Per avere buone notizie reali sul nostro paese dobbiamo
rivolgerci ai giornali stranieri che le riportano … leggermente paradossale non
trovate? Ed anche un tantino sospetto.
Ovviamente le buone notizie provengono dalle dinamiche
sociali, non certo politiche, provengono cioè dallo spirito di iniziativa e
creatività di alcuni individui, soprattutto giovani, che di fronte alle
difficoltà non si atteggiano passivamente ed opportunisticamente rivolgendosi
allo stato perché conceda loro qualche favore, ma si impegnano e rischiano in
proprio ritagliandosi degli spazi di azione, produzione, commercializzazione
nel settore primario dell’agricoltura, per troppo tempo trascurato per non dire
oscurato, come fosse anacronistico, primitivo, prosaico. L’agricoltura ci
nutre, e se può nutrirci con elevati standard qualitativi, evitando di
rifilarci merci provenienti da parecchie migliaia di km di distanza forse è
meglio. Un aneddoto popolare recitava “braccia rubate all’agricoltura”, per
indicare sarcasticamente la non idoneità di taluni ad occuparsi di alcune
funzioni e ruoli professionali ed istituzionali, che si attaglia perfettamente
alla nostra classe politica. Oggi molte braccia ritornano all’agricoltura, ma
vi ritornano soprattutto i cervelli, perché l’aspetto intellettuale è
addirittura predominante nelle scelte aziendali che si compiono e che
consentono di aumentare notevolmente il valore aggiunto per ettaro coltivato,
come ben descritto nell’articolo sottostante che vi propongo, e che pare
provochi molta ammirazione da parte di qualificati osservatori stranieri. Peccato
che in Italia non si sappia quasi nulla di questo fenomeno in corso. Cui
prodest? Claudio Martinotti Doria
Siamo davvero sicuri che stiamo nel 2017? Intanto, in Italia, l’agricoltura
nel meridione si sta riprendendo alla grande.
di Sergio Di Cori Modigliani
I GIOVANI SCENDONO IN CAMPO
“Voglio andare a vivere in campagna”. Era il titolo (e anche il tormentone)
di una canzone lanciata al Festival di Sanremo 1995 da Toto Cutugno. Vent’anni
dopo, i giovani italiani sembrano aver preso alla lettera quel “suggerimento”.
Stando alle ultime rilevazioni dell’Istat, infatti, già da qualche anno il
numero di
under
35 occupati nel settore agricolo è in continuo aumento: + 5,4% nel
2014, con quasi
20 mila posti di lavoro in più per
gli under 30 (in crescita del 12,7%). L’agricoltura odierna, infatti, non è più
(solo) sudore e sacrificio, ma è fatta di idee, innovazione, creatività,
cultura e professionalità.
Lo sanno bene gli studenti delle facoltà di Agraria presenti nel nostro
Paese, le cui iscrizioni sono aumentate del 40% negli ultimi sette anni. Sulla
base di un’indagine condotta dalla Conferenza nazionale per la didattica
universitaria di Agraria, che raggruppa 25 sedi universitarie pubbliche e
private che organizzano e gestiscono corsi universitari legati a queste
tematiche, le immatricolazioni alle lauree triennali dell’area agroalimentare
in Italia sono passate dalle 4.909 dell’anno accademico 2006-07 alle 9.686 del
2013-14.
Ma chi sono questi nuovi agricoltori? Innanzitutto sono diversi dai loro
padri e dai loro nonni. Hanno tutti infatti un alto tasso di
scolarizzazione, una spiccata propensione per l’innovazione, a
prescindere da quello che l’azienda produce. Secondo una ricerca condotta dal
magazine Wired e IBM, la multinazionale informatica, e promossa da Coldiretti
Giovani su un campione di 429 imprese, la tecnologia è uno dei driver
principali che guidano le nuove generazioni “agricole”: il 75% degli
intervistati, infatti, è interessato a big data, droni e genomica(branca
della biologia che studia il patrimonio genetico degli organismi viventi); il
30% ha in programma di utilizzare a breve queste innovazioni, mentre il 10% le
sta già applicando al proprio lavoro. Inoltre, i giovani sono attenti e
sensibili alla comunicazione dei propri prodotti: il 73% delle imprese da loro
guidate è già presente sul web e sui social network. Il prossimo passo?
