamente alle
spese di gestione della micronazione.
E non solo di riduzione o liberazione dalle tasse c’è
bisogno nel mondo, ma anche di libertà di parola e comunicazione, che non è
affatto scontata come sembrerebbe ad un osservatore superficiale. Basti vedere
cosa è accaduto solo negli ultimi mesi con la Brexit, l’elezione di Trump ed il
referendum costituzionale in Italia, dove i mass media omologati tutti in coro hanno
fatto scelte di campo omogenee sbagliando in toto ogni previsione con sprezzo
di coloro che la pensavano contrariamente, guarda caso tutti blogger, che
operavano esclusivamente nella rete. Quindi ci sarà bisogno di uno spazio dove
collocare tutta la tecnologia digitale necessaria a preservare questi spazi di
libertà di parola ed opinione, consentendone la diffusione planetaria.
Quello che fa loro difetto, o quantomeno giustifica
l’attribuzione di individui fantasiosi ed ingenui da parte delle guardie di
confine, è rappresentato dalla loro simbologia araldica ( bandiera e stemma
sotto riportati), che personalmente trovo alquanto banali, infantili. Questa è
la loro spiegazione: il giallo sta per
libero mercato, il nero è uccello ribelle che va a guadagnarsi la libertà,
l’albero invece simboleggia la prosperità e il sole dice che noi siamo persone
buone e felici.
In realtà tali simboli avrebbero significati ben più
complessi, profondi e variegati che non quelli da loro attribuiti con tanta
semplicità, ma è una questione culturale, e non si può pretendere che dei
giovani, per quanto intraprendenti, dispongano già di una consapevolezza
evoluta.
Dal punto di vista politico e diplomatico, pare che sia
stiano dando molto da fare, animati da un entusiasmo contagioso che si diffonde
a macchia d’olio tramite i primi 300 “cittadini” le cui candidature sono cioè
state accettate e che sparsi per il mondo stanno contattando istituzioni a tutti
i livelli, non solo per far conoscere la loro iniziativa, il loro progetto di
comunità libera o micronazione, ma per indurre altre piccole nazioni ad
attribuire loro il riconoscimento ufficiale, e pare che siano già una decina
gli stati disposti a compiere questo passo fondamentale.
Se pensate che diversi stati autonomi, soprattutto collocati
nel Caucaso, non hanno un numero così elevato di riconoscimenti ufficiali da
parte di altri stati, per Liberland sarebbe un grosso successo se ottenesse un
simile risultato nei prossimi mesi.
In quanto alle motivazioni storiche ed attuali che inducono
a simili progetti, c’è solo l’imbarazzo della scelta, e qui per non dilungarmi
mi limiterò a poche citazioni. Probabilmente risale ai primordi della storia
dell’umanità una simile motivazione a creare comunità libere, solo che non ne
abbiamo traccia scritta, nessuna documentazione, in quanto la scrittura è
piuttosto recente come invenzione umana e la maggioranza delle tracce scritte
sono andate distrutte o sono ancora sottoterra in attesa di scoperte
archeologiche, e quindi possiamo solo immaginarlo con un elevato indice di
probabilità. Abbiamo delle certezze di tali motivazioni già nell’Alto Medioevo,
pensate ad esempio ai Vichinghi che
hanno colonizzato l’Islanda, che per primi hanno creato un’assemblea
parlamentare “democratica” per condividere le decisioni politiche comunitarie o
alle numerose comunità di villaggio montane (soprattutto nel Pieno Medioevo)
che sparse nelle nostre Alpi si sono affrancate ottenendo statuti e privilegi
precursori rispetto alle condizioni di estremo vassallaggio in cui versavano
tutti gli altri villaggi e località. Sui liberi comuni, sorti soprattutto nella
nostra penisola e nelle Fiandre, non occorre soffermarsi più di tanto, essendo
alle origini della nostra civiltà occidentale, ormai purtroppo decaduta e
degradata.
Concludendo non posso che osservare queste iniziative, e
continuare a farlo, con occhio benevolo, sperando non degenerino per
interferenze esterne fuorvianti o per deviazioni interne alla leadership,
magari indotta in tentazione dalle lusinghe del successo. Ciò che conta è che
mantengano solida la rotta delle motivazioni primarie, sottraendosi alle spire
di un sistema ormai globalizzato che rende schiave le persone con il debito ed
il consumismo. Pertanto va bene che insistano sull’assenza di tasse per la
comunità che si insedierà, ma speriamo non si facciano circuire dalla finanza,
trasformandolo nell’ennesimo paradiso fiscale, tradendo in pieno i buoni
propositi iniziali, che erano prettamente conviviali e libertari.
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