Introduzione di Claudio Martinotti Doria
L’articolo sottostante è decisamente pubblicitario,
superficiale e riduttivo, ma utile al mio semplice scopo di rammentare il
progetto e l’operazione, che avevo seguito se non dalle origini, sicuramente
nel suo svolgimento appena successivo. Rammento che gli imprenditori autori
della complessa operazione di acquisizione e recupero del borgo ebbero notevoli
difficoltà ad acquisire la proprietà degli ultimi immobili rimasti, perché
quando ormai si era rivelato pubblicamente l’obiettivo finale di totale
acquisizione del piccolo borgo dell’entroterra ligure (dal clima ancora
mediterraneo e soprattutto marino, perché a meno di 20 km dal mare) le
richieste per vendere i ruderi salirono alle stelle e gli ultimissimi edifici
furono strapagati per completare l’operazione (ottimo per i proprietari,
perlopiù eredi, che si videro pagare a peso d’oro delle macerie che sarebbe
costato loro denaro per rimuoverle o metterle in sicurezza, ma meno per i
futuri acquirenti sui quali inevitabilmente sono ricaduti i maggiori oneri per
la realizzazione del progetto).
Quando visitai il borgo una quindicina di anni fa, era quasi
ultimato, molto bello e suggestivo, finché si vuole, ma avevo rilevato le
difficoltà che sarebbero sorte per una eventuale popolazione invecchiata e
quindi con problemi di deambulazione, che spesso sussistono con l’avanzare
dell’età, e quindi decisi di desistere dal proposito di dedicarmici,
rammentando alcuni borghi calabri da me visitati, con simili caratteristiche di
dislivello e disagio nella mobilità (pensate solo a cosa significhi lasciare
l’auto a centinaia di mt di distanza e portarvi la spesa a mano in salita fino
all’abitazione, magari percorrendo una scalinata, sotto la pioggia, il freddo,
una nevicata).
L’unica vera innovazione era indubbiamente il cablaggio, uno
dei primi avvenuti in Italia in aree non urbane, ma il costo dell’insediamento
era molto elevato e quindi riservato ad una élite (ed infatti furono quasi
tutti stranieri ad approfittarne, favoriti anche dal cambio e dai maggiori
redditi di provenienza), che poi invecchiando si sarebbe resa conto di non aver
fatto una scelta ragionata e lungimirante ma solo emotiva.
Rimane comunque un raro esempio di un progetto edilizio
degno di nota che ha indubbiamente promosso il territorio dal punto di vista
turistico culturale. Infatti come spesso avviene in questi contesti, molti dei
nuovi insediati erano artisti, intellettuali e creativi e del progetto di
Colletta di Castelbianco i mass media se ne occuparono a lungo con risonanza
mediatica internazionale. Claudio
Fonte:
Colletta di Castelbianco, il borgo rinato dopo il terremoto
di Federica Pelosi
Colletta di Castelbianco, borgo telematico
Castelbianco - Il piccolo sismografo se ne sta assopito all’altezza di
un vicolo dietro “A ciassetta”,
per usare il termine dialettale con il quale è stata ribattezzata la
piazzetta del paese. È collegato all’Università di Genova, nel caso in
cui dovesse trasmettere qualche segnale. Si tratta dell’unico
riferimento al terremoto del 1887: tutto il resto è perfezione, quiete e
un panorama da presepe. Il borgo di Colletta, nel comune di
Castelbianco, a 18 chilometri da Albenga e
dalle spiagge, è l’esempio lampante di come un territorio possa
ritrovare slancio anche dopo un evento disastroso come il sisma più
devastante che la Liguria abbia mai conosciuto.
Merito di un gruppo di imprenditori (principalmente di Alessandria) e
dell’architetto genovese Giancarlo De Carlo,
che, alla fine degli anni ’80, si rimboccarono le maniche per un
recupero da manuale (costato qualche miliardo delle vecchie lire),
improntato al rispetto puntiglioso della storia del paese ma con quel
guizzo innovativo che ne ha decretato la fortuna, ribattezzandolo come
primo e unico borgo telematico d’Italia.
«Siamo partiti da un rilievo millimetrico di quello che era l’esistente e
abbiamo riposizionato una ad una le pietre sgretolate dal terremoto,
un po’ come è accaduto in Friuli dopo la tragedia del 1976 – dice
Vincenzo Ricotta di “Colletta di Castelbianco”, la Srl artefice della
felice resurrezione – Abbiamo dato carta bianca al professor De Carlo
che ha voluto una riproduzione fedelissima del vecchio borgo, risalente
al XIII secolo, e che ha ricavato 70 appartamenti oggi abitati per lo
più da stranieri: inglesi, olandesi e norvegesi in primis». Ad
attirarli, all’epoca (parliamo degli anni ’90), la rivoluzione web in
atto nel paesino: «Non bastava riedificare, ci voleva un’idea vincente –
continua Ricotta – e così
ci siamo fatti ispirare dalla ben più famosa Silicon Valley,
e abbiamo osato: si è dunque lavorato per cablare il borgo e far
arrivare fin qui la fibra ottica, puntando sull’idea del telelavoro. Ha
funzionato, anche se alla fine gli stranieri si sono innamorati di più
delle pietre e della storia che della possibilità “virtuali”». E’
successo a Ole Wigg, architetto norvegese, folgorato dalla bellezza
perfetta di questa frazione immersa nella Val Pennavaire, così come a
Trevor Chapman, musicista che si esibisce nel corso degli eventi che si
organizzano quassù, o a Pablo Lumelli e Ana Valenziano, argentini, che
ora gestiscono il bar della piazzetta. «Ci siamo trasferiti 5 anni fa:
eravamo alla ricerca di un po’ di pace – dicono – Questo posto fa una
selezione naturale dei suoi residenti: è per molti, ma non per tutti».
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E in effetti, qui, il concetto di “barriere architettoniche” non è
contemplato: tutto è un saliscendi di carruggi di pietra, e non ci sono
rampe o ringhiere dove non ce ne sono mai state, proprio per questo
rispetto assoluto della storia. C’è giusto un negozio di alimentari, una
lavanderia automatica, un anfiteatro e una
piscina su un
panorama verde
smeraldo. Ci sono due custodi e un regolamento condominiale ferreo:
impossibile, qui, vedere cartacce in giro. Anche i turisti ne restano
affascinati: l’esperimento di albergo diffuso ha avuto grande successo
da queste parti, così come la promozione dei prodotti tipici (anche
grazie all’esperienza di Ricotta, che fa parte dello Slow Food e ha
gestito per anni
l’unica trattoria della Colletta di
Castelbianco). «I proprietari sono consapevoli di cosa hanno comprato:
sanno che sono loro a doversi adattare al paesaggio – dice - Qui fare
qualcosa che non è in equilibrio con le pietre non va bene. Noi intanto
le abbiamo sistemate al meglio, rispettando criteri antisismici. Anche
per il Centro Italia si potrebbe agire così».
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