Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Il parassitismo in Italia è religione di Stato

Risultati immagini per chi muove i fili delle marionette



Di Claudio Martinotti Doria

L’Italia credo sia l’unico paese al mondo nel quale la religione laica di Stato sia divenuta il parassitismo
Se un italiano onesto ed intelligente (tra quelli rimasti e non ancora emigrati o deceduto prematuramente) raccontasse ad uno straniero anglosassone, scandinavo o elvetico, le traversie quotidiane vissute a causa della burocrazia, in particolare quella fiscale, elaborata per riscuotere gabelle, ticket, ed ogni sorta di escamotage per attingere alle tasche dei contribuenti italiani, e soprattutto raccontasse tutte le ripercussioni deleterie ed assillanti che si subiscono per la ciclopica impalcatura burocratica istituzionale costruita nei decenni, dubiterebbero del nostro senno. Non solo per la verosimiglianza del racconto stesso, poco credibile per chi è abituato a vivere in un paese civile e meglio organizzato ed efficiente, ma per il fatto di subire queste vessazioni e disagi senza reazioni adeguate. Lamentarsi ed imprecare serve a poco, ma gli italiani si limitano perlopiù a queste reazioni puerili e vane.
Vi faccio due semplici esempi di vessazioni burocratiche, tra l’altro capitatomi proprio stamane, significativi non solo perché emblematici ma perché rivelano anche gli intrecci perversi, le correlazioni tra le varie forme di parassitismo vessatorio, spesso collaterale, complementare e sinergico (a danno dei contribuenti, ovviamente).
Il primo, ve lo avevo già descritto in un articolo precedente, si riferisce all’ormai stantio problema del canone Rai addebitato nella bolletta elettrica, senza alcuna pianificazione preventiva, direi senza alcun criterio, cui non era valso a nulla aver inviato da parte mia ben due raccomandate nei tempi e modi previsti e consigliati dalle associazioni dei consumatori ed utenti, per far loro capire che avendo due contatori in casa, ognuno intestato ad un coniuge, avrei rischiato di vedermi addebitati due canoni, pur costituendo una sola famiglia con un’unica utenza Rai. Infatti mi pervennero “puntualmente” due addebiti del cosiddetto canone, termine ambiguo ed ipocrita per indicare una tassa, che serve al mantenimento di un apparato parassitario composto da circa diecimila dipendenti, alcuni lautamente stipendiati, per produrre programmi inguardabili e telegiornali fasulli e mistificatori.
Orbene, compilato l’ennesimo modulo concepito per la richiesta di rimborso del canone impropriamente versato, mi sono recato nell’ufficio postale più vicino per inviare la raccomandata (spesa complessiva considerando le precedenti, circa 20 euro, per evitare di pagarne 100, senza contare il tempo dedicato e la benzina). Parlando con la sportellista emerge un fatto sconvolgente per un utente che non sia decerebrato. Mi chiede perché non avessi piegato il plico anziché inserito in una normale busta. Mi spiega che i moduli precedenti, quelli per richiedere l’esenzione dal canone rai, cioè il motivo delle mie precedenti raccomandate, dovevano essere piegati e spediti senza busta. Avete capito il marchingegno? Tutti coloro che non hanno a suo tempo seguito questi espedienti da legulei kafkiani, hanno prodotto migliaia di buste finite nel cestino della carta da burocrati appositamente investiti di questa responsabilità funzionale al sistema. Non sarebbe stato più semplice e meno irritante ed irrispettoso imporre a tutti indistintamente di pagare, che possiedano a meno un televisore o siano intestatari di più contatori dell’energia elettrica? Sarebbe stata comunque una vessazione, ma almeno si evitava di farsi beffe dell’utenza e dei contribuenti, facendo perdere tempo e denaro.
Dulcis in fundo, sulla strada del ritorno a casa rimango in coda ad un incrocio, il motivo era una corsa ciclistica, per la quale hanno bloccato ogni accesso alla strada principale per circa un’ora, dicasi un’ora, con uno schieramento di forze dell’ordine talmente impressionante che ho sospettato che distogliendo tanti uomini alle loro mansioni primarie, i malviventi ne avrebbero potuto approfittare. Nulla da obiettare sul diritto di organizzare queste gare, anche se a me personalmente non interessano minimamente, ma non sarebbe bastato, per garantire la sicurezza, utilizzare una staffetta ed una retroguardia di auto con sirene e lampeggianti accesi? Occorreva proprio bloccare tutte le strade per un’ora? Impedendo a moltissime persone di recarsi al lavoro ed alle proprie incombenze? SONO COMPORTAMENTI DA PAESE CIVILE? Anche in questa occasione, come in tutte le altre, gli italiani presenti che subivano questa vessazione si limitavano ad imprecare al cellulare con i loro interlocutori, attribuendo al paese epiteti impronunciabili …
Concludendo queste brevi note, vorrei solo aggiungere che spesso i contribuenti e vittime italiane del parassitismo si sfogano con coloro che stanno agli sportelli o comunque sulla “linea del fronte”, che sono solo pedine, è vero che partecipano al parassitismo di stato, ma ne raccolgono solo le briciole e sono partecipi loro malgrado, con scarsissima consapevolezza e responsabilità, sono le vittime designate, gli ultimi anelli della catena, i capri espiatori per il popolino rozzo ed incolto, che rappresenta una cospicua parte della popolazione, ridotta all’analfabetizzazione di ritorno da decenni di tv demenziale appositamente programmata.
Risultati immagini per vampirismo
In realtà i parassiti “officianti”, le alte gerarchie, che potremmo definire il vaticano del parassitismo politico burocratico e mediatico italico, coloro che ne traggono i massimi benefici e sono ricolmi di privilegi, si riduce a poche decine di migliaia di individui, gente con redditi attinti dal settore pubblico che vanno dai 200mila euro annui in su, molto in su.
E’ per mantenere questa “casta” che servono le tasse, e più aumentano le entrate fiscali dello stato e più aumentano i loro redditi ed il numero dei “selezionati” partecipanti alla greppia, e non aumentano affatto i servizi alla popolazione, ne in qualità ne in quantità, semmai peggiorano.
Questo è il funzionamento dello stato italiano, togliere a molti per dare a pochi, pochissimi, e la cosiddetta redistribuzione avviene in maniera sperequativa ai massimi livelli, proprio per un’impostazione patologica della macchina dello stato, che è inefficiente e scriteriata, non possedendo la benché minima coscienza civica e del senso del servizio alla collettività.