Investire nell’e-commerce, per il momento ancora poco sfruttato: solo il 28% dispone
già di una piattaforma per il commercio elettronico.
Un mestiere che parla di innovazione
Insomma, sono lontani i tempi in cui si parlava solo di campi e contadini.
L’imprenditore agricolo oggi è hi-tech e specializzato. E creativo. Sono sempre
di più, infatti, le attività legate all’agricoltura, e le sinergie con cultura
e turismo lasciano intravedere grandi prospettive. Il 70% delle
imprese gestite da under 35, sempre secondo
Coldiretti, l’associazione dei coltivatori italiani, opera in attività che
vanno dalla
trasformazione dei prodotti alla
vendita
diretta, fino all’apertura di
fattorie didattiche e
agli
agriasilo, vere e proprie scuole materne in spazi
agricoli. E poi ci sono numerose altre attività come la cura dell’orto e i
corsi di cucina in campagna, l’
agricoltura
sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti,
la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del
paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.
Agricoltura, eccellenza del made in Italy
In campagna, quindi, ci sono tante cose da fare. E se l’agricoltura
continuerà a essere una delle vere eccellenze italiane, probabilmente sarà
anche merito dei giovani di oggi. Anche perché i risultati sembrano dare
ragione a chi ha scelto questo settore: secondo l’ultimo rapporto di Symbola,
fondazione che si occupa di promuovere la qualità italiana, il nostro Paese
detiene una delle prime tre quote di mercato al mondo per 77 prodotti, e tra
questi ce ne sono 23 – tra cui pasta, pomodori, aceto, olio,
fagioli – in cui siamo primi.
Il merito di questi risultati è da attribuire anche alla grande qualità
delle nostre produzioni e, di conseguenza, dei nostri produttori. Non esiste,
infatti, un’agricoltura in Europa che sia in grado di generare valore aggiunto
come quella italiana. Basta dare un occhio ai numeri: da noi, un ettaro di
terra produce 1.989 euro di valore aggiunto: 800 euro in più della Francia, il
doppio di Spagna e Francia, il triplo dell’Inghilterra. Voliamo alto, quindi.
Tenendo i piedi per terra. Letteralmente”.
Fine dell’articolo.
Non l’ho scritto io.
E’ stato pubblicato dall’ufficio studi dell’Istat e dalla segreteria del
ministero per lo sviluppo economico in data 18 Marzo 2016 e diffuso dal sito
della borsa italiana, come è noto di proprietà della finanza inglese. Infatti,
in quel mese, in quel di Gran Bretagna si parlava della grande sorpresa
italiana -cifre alla mano- nel constatare che la notizia economica del giorno
in Europa consisteva nel fatto che il meridione italiano, come ben sappiamo
bistrattato, dimenticato, devastato, distrutto, disoccupato, in verità (ricordate questa locuzione, utile per
comprendere la chiave del post) stava dando dei risultati positivi di
evoluzione, ripresa ed espansione, che provocavano rispetto e invidia in tutta
Europa. L’Italia agricola, l’Italia delle campagne meridionali, i nostri
prodotti della terra, venivano presentati al mondo come l’avanguardia in
Europa. Ecco qui di seguito il titolo e il link per andare a controllare la
fonte originale.
I GIOVANI SCENDONO IN CAMPO. 18 Mar 2016.
