Perché ha senso proporre un reddito di
base (di cittadinanza o universale).
Di Claudio
Martinotti Doria
17 gennaio 2017
Queste mie sono solo alcune note
integrative, valutazioni e semplici considerazioni (meno sommarie di quelle mie
di ieri che accompagnavano l’articolo sopra linkato), che ho ritenuto fossero
rilevanti per contribuire ad un quadro complessivo più obiettivo ed esauriente
sull’argomento in oggetto, che per la sua importanza andrebbe periodicamente
ripreso e riproposto politicamente, finché non sia accettato e condiviso e
finalmente applicato, perché è di quegli argomenti e di quelle proposte che, se
accolte, segneranno incisivamente la vita sociale di una nazione e di uno stato
e cambieranno la qualità della vita dei suoi abitanti fin dalla giovinezza,
accompagnandoli fino alla vecchiaia.
L’articolo
che troverete al link indicatovi, il cui argomento è già sintetizzato nel
titolo, è piuttosto prolisso, a tratti anche approssimativo e con metafore
autogiustificative poco pertinenti, risulta centrato in particolare sulla sua
applicabilità negli USA, ma ha il grande merito di essere uno dei più esaustivi
che abbia mai letto, di essere uno degli argomenti centrali che saranno
trattati al Forum di Davos 2017 e quindi non si tratta di uno dei numerosi
contributi esterni di effimero valore e che servono soprattutto a guadagnare
crediti personali. Inoltre offre un punto di vista sul reddito di cittadinanza
che raramente era stato proposto finora in maniera così approfondita e
convincente, mostrandone i presunti vantaggi. Quindi merita una lettura
approfondita, in quanto molti concetti espressi dall’autore, nell’elaborazione
ponderata degli argomenti, sono alquanto condivisibili, alcuni anche perspicaci
ed innovativi. Il mio scopo con questi brevi commenti e note integrative, è
quello di cercare di studiarne l’applicabilità e quindi l’adattamento di tali
proposte al nostro paese.
In
primo luogo ritengo che fornire a tutti il reddito di cittadinanza non sia
producente, in parte è anche insensato, per quanto l’autore cerchi di
giustificarlo, e forse rispetto alla situazione negli USA ha le sue buone ragioni,
ma da noi in Italia il contesto è enormemente diverso e la formula non può
essere presa tramite un “copia ed incolla”.
L’autore
in linea di massima stima che il reddito di cittadinanza da lui proposto
dovrebbe sostituire in toto tutte le formule di sostegno attualmente esistenti
negli USA. In pratica se si facesse la somma di tutte le risorse dedicate
all’assistenzialismo generale ed al sostegno alla povertà e disoccupazione,
provenienti sia dal settore privato (negli USA non è come da noi, intendiamoci,
loro sono dei giganti nel mecenatismo rispetto a noi), che dal settore
pubblico, solo con esse si coprirebbe il reddito di cittadinanza proposto
dall’autore. Sulla sua opportunità sono d’accordo, non sulla sua distribuzione
a prescindere. L’autore infatti lo vorrebbe fornire a tutti, proprio a tutti,
tutti quelli anagraficamente risultanti residenti sul suolo americano e dotati
della cittadinanza americana. Un semplice calcolo matematico applicato, senza
alcun criterio distributivo e valoriale. Personalmente non condivido questa
impostazione, secondo me dovrebbe essere distribuito esclusivamente alle
famiglie, non ai singoli individui, a meno che questi ultimi risultino sigle,
cioè famiglie costituite da una sola persona, e quindi non escludibili. Non sono
tra coloro che ritengono che si debbano premiare le famiglie prolifiche, che
fanno tanti figli, perché oltre tutto lo sappiamo bene (mi immagino già le
accuse di razzismo dei politically correct), non sarebbero neppure cittadini
autoctoni, nati e cresciuti in loco, ma semmai di importazione, che verrebbero
nel nostro paese proprio per poter usufruire di questi servizi assistenziali,
distorcendo così lo scopo e la motivazione primaria per cui il reddito di
cittadinanza dovrebbe essere concepito. Quindi ritengo che il reddito di
cittadinanza debba essere concesso mensilmente solo alle famiglie
anagraficamente residenti in Italia e con cittadinanza italiana accertata,
concependolo in tre entità differenziate, minimo per le famiglie single, medio
per le famiglie con un figlio, massimo per le famiglie con più figli), per fare
un esempio concreto direi 500 euro, 1000 euro, 1500 euro, non oltre. Con quale
criterio? Su questo punto a mio avviso occorre fare attenzione, perché nel
momento in cui lasciamo fare ai politici ed ai burocrati, da strumento di
innovazione sociale diverrebbe un arma ricattatoria politico clientelare ed
elettorale. Quindi occorre porre dei paletti. Pochi ma precisi. La scelta deve
essere bottom up, proposta popolare e referendum se occorre.