Svezia, una società fallimentare, antitetica all'arte maieutica ed alla socializzazione

Svezia, una società fallimentare, antitetica all'arte maieutica ed alla socializzazione. Se leggendo questo esauriente articolo sulle condizioni in cui versa la società svedese, provate a pensare all’arte maieutica di socratica memoria, all’arte dialettica avviata dai filosofi greci ed alla conseguentemente indotta capacità di socializzare e quindi di “far politica” nel senso nobile del termine, vi renderete conto di come la Svezia, nonostante la sua apparente elevata civilizzazione e cura ossessiva dei diritti individuali, sia in realtà antitetica ai valori propugnati dall’arte maieutica, cioè promuovere e valorizzare le potenzialità possedute da ogni individuo nell’unico modo possibile, interagendo, socializzando, dialogando, ecc., in modo che col tempo le potenzialità di ognuno vadano a beneficio dell’intera collettività, divenendo patrimonio comune.
Quanto descritto in questo articolo, la sofferenza in cui versa la popolazione svedese, che pure dispone di un sistema assistenziale, sanitario, sociale, ecc., di prim’ordine e credo unico al mondo (basti pensare che dispongono anche di cure odontoiatriche-dentistiche gratuite), è il frutto dell’individualismo portato alle estreme conseguenze, per cui ci si isola e si accettano nella propria sfera privata, per tempi limitati, esclusivamente individui simili a noi e soprattutto passivi, che non interferiscano col proprio precario equilibrio esistenziale. Un approccio penoso e patetico, ma soprattutto fallimentare. Claudio
 