L’agricoltura italiana sta riscoprendo un
nuovo boom grazie a innovazione e ricerca. E alla competenza (e alle braccia)
delle nuove generazioni. http://www.borsaitaliana.it/notizie/food-finance/food/agricoltura.htm
La questione era già nota a chi segue l’andamento dell’economia italiana,
tanto è vero che la giornalista Cristina da Rold, il 4 ottobre del 2014, quando
l’Italia già stava dando segni di oggettiva ripresa, scriveva sulla rivista
“wired” un bel pezzo proprio su questo argomento. (
http://www.wired.it/economia/business/2014/04/10/bozza-agricoltura/
cristina da rold)
Anche nell’agroalimentare – qui è il caso di parlare
proprio di agroalimentare come tout court – a trainare
l’economia sembra quindi essere il centro sud, in linea con il
trend registrato sempre da Unioncamere, sulla situazione imprenditoriale
generale nel nostro paese. In particolare è la Basilicata la regione italiana
in cui le aziende agricole rappresentano la fetta più grande sul totale delle
imprese, rispetto alle altre regioni, con una percentuale che supera il 30%,
seguita a poca distanza dal Molise con il 29,8%. Fanalino di coda invece la
Lombardia, con un 5,2% di imprese agricole sul totale. Anche per quanto
riguarda l’industria alimentare, è il sud a farla da padrone e in modo ancora
più netto: le prime otto posizioni in classifica sono occupate infatti proprio
da regioni del sud, Calabria e Molise in primis. Un’ultima differenza che
emerge dai dati AgrOsserva tra il settore agricolo e l’industria alimentare
riguarda ancora una volta il sistema dell’imprenditoria
femminile. Sebbene parlando globalmente di agroalimentare, nel
2013 i dati parlino di un 30% di donne imprenditrici, solo l’8% delle aziende
agricole nel sud sono gestite da donne, contro il 33% al centro e il 25% al
nord. Diversa è invece la situazione nell’industria alimentare, dove le donne
al sud sono il 26,4% delle imprenditrici, contro una media nazionale del 23%.
Due aspetti dunque, quello agricolo e dell’industria alimentare, entrambi più o
meno in difficoltà. Nonostante tutto però, in Italia c’è chi investe
nell’imprenditoria agricola, specie al sud. Sempre secondo dati Unioncamere,
sulle “vere” nuove imprese agricole italiane, cioè quelle non nate dalla
disgregazione di imprese precedenti, nel primo semestre del 2013 il 50% dei
nuovi imprenditori nel settore agricolo opera al sud, contro un 15% al centro e
un 35% al nord. Inoltre, il 20%, cioè un quinto dei nuovi agro-imprenditori, è
laureato, mentre il 37,5% possiede un diploma di scuola superiore. Ma l’aspetto
forse più significativo è il background di questi nuovi imprenditori. Sembra
infatti che a ritornare all’agricoltura siano in
particolare operai e impiegati, prima ancora che coltivatori
diretti, seguiti da casalinghe, studenti e imprenditori in altri settori. Solo
al nono posto troviamo infatti i disoccupati in cerca di occupazione.
Interessante infine anche lo spettro di fasce d’età dei neo-imprenditori: il
25% di essi ha un’età compresa tra i 51 e il 65 anni, seguiti da un buon 21% di
quarantenni, mentre i giovani con meno di 30 anni, gli “startupper” sono il 17%
del totale.
Questa è l’Italia vera e autentica, ovverossia quella che lavora, che
produce, che si ingegna, che inventa, che è dinamica e produttiva, come
dire….quella di cui nessuno parla mai nei talk show televisivi, dove i gestori
dell’industria dell’indignazione descrivono sempre un’Italia sull’orlo del
fallimento, popolata soltanto da truffatori, mafiosi, mascalzoni incompetenti,
ladri o imbecilli, rendendo quindi totalmente incomprensibile come un siffatto
paese possa stare ancora in piedi con un pil intorno ai 1800 miliardi di euro
all’anno. Secondo una divertente indagine sociologica, pubblicata di recente,
viene fuori che in un altissimo campione della popolazione italiana, al quale
sono stati sottoposti questi articoli (e altri otto di questo genere) togliendo
i riferimenti, il 62% pensa che stiamo parlando della Germania, il 28% della
Francia e il 10% della Gran Bretagna partita alla grande grazie alla Brexit.
L’idea che gli italiani si sono fatti e si stanno facendo del mondo reale ha
un’attinenza sempre meno veritiera con l’oggettività di chi opera fattivamente.
Il motivo è intuibile ed è anche comico (quando sono di malumore penso che sia
tragico): invece di inventarsi un lavoro, rimboccarsi le maniche e accelerare i
propri processi creativi, i grandi strateghi da tastiera operanti su facebook
preferiscono investire una quantità esorbitante di tempo ed energia al
computer, seduti passivamente, da soli, raccattando e diffondendo notizie
negative, catastrofiche, apocalittiche. Quelle fanno audience, infatti. Quindi
il popolo non sa che si stanno verificando anche delle novità, che esistono
isole felici, zone virtuose, sindaci per bene, assessori che non rubano, imprenditori
che imprendono invece di prendere e basta.