Il criterio di
attribuzione deve derivare dalla soglia che si stabilirà in base all’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), che
semplificherebbe enormemente le modalità di assegnazione. Oltre una certa
soglia che risulterà nell’ISEE, la famiglia non avrà diritto al reddito di
cittadinanza.
Ad
occuparsene dovrebbe essere una struttura in grado farlo, ad esempio l’INPS, e
non delegando nuovi carrozzoni pubblici e sindacali, magari creati ad hoc. Le
risorse si potranno recuperare separando finalmente la previdenza
dall’assistenza (adesso è tutto un calderone all’interno dell’INPS), ed
eliminando tutti quei rivoli infiniti di assistenzialismo sparso, dispersivo,
inefficace e soprattutto discriminatorio che esistono attualmente, cioè tutte
quelle spesso assurde, patetiche, ridicole, effimere, elettorali, ecc.,
occasionali ed estemporanee modalità di sostegno alle famiglie, ai disoccupati,
agli indigenti, ecc., facendo cioè finalmente piazza pulita di questo caos
assistenziale che produce discriminazioni ed impedisce un’equa distribuzione, e
la cui dispersione territoriale e complessità ed astrusità rende anche
difficile per il singolo individuo districarsi, informarsi ed accedere a questi
servizi, considerando che in molti casi subisce anche demotivazioni e
depressioni causate dalla lesione alla sua dignità che deriva dal doversi
rivolgere a certe strutture per chiedere aiuto. Mentre invece col reddito di
cittadinanza il problema si risolverebbe a monte, preventivamente, diverrebbe
un diritto per il quale il cittadino deve solo presentare l’ISEE aggiornato per
potervi accedere, magari semplicemente rivolgendosi in municipio o ad uno
sportello dell’INPS.
Se
il parametro di riferimento diventa l’ISEE e l’obiettivo è il reddito di
cittadinanza, non occorre altro, occorre solo stabilire il quantum per
entrambi, per il primo non mi pronuncio, lo si vedrà a tempo debito,
sull’importo del reddito di cittadinanza mi sono già pronunciato, dividendolo
in tre classi secondo la composizione famigliare. In base a questa
impostazione, il reddito di cittadinanza varierà col tempo, secondo che la
famiglia si mantenga unita o si divida, anche per cause fisiologiche ( i figli
si sposano e formano nuove famiglie), e dipenderà anche dall’ISEE che si
formerà e che dovrà essere costantemente aggiornato, ecc.. Si potrebbe anche
pervenire ad automatizzare questa prestazione seguendo gli aggiornamenti
dell’ISEE e la composizione anagrafica di ogni singola famiglia, man mano che
si informatizzerà e si metterà in rete l’intera pubblica amministrazione. Il
singolo cui spetta il reddito di cittadinanza potrà rivolgersi semplicemente al
suo comune di residenza che verificherà immediatamente a terminale se vi sono
le condizioni per riceverlo ed inoltrerà la richiesta all’INPS.
Solo
da quello che si potrebbe recuperare dall’onerosa dispersione attuale di quegli
infiniti rivoli di contribuzione e redistribuzione discriminatoria, spesso
arbitraria, sono convinto si possano recuperare le somme necessarie per un primo
efficace intervento sperimentale, se poi si riuscisse a compiere il “miracolo”
di tagliare finalmente le spese superflue e gli sprechi, la corruzione ed i
privilegi del settore pubblico (più che non l’evasione fiscale, che sostiene in
parte l’economia del paese), si potrebbero recuperare le risorse per estenderlo, renderlo
permanente e di un certo rilievo (come ho già proposto).