Svezia. Un confortevole inferno

di Rodolfo Casadei - 20/09/2016
Svezia. Un confortevole inferno

Fonte: Tempi

Di un film particolarmente riuscito si suole dire che dovrebbe essere fatto vedere nelle scuole, ma prima che fra i banchi l’ultima produzione di Erik Gandini meriterebbe di essere proiettata a Camere riunite, come monito a deputati e senatori in procinto di approvare le proposte di legge che vogliono trasformare l’Italia in un paradiso dei diritti individuali sul modello dei paesi scandinavi. E benché si tratti di pellicola laica laicissima, potrebbe benissimo per una volta sostituire la catechesi di parrocchie e movimenti ecclesiali: chiarirebbe loro le idee intorno alla condizione umana odierna, mostrerebbe loro dove è diretta quella modernità con cui vogliono dialogare. Infine, per assottigliare i flussi di migranti e richiedenti asilo che stanno mettendo in crisi mezza Europa, andrebbe mostrato a chi sta per imbarcarsi sui gommoni a rischio della vita: vedrebbero che l’agognato paradiso del benessere e della sicurezza consiste nella realtà in un confortevole inferno antropologico.
La teoria svedese dell’amore, che debutta nelle sale italiane il 22 settembre, ha un messaggio molto chiaro da comunicare: una società di individui perfettamente liberi perché perfettamente indipendenti è una società di esseri umani infelici, solitari e annoiati. E siccome ogni critica vale per le soluzioni che offre al problema che evidenzia, Gandini non si tira indietro e con l’ausilio del papa laico della sociologia, il 90enne Zygmunt Bauman, propone l’alternativa: scambiare l’indipendenza e la sicurezza materiale con quella speciale versione della dipendenza che è l’interdipendenza, e con un mondo di rischi sia materiali che psicologici.
Che cos’è allora la teoria svedese dell’amore? È l’idea, contenuta nel programma del partito socialdemocratico svedese al tempo del primo governo di Olof Palme (1969-1976), di trasformare la società svedese in una società di individui indipendenti. Rendere i figli indipendenti dai genitori, le donne dagli uomini, gli anziani dai figli. Abolire la dipendenza materiale e psicologica degli uni dagli altri, perché solo in una società di persone tutte ugualmente indipendenti i rapporti fra di esse sarebbero diventati rapporti veramente liberi e autentici, e non condizionati dal bisogno.
Per quarant’anni di seguito i governi, non solo socialdemocratici, si sono applicati a tradurre in realtà tale programma, e il risultato è stato molto lontano da quello atteso: la Svezia non è diventata il paese dei rapporti autentici fra le persone, ma della assenza di rapporti umani. Oggi quasi la metà degli svedesi vivono da soli, uno su quattro muore da solo, e persino i rapporti sessuali, stando ad alcune inchieste, sono diminuiti del 25 per cento nell’arco dell’ultimo ventennio.
teoria-svedese-dell-amore-tempi-copertinaNiente meglio di un documentario di Gandini ci rende partecipi di queste realtà. Il suo tocco magico è indubitabile. Il suo stile asciutto solleva onde emotive nello spettatore. Si vede la giovane Maria Elena, madre di due figli concepiti con la fecondazione assistita da donatore anonimo, mentre fa jogging solitario. «Volevo un figlio, non volevo una relazione. Mi piace la compagnia, ma solo temporanea. Sì, a volte mi manca la presenza di qualcuno che mi porti la colazione la mattina, qualcuno con cui discutere le notizie del telegiornale».