In tutta la stampa europea, nei mesi di ottobre e novembre, l’Italia ha
ricevuto applausi e complimenti (autentici) per il modo bello, efficace ed
efficiente con il quale ci si è occupati della tragedia dei terremotati in
Umbria/Marche/Abruzzi. Addirittura al punto da essere usati come parametro
pedagogico per (udite udite) “insegnare” agli altri come si fa. Abbiamo saputo
qualcosa di tutto ciò? No. Abbiamo letto, ascoltato, udito qualche particolare?
No. La commovente generosità di alcuni italiani, sia in termini finanziari per
chi se lo poteva permettere, sia in termini di risorse umane per chi si è speso
come volontario, assistente, cooperante, è stata (ed è tuttora) una bella
pagina del nostro essere paese anche come nazione e comunità e non soltanto
palestra di idiozie false e falsificate tanto per aumentare i mipiace e le
visualizzazioni.
Sarà questo il tema prevalente nel 2017, e non solo in Italia. Dovunque. A
cominciare dal 21 Gennaio, quando Trump entrerà ufficialmente in carica
assumendo i pieni poteri come presidente del neologismo lanciato dalla rivista
Time: USA è diventato DSA, nuovo acronimo che sta per Divided States of
America. Il bilancio statistico della campagna elettorale statunitense
rivela infatti che nel 76% dei discorsi effettuati da Donald Trump sono state
dette falsità e bugie, sono state diffuse cifre false, grafici falsi,
percentuali false, che avevano come unico scopo quello di spaccare il paese. Il
risultato elettorale, invece, non è stato falso, quello è vero. Secondo molti
opinionisti americani che ritengo attendibili, l’America sta vivendo per la
seconda volta nella propria storia una guerra civile, in Usa la chiamano “la
guerra civile istituzionale” perché si odiano tutti. In Italia il teatro è
simile, con le differenze di un paese, una cultura e un continente diverso.
La necessità di affrontare, con enorme consapevolezza, il fatto che molte
delle notizie che vengono diffuse sul web e sui social sono menzognere impone
un nuovo modello psico-sociale, un nuovo paradigma. Una nuova e diversa visione
del mondo. La vita ai tempi della post-verità non è uno slogan tanto per farne
un convegno o una sottigliezza intellettualistica: è l’ultima diabolica trovata
della finanza iper-liberista che si è inventata un ingegnoso sistema amorale
per annebbiare il Senso, appiattire il Significato e camuffare i propri valori
(soldi, consumo, profitto) presentandoli per qualcosa di diverso a seconda del
trend stabilito dai big data. Paradossalmente, nell’epoca attuale, la
cosiddetta “epoca dell’informazione”, mai il mondo è stato così poco informato
su ciò che accade veramente.
Ma per fortuna di noi umani tutti, la mente ne sa una più del diavolo e in
diversi paesi si stanno già approntando i giusti anticorpi necessari per
navigare nel Caos Totale. Il grande filosofo e matematico americano Hilary
Putnam, invitato da Umberto Eco a Urbino nel 1990 (cioè 26 anni fa)
condivideva con il pubblico in sala i risultati del suo lavoro legato al
rapporto tra vero e falso nella società post-moderna della disinformazione
totale. Il suo contributo teorico è stato fondamentale. E’ morto a marzo del
2016 a 91 anni. Da noi non ha avuto nè fortuna tantomeno seguito intellettuale
(esclusi, ovviamente, i filosofi e i matematici professionisti) dato che noi
siamo immersi in uno scenario di menzogna collettiva, condiviso, ben
sintetizzato dalla frase che (sempre secondo il grandissimo Putnam) avrebbe
firmato e certificato l’esistenza di noi tutti: “Lo so che non è vero, ma io ci
credo”.
Un abbraccio a tutti. Diffidiamo di chi sostiene di essere depositario della
verità. Ma ancora di più, diffidiamo di chi sostiene che la verità non esiste.
Il dibattito sulla natura del problema è aperto.
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