Concludo infine con
le motivazioni e previsioni personali, che corrispondono per grandi linee con
quelle dell’autore americano della proposta. Secondo me l’autore, che dispone
di una visione lungimirante ma anche ottimistica della realtà, ha sottovalutato
le ripercussioni del reddito di cittadinanza sullo stravolgimento dell’attuale
sistema produttivo decentralizzato e schiavizzante il lavoratore generico
malpagato e maltrattato. Tutto questo sistema di sfruttamento, che non
rappresenta certo la parte sana e migliore del sistema produttivo, salterebbe
in aria, e sarebbe un bene, ma avverrebbe in maniera indolore? Forse qualche
studio previsionale in più non guasterebbe, per poter meglio pianificare gli
interventi e le loro ripercussioni economiche e sociali. L’autore è convinto
che quasi tutto il lavoro sarà svolto dai robot, ma non sarà così, e non lo
sarà per molto tempo ancora, mentre il reddito di cittadinanza sarebbe da
applicare al più presto, se non si vuole che la situazione degeneri in
conflitti sociali ingovernabili.
Non
sussistono dubbi invece sull’incremento della motivazione al lavoro che
deriverebbe dall’introduzione del reddito di cittadinanza. Sono convinto
anch’io che non favorirebbe il “fancazzismo” ed il parassitismo, nel senso che
questo continuerebbe ad esistere nelle percentuali fisiologiche attuali (forse
leggermente accentuate, ma mai patologiche), mentre al contrario favorirebbe
una maggior consapevolezza e responsabilizzazione nella scelta del lavoro e
nell’applicazione personale al lavoro prescelto, aumentandone la motivazione e
quindi la produttività, creatività, progettualità, ecc., a favore del datore di
lavoro e del lavoratore stesso, che avrà maggiori opportunità di
gratificazione.
Gli italiani non si curano più. A lanciare l'allarme è il Parlamento. Un cittadino su tre rinuncia alle terapie. E tra i poveri va ancora peggio.
Inoltre
il reddito di cittadinanza sarà estremamente positivo per la società in
generale, perché risolverà parecchi problemi che invece stanno aggravandosi
provocando notevoli oneri alla società, come la non procreazione, siamo ormai a
nascite prossime allo zero, e questo significa che l’Italia entro qualche
decennio non sarà più abitata da italiani. Ridurrà la criminalità
impropriamente denominata “micro”, cioè quella da sussistenza, commessa da chi
vi è praticamente costretto dagli eventi economici avversi, e questo risultato
parrebbe confermato nei paesi dove si è già sperimentato il reddito di
cittadinanza. Inoltre è prevedibile un miglioramento delle condizioni di salute
della popolazione, che attualmente si sta aggravando, dovendo rinunciare anche
alle cure odontoiatriche e mediche in quanto non in grado di pagare parcelle e
ticket sanitari. Il miglioramento delle condizioni di salute deriverebbe anche
da motivazioni psicosomatiche, in quanto la consapevolezza di poter disporre di
un reddito di base, fornendo maggiore sicurezza economica riduce lo stress che
deriva dalla paura di non poter far fronte a crisi sanitarie individuale o
famigliari, e quindi rasserena gli animi e migliora l’umore e le condizioni psicofisiche.
Si avrebbero pertanto minori spese sul fronte sanitario pubblico, così come
avverrebbe sul fronte della lotta alla criminalità, per i motivi sopra
illustrati e confermati negli stati dove hanno già sperimentato il reddito di
base. In conclusione ritengo che il reddito di cittadinanza, a conti fatti, se
applicato come da me proposto, si ripagherebbe con i vantaggi economici e
sociali che ne deriverebbero fin nell’immediato.
Certo
che ci vuole coraggio per applicarlo in Italia, perché significa spezzare
catene, clientele, abitudini, privilegi, parassitismi, corruttele,
conventicole, ecc., che nel nostro paese prosperano da sempre. Sarà dura ma si
può fare, se la popolazione ne recepisce l’importanza e le ricadute sociali e
famigliari che si avrebbero e se una leadership politica saprà proporlo in
questi termini esaustivi, trovando tutte le alleanze che occorreranno e
concorreranno allo scopo, senza ipocrisie e fraintendimenti.
Forse
i tempi sono finalmente maturi per questo salto di qualità epocale, che segnerà
una svolta nell’evoluzione sociale dell’umanità e potrebbe risollevare le sorti
del nostro paese.
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