Quindi brevi interviste ad alcuni donatori della banca del seme alla quale la donna ha fatto ricorso: un centro danese dove sono contenuti 170 litri di sperma umano, probabilmente il più grande del mondo. I ragazzi mettono a disposizione video e file sonori in cui si presentano. Tutti affermano convintamente di fare quello che fanno per altruismo: «Voglio aiutare gli altri. È incredibile come facendo così poco fai così tanto per gli altri». Non sanno nulla della donna che riceverà il loro seme, nulla mai sapranno dei figli che verranno al mondo e che sono biologicamente loro, ma si sentono buoni perché si masturbano a vantaggio di altri. Metà dei clienti è costituito da donne single, moltissime svedesi. Il kit per l’inseminazione può essere richiesto a domicilio. Arriva col corriere, come i libri di Amazon. Si deve scaldare la busta fra le mani, caricare la siringa, sdraiarsi sul letto a gambe insù, immettere il liquido nella vagina, restare in posizione mezz’ora. E il risultato è garantito.
Compila il modulo, ci pensa lo Stato
Che uno svedese su quattro muore da solo significa anche che il decesso di molti viene scoperto solo parecchio tempo dopo che è avvenuto. La Svezia ha dovuto creare un’apposita agenzia che si occupa di questi casi. I suoi impiegati sono impegnati a cercare parenti introvabili per regolare questioni di successione, e accedono agli appartamenti dei defunti in cerca di indizi. Risalta lo squallore di pareti vuote. Un suicida ha lasciato una busta piena di denaro. È destinato a saldare i suoi debiti con l’Agenzia delle entrate. Altri messaggi non ne ha lasciati. «L’ambizione per l’indipendenza ci ha accecati», commenta tristemente l’impiegata che ne ha già viste troppe.
Sia come sia, la Svezia (insieme alla Germania) è la mèta agognata di centinaia di migliaia di richiedenti asilo. Non appena arrivano, però, vengono messi in guardia. Neeba, profuga siriana e mediatrice culturale, cerca di spiegare ai nuovi arrivati che gli svedesi sono bravi ma poco socievoli: «Non amano le conversazioni, alle domande rispondete “sì” o “no”. A loro piacciono le risposte brevi». Un suo assistito le dice: «Perché dovrei imparare a parlare la lingua? Svedesi non ne incontro mai». Neeba riflette: «Gli svedesi non sono razzisti, si battono per i diritti umani di tutti. Ma desiderano mantenere le distanze. Vivono da soli, il centro di tutto è l’individuo. Se hai bisogno di qualcosa, compili un modulo. E lo Stato ti fornirà ciò di cui hai bisogno».
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Il viaggio della speranza. In Africa
Fuori dal sistema sorgono piccoli santuari di calore e comunità. Giovani si incontrano nei boschi alla ricerca di rapporti umani più profondi. I loro sguardi sono mesti: «La nostra società ha per obiettivo la sicurezza, ma la sicurezza non ti rende felice: al contrario, è causa di infelicità. Viviamo soli, siamo gestiti dalla società, e dimentichiamo di prenderci cura l’uno dell’altro personalmente».
Quindi la telecamera fa un volo di parecchie migliaia di chilometri e inquadra la selva subtropicale del Wollega, in Etiopia. Il paese che nel grafico dei valori (sopravvivenza contro autorealizzazione, tradizionalismo contro razionalità) si trova all’estremo opposto rispetto alla Svezia. Lì si è trasferito il dottor Eriksen, per 30 anni chirurgo a Stoccolma. In un modestissimo ospedale totalmente privo di mezzi economici si arrangia per trasformare le cose più strane in presidi sanitari: viti comuni, raggi di ruota di bicicletta, fascette da idraulico, lenze da pesca, fermagli per capelli diventano fissatori, vasocostrittori, viti chirurgiche, eccetera. «Vivere in Etiopia mi ha dato tanto, in Svezia vivevo una vita noiosa», dice. «Qui si vive nella povertà materiale, ma la povertà spirituale della Svezia è di gran lunga superiore. Penso che qualcosa è andato storto nel sistema di ingegneria sociale svedese. La gente si sente troppo sola. Qui la gente non è mai sola: se ti ammali ti vengono a visitare, quando muori piangono la tua morte».
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All’ospedale un giorno è arrivata una bambina con un enorme tumore alla lingua. Per salvarla Eriksen ha dovuto asportare l’organo e rimuovere pure la mascella. La ragazzina guarita visita l’ospedale e l’incontro col medico è commovente. C’è più comunicazione fra lei muta e il chirurgo svedese, che fra il medico e i suoi connazionali dotati di parola quando lui torna in Svezia: «Non c’è niente di cui parlare con la gente, sono tutti occupati con le loro cose, sono tutti focalizzati su se stessi».
Tutti connessi ma scollegati
E si arriva così al contributo di Zygmunt Bauman. «Felicità», dice, «non significa una vita priva di problemi. Una vita felice si ottiene superando le difficoltà, fronteggiando i problemi, risolvendoli. La via dell’indipendenza non porta alla felicità, ma a una vita vuota, all’insignificanza della vita e a una noia assoluta e inimmaginabile». I problemi affrontando e risolvendo i quali si fa esperienza di felicità sono sia quelli materiali sia quelli relazionali. E qui Bauman dice alcune cose geniali sulla tribolata questione del dialogo. Rifiutato a priori da alcuni, praticato solo a parole o selettivamente da chi ne fa una bandiera, il dialogo è la prima vittima della società centrata sull’indipendenza degli individui. «Le persone che sono state educate all’indipendenza, stanno perdendo la capacità di negoziare la convivenza con gli altri, perché sono private della capacità di socializzare. Socializzare è faticoso, richiede tanti sforzi, richiede un processo di negoziazione e ri-negoziazione, occorre mettersi in discussione, mediare e ricreare. L’indipendenza ti priva della capacità di fare questo».
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Bauman vede la morte del dialogo proprio negli strumenti tecnologici che dovrebbero renderlo più ampiamente praticabile: le tecnologie elettroniche e audiovisive. «La nostra vita è divisa fra due mondi diversi: online e offline, connessi e disconnessi. La vita connessa è in gran parte priva dei normali rischi della vita. Se non ti piace l’attitudine di altri, smetti di comunicare con loro, li disconnetti. Quando sei offline, e incontri per forza le persone reali, devi affrontare il fatto che la gente è diversa, che ci sono molti modi di essere umani. Devi affrontare la necessità del dialogo, devi impegnarti in una conversazione con loro. L’indipendenza ti priva delle abilità necessarie a fare questo. Più sei indipendente, e più sei incapace di fermare questa indipendenza e rimpiazzarla con una piacevole interdipendenza».
Chi propugna il dialogo, ma non accetta di fare l’esperienza della dipendenza dagli altri con cui instaura la conversazione, di fare l’esperienza della dipendenza reciproca, produce inevitabilmente una società malata. O la società in cui tutti si ritirano nel proprio guscio per mantenere intatte le proprie personali convinzioni, o una società alienata dove il gruppo dirigente impone la sua linea al popolo sottomesso. Il dialogo implica la mediazione, il negoziato, cioè la disponibilità a rinunciare alle proprie ragioni e inclinazioni per fare spazio alle ragioni e inclinazioni degli altri. Non ci aiutano i social media, i file audio, i collegamenti video, perché troppo cedevoli alla tentazione di escludere l’interlocutore scomodo, di selezionare solo interlocutori di comodo, coi quali non si vuole veramente dialogare, cioè negoziare, ma solo fare bella figura in pubblico, dando un’impressione di “apertura” al diverso da sé.
Per uscirne, bisogna riscoprire e fare esperienza della dipendenza. Reciproca. Nessuno escluso.

Inchiesta su quanto inquinano le auto in Europa



Prefazione di Claudio Martinotti Doria

Qualsiasi automobilista che utilizzi anche minimamente la propria auto se ne era accorto da tempo, per esperienza personale, che l’accanimento mediatico contro la Volkswagen per aver taroccato i test di inquinamento dei diesel, dava l’impressione del capro espiatorio, non perché non fosse colpevole, ma perché ben molte marche avrebbero dovuto ricevere un trattamento quantomeno alla pari se non più severo, essendo molto più inquinanti, anche per riscontro diretto, sia visivo che olfattivo.
Quello che impressiona in questa inchiesta è che l’Italia ne esce quasi a testa alta, sono messi molto peggio i grandi stati europei, Francia in testa, seguita dalla grande Germania cui tutti si rivolgono ossequiosi come fosse un modello di virtù, e poi l’UK
 
In Italia dove da tempo i diesel sono tracollati nelle vendite, basterebbe ripristinare gli incentivi per installare gli impianti gpl e metano sulle vecchie auto, per migliorare ancor più i risultati complessivi. Del resto con la crisi epocale, che inevitabilmente perdurerà a lungo, è impensabile che le famiglie italiane, che già faticano ad arrivare a fine mese, sostituiscano le vecchie auto con delle nuove, a meno che di estendere la durata dei prestiti (a tasso zero o quasi) similmente ai mutui per la casa. Gli oneri per gli incentivi potrebbero essere spalmati (cioè condivisi equamente) tra tutti coloro che ne trarranno benefici economici, cioè case produttrici di impianti ed installatori, con un piccolo contributo degli Enti Locali (Regioni e Comuni, le province ormai sono alla canna del gas), in modo che all’utente finale rimanga solo l’onere di un terzo della spesa, ammortizzabile rapidamente. Il ritornello del “non ci sono i soldi”, per evitare di affrontare un problema con volontà risolutiva, ha fatto il suo tempo. Sono molteplici ovunque gli esempi di come si possano risolvere i problemi se solo ci si pone di fronte ad essi con lo spirito giusto, responsabile, cooperativo, solidaristico, partecipativo



Quali sono le automobili diesel piu' inquinanti in Europa?
Articolo di Redazione
20 settembre 2016


 
 
Dopo circa un anno dal “dieselgate”, siamo di fronte ad una riabilitazione della Volkswagen? Secondo “Transport % Environment”, una ONG con base a Bruxelles e specializzata nello studio delle emissioni inquinanti degli autoveicoli, il gruppo tedesco sarebbe -in condizioni medie di guida- il meno inquinante di tutti i costruttori nel Vecchio Continente.
Transport&Environment ha diffuso dei dati su 230 modelli diesel dopo che sono stati analizzati dalle commissioni di inchiesta in Francia, Gran Bretagna e Germania, a seguito dello scandalo Volkswagen (il 20 settembre il gigante dell'automobile ammetteva di avere fatto ricorso ad un software truccato per manipolare i test di misurazione delle emissioni inquinanti).
I cancri sono Opel, Renautl-Nissan, Fiat e Suzuki
E, sorpresa! Il risultato dello studio in materia di ossido di ozono (il Nox, gas molto tossico emesso soprattutto dai motori diesel), le quattro marche del gruppo Volkswagen analizzate sono le meno cattive di tutte quelle analizzate.
Su questi modelli che avevano ricevuto l'omologazione euro-6, cioe' il piu' recente, le Audi, Seat. Skoda e Volkswagen, valutate le emissioni su strada, nel peggiore dei casi, queste ultime erano due o tre vole in piu' rispetto allo standard consentito.
Per gli altri autoveicoli analizzati, i cancri sono Opel, Renault-Nissan, Fiat e Suzuki. I loro modelli meno performanti superano i limiti di dieci volte, cioe' quattoridici o quindici volte in piu' di Nox diffuso nell'aria rispetto a quanto e' invece concesso loro dalla regolamentazione.
Secondo Transport&Environmente, circa 29 milioni di autoveicoli con motori diesel circolanti nell'Unione Europea sono veicoli non in regola, che emettono piu' gas inquinante rispetto ai limiti autorizzati. Con 5,5 milioni di autoveicoli di questo tip che circolano sulle strade, la Francia occupa il primo posto, davanti alla Germania (5,3) e al Regno Unito (4,3), mentre l'Italia e' ad un buon quarto posto con piu' di 3 milioni di autoveicoli.
(articolo di Éric Béziat, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 20/09/2016)









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